TURANDOT

Gabriella Maggio

ph. Rosellina Garbo

Dal 21 al 29 settembre   2024  è andata in scena al Teatro Massimo di Palermo Turandot,  per la regia di Alessandro Talevi. Dramma lirico in tre atti di Giuseppe Adami e Renato Simoni, musica di Giacomo Puccini. Turandot , rimasta incompiuta per la morte del  Maestro, è stata  successivamente completata dal suo  allievo  Franco Alfano. Arturo Toscanini  direttore  della prima rappresentazione  al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, interruppe la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!» dichiarando al pubblico: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto.» La sera successiva Toscanini eseguì l’opera  nella sua completezza, includendo il finale di Alfano, sebbene gli sembrasse poco pucciniano. L’incompiutezza dell’opera è stata oggetto di discussione tra gli studiosi. C’è chi sostiene che Turandot rimase incompiuta non a causa della morte dell’autore, bensì per l’incapacità, o piuttosto l’impossibilità da parte del Maestro di risolvere il nodo cruciale del dramma: la trasformazione della principessa Turandot gelida e sanguinaria, in una donna innamorata. Puccini voleva che lo ‘sgelamento‘ fosse il punto più importante dell’opera, e voleva renderlo musicalmente in modo intenso e bellissimo: «Il duetto per me dev’essere il clou, ma deve avere dentro a sé qualcosa di grande, di audace, di imprevisto e non lasciar le cose al punto del principio… tutto il decisivo, il bello, il vivamente teatrale è lì! […] Il travaso d’amore deve giungere come un bolide luminoso in mezzo al clangore del popolo che estatico lo assorbe attraverso i nervi tesi come corde di violoncelli frementi. Potrei scrivere un libro su questo argomento». Puccini nella  Turandot  sperimenta notevoli innovazioni musicali: dissonanze, bitonalismi, sonorità aspre;  i motivi tratti da canzoni tradizionali cinesi, servono a dare il colore locale. L’orchestra prevede l’utilizzo di piatti, gong, campane, celesta, xilofoni, timpani, corni.  Nuova è anche l’importanza data alle scene corali. L’impegno richiesto agli interpreti è notevole a livello tecnico e interpretativo: alcune arie sono tra le più difficili da cantare. Puccini si spinse quasi fino al limite del possibile, l’orchestrazione così ricca e imponente richiede molta potenza canora perché le voci non rischino, in certi punti, di rimanere sovrastate dagli strumenti. Ascoltando questa versione del Teatro Massimo si colgono riferimenti lontani, come il risveglio di Brünnhilde, al termine di Siegfried, vinta dall’amore tanto da rinunciare allo statuto divino per accogliere quello umano; ma anche una ricerca idiomatica, che percorre i primi anni Venti del Novecento, legata all’ orientalismo. Compatta ed efficace risulta la direzione di Carlo Goldstein, che  valorizza al meglio una compagine orchestrale in forma smagliante. La Turandot di Ewa Płonka, padroneggia senza alcuna difficoltà l’ardua scrittura vocale, ma emerge maggiormente nei passaggi lirici. Vigoroso il Calaf di Martin Muehle, che amministra con giudizio un timbro saldo nell’emissione. La giovanissima Liù di Juliana Grigoryan risulta  splendida nell’uso sapiente delle mezze voci, in crescendo nel corso dell’ultimo atto. Mediamente buone le interpretazioni degli altri cantanti. Ottima la prestazione del Coro, diretto da Salvatore Punturo.  La scena unica di Anna Bonomelli, valorizzata dall’accorto disegno luci di Marco Giusti, permette di focalizzare l’attenzione sui differenti ‘ambienti’ in cui si svolge l’opera. Alessandro Talevi, cancella a pochi anni di distanza l’edizione, da dimenticare,  dell’inaugurazione della stagione 2019 . Dalle note di regia si apprende che Talevi si spiega le ragioni del gelo di Turandot come reazione al trauma di una violenza sessuale infantile, che accomuna il suo destino a quello dell’ava Lo-u-Ling. Il concetto fatica però a rendersi intelligibile nella realizzazione scenica, testimoniando ancora una volta l’effettiva difficoltà  di rappresentare  compiutamente la psicologia   di Turandot, il cui fascino credo che stia proprio nell’essere misteriosa. Alquanto oscura e  marginale è anche l’apparizione di Liù dopo la sua morte sul mausoleo di Lo-u-Ling sull’estremità destra della scena. Il pubblico ha mostrato di apprezzare con reiterati applausi lo spettacolo.

 

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