SCUOLE PUBBLICHE E SCUOLE PRIVATE, MASCHILI E FEMMINILI

Francesco Paolo Rivera *

Nel ‘700 l’insegnamento in Sicilia veniva gestito dai frati. Le scuole si dividevano in normali, che corrispondevano alle elementari, le altre alle classiche. Vi erano scuole per i ricchi e quelle per i poveri, quelle maschili e quelle femminili. Quando venne soppressa la Compagnia di Gesù (1) sorse il problema dell’insegnamento per i giovani, e infatti nel 1779 un decreto reale ordinò l’apertura di scuole pubbliche in tutte le case monastiche della Capitale, immediatamente ottemperato dai principali conventi. Con questo provvedimento, oltre a provvedere alle esigenze di insegnamento per i giovani il Governo offriva ai frati i mezzi per uscire dall’ozio restituendo loro la dignità di maestri. I fanciulli della gente bassa vennero ricevuti nelle scuole dove imparavano a leggere, scrivere e far di conto, la grammatica latina e il catechismo, gratuitamente. Le scuole avevano due classi, una di scrittura, lettura e aritmetica volgare, l’altra di elementi grammaticali latini (arrivavano alle prime regole di sintassi) secondo l’unico “Limen Grammaticum sive prima graecae rudimenta” (2). Si pretendeva la lettura, una buona calligrafia (grande e chiara), le operazioni aritmetiche “più facili, necessarie agli usi del popolo e degli artisti” cioè degli operai. Le lezioni duravano due ore al mattino e due ore al pomeriggio, era festivo il mercoledì di ogni settimana e tutti i giorni di festa della chiesa, le vacanze annuali duravano un mese dal 4 ottobre al 4 novembre. Si premiavano la diligenza e il merito dei fanciulli, ed erano severamente proibiti i regali ai maestri per evitare la parzialità dei maestri verso gli alunni. Tutte le lezioni dovevano incominciare con l’invocazione dell’aiuto divino e finire con un ringraziamento a Dio. Il tutto sulla base delle istruzioni di Mons. Airoldi (3) che aveva la giurisdizione su tutte le fraterie (conventi). Nel 1788 furono istituite a Palermo le prime tre Scuole normali per opera di G. A. De Cosmi (4) una ai Crociferi, una al Palazzo Reale e una alla Parrocchia di S. Antonio, il cui scopo principale era quello di dirozzare e istruire il popolo. La riforma incontrò l’apprezzamento della popolazione, tanto che furono prese di assalto dai discenti, e quaranta frati siciliani, inviati a Napoli per istruirsi, furono collocati tutti a insegnare in Sicilia. La base di insegnamento rimase la lettura, la scrittura, il far di conto e l’indispensabile catechismo, ma venne bandito il latino (che prima era ritenuto indispensabile); il De Cosmi mantenne la Direzione generale delle scuole della Capitale.  Le scuole normali erano gratuite e ovviamente gli insegnanti privati videro disertare le loro scuole. I “baroni”, obbligati dal Governo a istituire, nelle terre a loro soggette, a proprie spese, scuole si opposero energicamente tanto che il Re, (tramite il Vicerè) li rimproverò energicamente. Alcune scuole private rimasero in attività: una scuola del centralissimo Rione della Pietà (mandamento di Seralcadi) gestita da un ecclesiastico e protetta dal P.pe di Villafranca, frequentata da fanciulli della classe civile ma tenuta in considerazione anche da quelli della classe nobile, ogni anno si svolgeva un saggio (che si protraeva per due giorni). Tale manifestazione che, molto apprezzata dal pubblico che interveniva numeroso tributando lodi agli alunni e plauso al Precettore, veniva pubblicizzata mediante un cartellone, vergato a mano, affisso in un angolo di piazza Vigliena (Quattro Canti), quello dell’ottobre 1796 era del seguente tenore “Trattamento letterario nella casa del Sig. Principe di Villafranca” seguito dal programma a stampa: “Prospetto di quanto si praticherà bell’esercizio letterario solito in ogni anno tenersi al fine degli studi degli scolari del sacerdote Michele Castiglione che ha la scuola dirimpetto al Convento di S. Agostino dedicato all’ill.mo sig. Duca Lucchesi distribuito in due giorni.” Tuttavia questa scuola, ritenuta tra le migliori scuole private della Città, fu costretta a chiudere. Infatti, il Re Ferdinando, preoccupato per le nuove ideologie generate dalla Rivoluzione Francese, ritenute pericolose nell’ambito scolastico, perché avrebbero potuto sottrarre la classe civile al controllo governativo, proibì negli istituti privati l’insegnamento delle scienze. Non ritenendo, padre Castiglione, di dovere adottare tale disposizione il 27 marzo 1799 il Governò chiuse la scuola con notevole danno per i discenti. Vale la pena, in proposito, trascrivere un aneddoto in rima. Un maestro di scuola di Palermo, definito gran chiacchierone, venne così presentato dall’abate Antonino Gallo, siracusano, amico del Metastasio: “Un panormita precettor, che spesso / il pranzo per ciarlar lascia e la cena, / sfogava nel ginnastico consesso / la sua loquace inesauribil vena. / Il segno alfin sonò, per cui concesso / al misero fanciullo uscir di pena, / né si avvedea che da le ciarle oppresso / chi grattavasi il capo, e chi la schiena. / Manca intanto col sol, che ormai s’invola, / al di là luce, ma non pria, che manchi / a quello o la materia o la parola. / I putti allor di più ascoltarlo stanchi / un dopo l’altro uscirono di scuola / ed ei fu inteso a ragionar coi banchi.” / Un seminario dei padri Scolopi, per giovani nobili, proveniente da Monreale e trasferito a Palermo venne ceduto al Governo che lo trasformò in un istituto per i ragazzi civili (per un corrispettivo annuo di cinquemila scudi), sotto la denominazione di “Collegio Reale Ferdinando” () e quindi vi accolse tutti i giovani aristocratici. La retta per i civili era di 24 onze mentre quella per i nobili era di 40 onze; la istruzione era la più larga e completa, la grammatica inferiore e superiore giungeva alle lettere e alla retorica, l’aritmetica volgare si allargava fino alle scienze, la lingua francese veniva insegnata da un insegnante di lingua madre, si insegnava il disegno, la scherma, il maneggio dei cavalli, la musica (violino e strumenti a fiato) e persino il ballo. Molti i rampolli preparati in questa struttura ad affrontare nella vita privata e in quella pubblica l’impronta della loro elevata origine e della cultura ricevuta, ma secondo quanto riferito su il “Diario” dal m.se di Villabianca, “non sempre la nobiltà del sangue veniva confermata dalla nobiltà delle opere e spesso … non erano scarse le riuscite infelici”.Nel 1781 venne aperta in Palermo la “Casa di educazione per la gente bassa” secondo il piano di disposizioni legislative predisposto da Vincenzo Emanuele Sergio (5), struttura che si dedicava all’educazione dei fanciul li poveri, di quelli abbandonati e degli orfani, seguita poi nel tempo da una caritatevole “Società siciliana umanitaria per l’infanzia abbandonata”. Esistevano, inoltre, altre istituzioni che ospitavano fanciulli abbandonati, che comunemente venivano distinti in “bianchi” (quelli ospitati nel Seminario di San Rocco) e in “turchini” (quelli del Buon Pastore). In tali istituti venivano ospitati, dietro pagamento di una retta annuale, anche figli di persone civili.   E passando agli istituti d’istruzione e di educazione femminili, si esigeva che le fanciulle che frequentavano il “Real Educandario Carolino” avessero almeno “i tre soliti quarti di nobiltà”. Grande scandalo vi fu per l’ammissione di una fanciulla alla cui famiglia mancava qualcuno dei quarti di nobiltà richiesti … non importava che la famiglia pagasse una retta di cinquant’onze all’anno, mancava il titolo essenziale …! infatti se, possedendo i “requisiti nobiliari” non si era in grado di pagare le cinquant’onze avrebbero provveduto le istituzioni …! Il Reale Educandario Carolino (7), non fu il solo istituto destinato all’istruzione per le fanciulle “… scuole di leggere, di ben formare il carattere (calligrafia), di aritmetica, di lingua latina, di lingua francese, di geografia di storia e di musica”, ce ne erano altre in cui si insegnava “… di lavorar calzette, di cucire alla francese, di ricamare e in bianco e in oro o argento, e in colorito a fiori, di travagliar merletto o di filo o di seta o d’oro ed argento, e di tutte le manifatture femminili”. Esistevano istituti come “Il Collegio della Sapienza”, quello “della Carità all’Olivella”, quelli “di Maria”, che gratuitamente largheggiavano nell’insegnamento della religione cristiana, secondo le Regole del Card. Arc. Pier Marcellino Corradini (1658-1743). Molte le critiche circa l’eccellenza di questi istituti: per tutte si riporta la testimonianza dell’arch. e pittore Jean Pierre Houel (1735-1813) che, nella cronaca dei suoi “Voiyage …” in Sicilia (Grand Tour – 1770 e 1776) racconta che, in una riunione conviviale nella casa di un nobile in Girgenti, sorse discussione, tra gli ospiti, circa la maniera di scrivere una parola in italiano, e se ne chiese l’intervento di due distinte signorine presenti. Le interpellate risposero che non sapevano leggere … e perché? … perché altrimenti avrebbero dovuto comunicare con gli uomini …, e un prelato presente le giustificò … le donne basta che sappiano recitare le loro preghiere …! Il M.se Tommaso Natale (8) attribuiva la carenza di istruzione alla insufficienza delle persone che non conoscevano “il vero e retto metodo di educare i nostri figlioli onde divenissero buoni e utili membri della Società” e attribuì il male a coloro che non proporzionavano la loro educazione alla condizione delle persone in particolare e in generale a quella del paese. E, a conferma di quanto detto, basta dare uno sguardo ai castighi che allora si infliggevano a coloro che venivano meno ai loro doveri di studio e di disciplina: “La ferla ‘nsigna littri, nomi e verbi” recita un antico proverbio siciliano … e questo era la regola adottata da certi maestri e da certe famiglie, in quell’epoca. Oltre al tubo di cartone con le orecchie d’asino che si faceva indossare ai più piccoli, per i più grandi delle classi superiori si usava mettere sulle spalle dei negligenti un panno rosso e una canna in mano (9). Al tempo dei Gesuiti un giovane con forte voce declamava, all’interno della scuola, in modo che fosse udito da tutti. il nome di colui che “non voleva studiare” preceduto e seguito dall’intercalare “Studeat, Studeat!”.  Il maestro o, per delega del maestro, il bidello, infliggevano al castigando un numero pari di “spalmate” (fragorose bacchettate sulle mani sia sulla destra che sulla sinistra), oppure altro castigo consisteva nel “cavallo” (il malcapitato caricato sulle spalle del bidello o di un robusto collega, che fungevano da cavallo, girava nell’aula mentre il maestro e altri con lui gli appioppavano “su quel di Roma” (10) delle sferzate). Naturalmente, se la colpa non era molto grave, la pena si scontava nell’ambito della classe, se, invece era molto grave si scontava in presenza di tutti i discenti della scuola, ordinati in quadrato. I meno … buoni (i “disumani” come venivano denominati) erano gli educatori del “Conservatorio del Buon Pastore dei figlioli dispersi di questa Capitale”, dalle palmate, ai cavalli, la pena passava al digiuno (a pane e acqua), fino al carcere e ai ceppi. Questi ultimi (i ceppi) venivano usati nei seminari, negli istituti di educazione e perfino nei conventi. Un alunno orfano, fuggito dal Buon Pastore, appena ripreso, la pena fu di quindici giorni di ergastolo e venti frustate al giorno: alla prima recidiva si aggiungeva il digiuno, alla seconda, l’esilio mediante l’imbarco sul primo bastimento in partenza dal porto, sicuramente non come passeggero o turista. Carlo Santacolomba (11) dinanzi a quei trattamenti rimase disgustato, e li bandì perché ritenuti crudeli, anche se i ceppi, pare che continuassero a essere usati. Anche l’Arciv. Airoldi era contrario alla maniera forte nei confronti degli indisciplinati (12), Una vecchia massima siciliana sentenziava “Lu superchiu castigari / fa spissu impijurari” (peggiorare). Certamente le cronache di allora non si occupavano delle normali “monellerie” degli studenti di allora, di quelle “straordinarie” però ne è rimasta traccia negli archivi del Governo: nelle regie scuole di Trapani la “Commissione Suprema della Pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia”, dovette intervenire per occuparsi (1782-1788) della indisciplinatezza di alcuni alunni divenuti assolutamente incorreggibili. Un rapporto ufficiale li definisce insolenti e indisciplinati, “a capriccio “salavano” la scuola “facendo Sicilia” (13), a piacere stabilivano vacanze. Invitati “a far circolo” (sistema allora molto in voga per la ripetizione che precedeva l’entrata in classe), sotto la direzione di un compagno detto “centurione”, si rifiutavano; di esercizi letterari non volevano sapere, e rimbaldendosi l’un l’altro scioperavano passeggiando per l’atrio e cantando canzoni.” A quei tempi, si studiava molto meno che oggi. Certo c’era chi studiava di più, chi di meno, e probabilmente c’era meno interesse per la cultura, in quanto spesso il titolo di studio non era indispensabile per affrontare la vita. Fintanto che dopo il 1860 si cominciò ad avere un maggiore interesse per la scuola, tutti cominciarono a studiare (14), non solo coloro che nutrivano una particolare attrazione per gli studi … si dovevano affrontare gli esami …! Le antiche sferzate dei maestri “maneschi” a scolari “indisciplinati e riottosi” si sostituirono con le bocciature!

*) Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib4

Note:

  • 1)col breve apostolico (documento pontificio meno solenne della “bolla”) “Dominus ac Redemptor” del 21 luglio 1773, Papa Clemente XIV° decise di sopprimere la Compagnia di Gesù. Tale soppressione fu il risultato di una mossa politica. Infatti i gesuiti avevano acquisito uno enorme reputazione in Europa, tale da preoccupare molti Stati per le interferenze politiche e per il condizionamento economico che apportavano ai governi dei vari paesi. I conflitti iniziarono, sotto l’aspetto economico, prima in Portogallo, poi in Francia per estendersi fino al Regno di Napoli e a quello di Sicilia;
  • 2)introduzione alla grammatica della lingua latina tratta da quella di padre Emanuele Alvaro della Compagnia di Gesù di Gio. Battista Fageo tradotta in lingua volgare da Carlo Bigotti;
  • 3)Alfonso Airoldi, Padre Teatino (1729-1817). Fu Segretario del Tribunale per la Inquisizione nel 1747 e Giudice del Tribunale della Regia Monarchia, fu Arcivescovo di Eraclea, Cappellano del Re, nel 1778 divenne membro della Deputazione degli Studi: fece aprire scuole popolari in tutti i Conventi della Capitale;
  • 4)Giovanni Agostino De Cosmi, pedagogista, nacque a Casteltermini nel 1726, studiò belle lettere, filosofia e teologia, entrò nel Collegio domenicano dei SS. Agostino e Tommaso di Girgenti (oggi, dal 1927, Agrigento), nel 1749 venne nominato maestro di retorica nel Seminario di AG. Studiò storia antica, moderna e religiosa, i grandi classici da Orazio, a Platone e Cicerone, nel 1751 fu nominato curato della Chiesa di Casteltermini, nel 1759 fu incaricato della direzione delle Scuole pubbliche di Castronovo, nel 1765 fu eletto Predicatore nella Cattedrale e per la prima volta affrontò l’oratoria in lingua italiana (fino allora era in lingua siciliana) e divenne rettore del convitto universitario di Catania e nel 1768 Canonico della Cattedrale, nel 1770 vinse la cattedra di teologia dogmatica a Catania ove nel 1777 fu incaricato della riorganizzazione delle scuole del seminario, nel 1779 fu incaricato dal Governo di Napoli di redigere un piano di riforma per l’Università e nel 1787 rientra in Sicilia ove ebbe l’incarico di rettore generale della riforma delle scuole. Morì a Palermo nel 1810;
  • 5)è quello che dopo l’unificazione si trasformò in “Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II°”, poi in “Liceo Classico Vittorio Emanuele II°” e infine in “Convitto Nazionale Giovanni Falcone”;
  • 6)E. Sergio nacque a Palermo nel 1740. In origine, fabbricante di sete, aveva ottenuto nella metà degli anni ’60 assieme al fratello, la privativa di una fabbrica di “fettucce lavorate e forate nel recente gusto del fuori Regno”, e si dedicò anche alla pubblicazione di studi sulla produzione delle sete. Intraprese anche la carriera nell’amministrazione del Regno, redasse nel 1766-68, per conto del Vicerè Fogliani, un Codice di commercio di Sicilia, nel 1769 ebbe incarico di soprintendere al “popolamento dell’isola di Ustica”. Produsse molte pubblicazioni su svariati argomenti di economia, nel 1773 pubblicò un “Discorso sul cattivo pane di Palermo”, ricoprì la carica di “castellano” della baronia di Solanto, nel 1778, ricoprì l’incarico di governatore dello “stato feudale di Resuttano”, nel 1779 per incarico del Senato di Palermo redasse un piano di leggi e regolamenti per la istituzione di una “casa di educazione della gente bassa” e nello stesso anno conseguì nella Nuova Accademia degli Studi di Palermo la cattedra di economia politica, prima in Sicilia e quarta in Europa. Morì a Palermo nel 1810;
  • 7)tale istituto sorse accanto alla Chiesa di S. Francesco di Sales, sullo stradone di Monreale in corso Calatafimi, in un complesso conventuale (progettato dall’architetto sacerdote Cosimo Agnetta e successivamente ampliato dall’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia). Nel 1779 Ferdinando III° di Borbone decretò che il monastero ospitasse venti fanciulle nobili, ma povere e l’anno successivo stanziò altre somme al fine di ampliare l’edificio e adattarlo a ospitare “nobili zitelle”. La gestione di tale educandato affidato alle monache fu in conflitto con le deputazioni amministrative che preferivano che si impartisse alle fanciulle una educazione laica, e nel 1840 l’ala nuova del convento venne separata dal monastero e l’educandato divenne un istituto di insegnamento che prese, per volere del Re, il nome della Regina Maria Carolina, “Real Educandario Carolino”, nome che venne modificato, dopo l’unificazione al Regno d’Italia, nel 1863, in Istituto “Maria Adelaide di Savoia”, dal nome della consorte del Re Vittorio Emanuele II°, e oggi soltanto “Educandato Statale Maria Adelaide”;
  • 8)giurista e filologo palermitano (1733-1819), fu docente all’Università di Palermo, Consigliere di Stato, Magistrato del Commerciò, collaborò alla riforma del Codice Penale;
  • 9)non è specificato dal cronista il significato del panno rosso e della canna;
  • 10)la determinazione del “quel di Roma” manca sul testo di Giuseppe Pitrè e su quelli di altri autori, ma trattandosi di un sito in cui si “appioppavano le sferzate” si lascia alla fantasia del lettore;
  • 11)Fu vescovo di Anemurio (l’antica Eski Anamur), in Turchia, del Patriarcato di Antiochia dal 1731 al 1801. si riporta (dal suo libro l’”Educazione”) un suo giudizio circa il trattamento destinato agli alunni del “Buon Pastore”: “Quando un ragazzo arrossisce, per me è punito. Quella tinta che si estende sul di lui volto, mostra il colore della virtù, e come questa non può far lega col vizio, così non ho alcun dubbio che rossore e ravvedimento camminano sempre in ottima compagnia: l’impegno del Rettore non dovrà esser quello di rendere infelice il figliolo, ma di recuperarlo dolcemente emendato.”
  • 12)nelle istruzioni che impartiva agli insegnanti al momento dell’apertura di nuove scuole, raccomandava: “….fosse la disciplina scolastica mantenuta meglio per via della ragione, dell’amore e delle vergogna che per quella dei castighi e delle sferzate, con che si suole l’alunno abbassare e fare un abito vilissimo di durezza e di servitù.”
  • 13)“salare la scuola” e “fare Sicilia” ha il significato di marinare la scuola;
  • 14)Giuseppe Pitrè riporta una formula tradizionale, molto in uso a quell’epoca, che serviva a rivendicare la proprietà di un libro per uno studente ma anche un certo attaccamento allo studio : “Se questo libro si perdesse / e qualcuno lo trovasse / a mani di … il nome del proprietario … lo portasse. / Se non lo porterà, / all’inferno se ne andrà!”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy