LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE
Ciro Cardinale*
A chi non è mai capitato di litigare con i parenti per la successione di un genitore o della vecchia zia ricca? Alzi la mano chi non ha mai avuto le vertigini cercando di capirci qualcosa tra successione legittima e testamentaria, legato ed istituzione di erede? Se avete risposto positivamente a tutte queste domande continuate a leggere qui, perché cercheremo di darvi alcune nozioni di base sulle successioni per causa di morte. Quando muore qualcuno si apre la sua successione, cioè una procedura che permette di trasmettere a chi rimane in vita l’intero patrimonio del defunto, composto da beni mobili e immobili, debiti e crediti. In Italia esistono due tipi di successione: la successione legittima, cioè senza testamento, e la successione testamentaria, regolata invece da un testamento. La successione testamentaria. Il testamento è l’atto con il quale si mettono per iscritto, nero su bianco, le proprie volontà su come e a chi lasciare i propri beni dopo la morte. Affinché un testamento sia valido è però necessario che colui che lo redige, detto testatore, sia maggiorenne, non interdetto e capace di intendere e di volere. Con il testamento di solito si decide di lasciare l’intero patrimonio ad una o più persone e allora si parla qui di eredità e queste persone sono dette eredi. Ma con il testamento si possono lasciare anche singoli beni a determinate persone e allora si parla di legato e di legatario. La differenza fondamentale tra il legatario e l’erede è che il primo, al contrario dell’erede, non risponde dei debiti ereditari con il proprio patrimonio, inoltre il legato non deve essere espressamente accettato, mentre l’eredità sì. Il testamento però può avere anche un contenuto non patrimoniale, perché è possibile – ad esempio – riconoscere per testamento un figlio nato fuori dal matrimonio o dare indicazioni per fare dire delle messe in suffragio dell’anima del defunto. Il testamento è un atto individuale, per cui è nullo il testamento congiuntivo, fatto cioè insieme da più persone (ad esempio, marito e moglie). Il testamento poi può essere sempre revocato e la revoca si può fare in vari modi: con un successivo testamento, con un apposito atto notarile, con la distruzione del testamento da parte del testatore. La legge riserva a determinati soggetti, detti legittimari (coniuge, figli e ascendenti del defunto), una quota di eredità – detta legittima – della quale non possono essere privati. Chi fa testamento, quindi, può liberamente disporre solo della quota disponibile, senza intaccare la quota di legittima. La legittima varia in base agli eredi. E così in assenza di coniuge se c’è un solo figlio, allo stesso è riservata la metà del patrimonio e la quota disponibile sarà allora della metà, se invece vi sono più figli, a loro andranno i due terzi del patrimonio e la quota disponibile sarà di un terzo; al coniuge, in assenza di figli e ascendenti, è riservata la metà del patrimonio; in caso di presenza di figli e coniuge, nel caso di un solo figlio a coniuge e figlio è riservato un terzo del patrimonio ciascuno e la quota disponibile sarà allora di un terzo; nel caso in cui ci siano più figli, al coniuge è riservato un quarto del patrimonio, ai figli è riservata la metà del patrimonio e la quota disponibile sarà allora di un quarto; in presenza di ascendenti del defunto, senza figli e coniuge, ad essi andrà un terzo del patrimonio e la quota disponibile sarà pari a due terzi; se gli ascendenti concorrono con il coniuge, a quest’ultimo sarà riservata la metà del patrimonio, agli ascendenti un quarto a la disponibile sarà pure di un quarto. In ogni caso al coniuge, oltre alla legittima, spetterà anche il diritto di abitazione sulla casa familiare e l’uso dei mobili che la corredano. Se un legittimario viene privato, in tutto o in parte, della sua quota di legittima, esso potrà fare valere il proprio diritto con un’apposita azione giudiziaria, detta azione di riduzione, soggetta al termine di prescrizione di 10 anni dalla morte del testatore. Il nostro ordinamento prevede tre diversi tipi di testamento, che possono essere liberamente scelti: il testamento pubblico, cioè per atto di notaio; il testamento olografo, compilato di pugno dal testatore; il testamento segreto, scritto di pugno dal testatore e poi consegnato in busta chiusa al notaio. È invece vietato il testamento orale. Il testamento pubblico è redatto alla presenza di due testimoni dal notaio, il quale provvede a trascrivere le volontà del testatore. Una volta sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio, il testamento sarà conservato dal notaio tra i suoi atti. Il vantaggio del testamento pubblico sta nel fatto che il notaio potrà suggerire al testatore le soluzioni migliori per raggiungere il risultato da lui voluto. Il notaio che ha ricevuto un testamento pubblico, appena ha conoscenza della morte del testatore, ne comunica l’esistenza agli eredi e ai legatari e provvede alla sua pubblicazione. Il testamento olografo è invece quello scritto dal testatore di suo pugno. Non si possono quindi usare altri strumenti di scrittura, come il computer o la stampa. Il testamento sarà conservato dallo stesso testatore e dopo la sua morte sarà consegnato al notaio da un erede che lo trova perché venga pubblicato, col rischio che non venga trovato mai o che venga fatto sparire da un erede in mala fede. Per evitare ciò, si può allora ricorrere al testamento segreto, che è un testamento scritto di pugno dalla persona, ma consegnato in busta chiusa al notaio perché lo conservi. Ma come possiamo sapere se esiste un testamento? Se non si conosce il notaio presso cui il defunto ha depositato il testamento, si potrà fare richiesta al consiglio notarile e all’archivio notarile del luogo di morte, oppure si può consultare il registro generale dei testamenti che si trova presso l’ufficio centrale degli archivi notarili di Roma. La successione legittima. Questo tipo di successione si apre solo se non c’è un testamento, oppure se il testamento c’è ma non dispone dell’intero patrimonio del defunto. In quest’ultimo caso, la successione legittima riguarderà solo la parte di patrimonio non destinata con il testamento. I beni del defunto, in caso di successione legittima, vengono lasciati ai suoi parenti, a partire da quelli a lui più vicini (figli e coniuge) e via via fino a quelli più lontani, sino a giungere al sesto grado di parentela. Nel caso in cui non vi siano parenti entro il sesto grado l’eredità andrà allo Stato. Così, semplificando, ai figli, in assenza di coniuge superstite, spetterà l’intero patrimonio che verrà diviso in parti uguali tra loro; al coniuge, in assenza di figli, ascendenti e fratelli, spetterà l’intero patrimonio, mentre in presenza di un solo figlio, spetterà la metà del patrimonio ciascuno, in presenza di più figli e di coniuge, spetterà due terzi del patrimonio ai figli, divisi in parti uguali, ed un terzo al coniuge superstite. Se non ci sono figli succederanno al defunto i suoi fratelli e gli ascendenti (genitori, nonni) e se c’è pure il coniuge, a quest’ultimo spetteranno i due terzi del patrimonio, mentre ad ascendenti e fratelli andrà il restante terzo. L’eredità, sia essa disposta per testamento o successione legittima, deve essere accettata, a differenza del legato. L’accettazione potrà essere fatta in modo espresso o tacito. Nel primo caso consiste in una dichiarazione scritta fatta dall’erede di accettare l’eredità, mentre l’accettazione tacita consiste nel compimento da parte dell’erede di atti che presuppongono necessariamente la sua volontà di accettare (ad esempio, la vendita di un bene del defunto). A seguito dell’accettazione dell’eredità, l’erede subentra nel patrimonio del defunto, nei suoi crediti e debiti – naturalmente in proporzione alla sua quota di eredità se vi sono più eredi – con effetto dal momento della morte del defunto. L’accettazione dell’eredità determina così la confusione dei due patrimoni, quello del defunto e quello dell’erede, per cui l’erede dovrà rispondere con il proprio patrimonio anche degli eventuali debiti lasciati dal defunto. Per evitare ciò, l’erede potrà rinunciare all’eredità o accettare l’eredità con il beneficio di inventario. In quest’ultimo caso non si avrà la confusione dei due patrimoni e l’erede potrà pagare i debiti ereditari solo col patrimonio ricevuto in eredità, senza intaccare il proprio. Se invece l’erede rinuncia all’eredità, la sua quota andrà ad accrescere quella degli altri eredi, che così erediteranno di più. Sia la rinuncia all’eredità, che l’accettazione espressa o con beneficio d’inventario devono essere fatte con una dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale.
*LC Cefalù