AIACE DI SOFOCLE A SIRACUSA NELLA 59 a STAGIONE
Gabriella Maggio
Aiace, la più antica tragedia di Sofocle (forse 497-406) giunta a noi, presenta i grandi temi caratterizzanti il suo teatro, la grandezza e la vulnerabilità dell’eroe, la sua solitudine di fronte alla violenza degli dei, la morte come unica possibilità di sottrarsi alla miseria della vita. La vicenda si colloca durante la guerra di Troia dopo la morte di Achille quando gli Atridi assegnano le sue armi ad Odisseo e non ad Aiace, il guerriero più valoroso tra i Greci. L’eroe offeso progetta di sterminare gli Atridi, Odisseo e l’esercito greco. Ma su di lui incombe la vendetta di Atena, risentita perché Aiace in battaglia aveva rifiutato l’aiuto degli dei, fidando nella sua forza straordinaria. Nella furia della carneficina l’eroe, accecato dalla dea, fa strage di greggi, soltanto quando ritorna in sé capisce di avere perduto in maniera irrevocabile l’onore e decide di uccidersi. A nulla valgono le preghiere di Tecmessa e dei marinai o l’affetto per il figlio bambino. Si allontana da tutti e sulla spiaggia si trafigge con la spada. La consapevolezza della sua dolorosa condizione lo eleva a simbolo del dolore universale e della fragilità umana. Nel dramma non manca, secondo l’uso di Sofocle, l’ironia . Infatti Aiace avrebbe potuto evitare il disonore se gli amici fossero giunti in tempo ad avvertirlo che Atena gli sarebbe stata ostile solo in quel giorno. Inutilmente Teucro chiede agli Atridi di celebrare solenni riti funebri per lo sventurato fratellastro. Sarà Odisseo che sin dall’inizio ha avuto pietà di Aiace a piegare l’odio di Agamennone e Menelao. La morte di Aiace segna il passaggio dalla civiltà fondata sulle leggi del più forte e della vendetta ad una civiltà in cui vige un nuovo senso dell’umano, in cui non esistono più la ragione assoluta e l’irrevocabilità delle decisioni. È lo scarto dal Mito alla Storia . La differenza tra ciò che è giusto e ciò che non lo è si è fatta incerta. I nuovi eroi sono simili a Odisseo che tiene conto che il bene non può derivare solo dalla forza, ma soprattutto dal buon senso e a volte dall’astuzia. Viene alla ribalta l’instabilità dell’umano, come ha notato Umberto Albini. Attraverso il dolore e l’ assenza , come ha spiegato Jean Starobinski, Aiace afferma l’inconsistenza delle situazioni e degli sforzi umani. La consapevolezza dell’eroe si inserisce nel quadro più ampio della sentenza di portata universale che chiude la tragedia, allorchè il Coro dice :”I mortali conoscono /solo ciò che vedono./Ma nessuno vede nel futuro, / nessuno sa che cosa gli riserva il domani”. Nella 59a stagione del Teatro greco di Siracusa Luca Micheletti ha proposto Aiace, nella traduzione di Walter Lapini, rivestendo con efficacia il doppio ruolo di protagonista e di regista. Ben amalgamati con la regia i costumi di Daniele Gelsi e Elisa Balbo , le luci e le scene di Nicolas Bovey. Sapientemente ironica l’Atena di Roberto Latini. Ambiguo, sul discrimine di due mondi, l’Odisseo di Daniele Salvo, convincenti Tecmessa e Teucro. Coinvolgeni i Cori e le musiche di Giovanni Sollima. Il pubblico sempre numeroso ha concluso lo spettacolo in standing ovation.