REAL CASA DEI MATTI DI PALERMO
Francesco Paolo Rivera *
Pietro Pisani
Quello che oggi è il Teatro Bellini di Palermo, era stato edificato in legno nel 1726, dalla famiglia dei marchesi Valguarnera di Santa Lucia che lo denominò “Teatro di Santa Lucia”, nel sito ove esisteva un precedente teatro popolare denominato “Travaglino” (dal nome di una maschera palermitana di quei tempi). Argomento principale di questo articolo non è, però, il teatro. ma un avvenimento avvenuto il 4 ottobre 1811, quando in quel teatro, che aveva assunto la denominazione di “Real Teatro Carolino” (1) si rappresentò l’opera buffa “Così fan tutte” di Wolfgang Amadeus Mozart, avvenimento che si potrebbe definire … “cos’e pazzi”. Infatti, la sera della prima rappresentazione lo spettacolo venne disertato dal pubblico palermitano (2). L’avvenimento provocò la reazione del barone Pietro Pisani, entusiasta fan mozartiano, il quale qualche tempo dopo, a tutte sue cura e spese, con orchestra e cantanti di prim’ordine, organizzò la prima rappresentazione del “Flauto magico” di Mozart, nello stesso teatro, a beneficio e con la presenza di un unico spettatore: lui stesso …: castigava così i suoi concittadini, che avevano disertato la precedente rappresentazione!! Chi era il barone Pietro Pisani? Palermitano, nato nel 1761, di famiglia di origine veneziana, faceva parte della così detta “piccola nobiltà” (il titolo nobiliare non gli era pervenuto ereditariamente, ma gli era stato conferito dal Re per i servigi prestati, non aveva antenati illustri, non possedeva proprietà terriere), era un burocrate. Regio precettore borbonico fu deputato a diverse cariche pubbliche, (piccolo di statura, corpulento, occhi e carnagione scura), ma di carattere fermo e deciso. Quando gli architetti inglesi Harris e Angel cercarono di trasferire, in Inghilterra, per esporli al British Museum (almeno così dicevano), le metope dei templi di Selinunte, frutto dei loro scavi archeologici, si oppose decisamente (3). Contro il volere della famiglia reale portoghese, sposò Maria Teixeira de Albornoz – membro di tale famiglia – che gli diede otto figli. Nel 1815, a seguito della perdita del figlio prediletto Antonio, e del suo più grande amico, il poeta e drammaturgo palermitano Giovanni Meli, cadde in depressione e abbandonò la sua attività burocratica. Fortunatamente per lui, in conseguenza della restaurazione del regime borbonico gli fu conferito un nuovo incarico di primaria importanza nella pubblica amministrazione, venne nominato ufficiale capo nel Ripartimento dell’Interno presso la Reale segreteria del Luogotenente Generale, con varie mansioni in campo dell’amministrazione dei beni culturali, delle prigioni e della sanità, e così il barone Pisani, privo di conoscenze mediche e avverso ad esse, e dichiaratamente contrario ai medici (4) e alle medicine, si trovò a dovere affrontare le problematiche del settore sanitario, che proprio in quel periodo storico non godevano di particolare prestigio (l’unica sede universitaria ove, in Sicilia, si insegnava medicina era quella di Catania). Ma egli, malgrado avesse superato l’età di sessant’anni, si dedicò con grande perizia ed entusiasmo allo svolgimento dell’incarico affidatogli (nel 1824), dal Luogotenente Generale del Regno, marchese Pietro Ugo delle Favare,( barone di Gattaino e di Foresta Vecchia – feudi nei territori dei Comuni di Belpasso e di Bronte, in provincia di Catania), di “Deputato dell’Ospizio dei Matti di Palermo. Tale struttura, che accoglieva oltre agli ammalati di mente, anche gli scabbiosi, i tisici e gli appestati, era ubicata tra il fiume Oreto e l’attuale corso dei Mille, era stata edificata sui ruderi di un castello costruito da Roberto il Guiscardo (nel 1071) in un sito denominato “la Vignicella” (per i vitigni che vi crescevano), oggi via Gaetano La Loggia (tra via Pindemonte e viale Regione Siciliana). Naturalmente la struttura si rivelò assolutamente inadeguata come sanatorio, e il barone Pisani si diede subito da fare per sistemarla (5). Trasferì tutti i malati di altro genere in un edificio vicino alla Zisa, riservò i locali della Casa dei Matti ai soli malati di mente, eliminò l’uso delle catene e delle bastonate (all’epoca, unici rimedi previsti per la “cura” dei matti), divise i degenti per sesso e per patologie, iniziò la ristrutturazione dell’edificio (spesso avvalendosi della mano d’opera specializzata di quei ricoverati in grado di lavorare, che si sottoponevano spontaneamente allo svolgimento di “pratiche ricreative”), migliorò il vitto e le condizioni di vita, istituì appositi registri ove venivano annotate tutte le notizie che riguardavano i degenti (internamento, diagnosi, terapie, esiti, e ogni altra informazione che li riguardasse), fece dismettere tutti coloro che erano stati internati senza che ne avessero le condizioni (6). Il b.ne Pisani, che amava farsi denominare “il primo pazzo della Sicilia”, non soltanto abbracciò le nuove teorie degli psichiatri di quell’epoca (7), praticate al manicomio di Aversa (entro il quale pare che il barone sia andato a “curiosare”), ma dimostrò l’attitudine alla gestione degli aspetti manageriali (amministrativi, economici e organizzativi) della “Real Casa dei Matti di Palermo”. Affrontò, quale primo problema, l’aspetto economico: le provviste finanziarie erano in buona parte a carico dell’erario cittadino e di quei capoluoghi dell’isola che – non avendo strutture adeguate – inviavano i loro degenti al manicomio della capitale, dagli enti di beneficenza e in parte dalle famiglie dei ricoverati, a carico delle quali vennero imposte delle rette (i poveri ne erano esentati dal pagamento). Pubblicò un regolamento della struttura che concentrava nelle sue mani tutti i poteri gestionali (gestione dei dipendenti e vigilanza dell’operato degli stessi e del “trattamento morale” dei ricoverati). I ricoverati erano sottoposti a una “cura morale” esente da ricorso a farmaci; era prevista la figura del “Maestro dei Matti” che svolgeva la funzione di sorveglianza dei malati; vennero aboliti, dal vocabolario della Casa, i termini “folle”, “matto”, “pazzo”; il ricovero di un degente, onde evitare abusi di qualsiasi tipo, era deciso dal direttore amministrativo, dopo un periodo di osservazione per verificare la diagnosi (e, perché no, per verificarne le possibilità economiche); i pazienti erano suddivisi in maniaci, melanconici, imbecilli ed ebeti, mantenevano entro la struttura lo stato di libertà, seppure vigilati (si ricorreva all’isolamento e alla camicia di forza, eccezionalmente, solo in caso di furore, onde evitare danni a se stessi o ad altri), i melanconici, gli ebeti e gli imbecilli vivevano in ambienti spaziosi, molto luminosi, a contatto con la natura, venivano sollecitati ad ascoltare musica o ad assistere a rappresentazioni teatrali o a recitazione di poesie, ove possibile si cercava di far recitare loro stessi nel teatro (che venne costruito entro la Casa). I malati venivano allontanati dai propri familiari e amici (si presumeva, infatti, che la causa del disagio psichico derivasse spesso dall’ambiente familiare), e si cercava di mantenere rapporti di franchezza e di sincerità, tra sorveglianti e degenti. Nei programmi del barone – come accennato sopra – erano previsti anche lavori di ampliamento e di ristrutturazione della Casa, ai quali collaboravano attivamente i ricoverati: si cercava di coinvolgere i pazienti, che ne avevano la possibilità, in lavori manuali (le degenti di sesso femminile venivano adibite a lavori di cucito, di servizio alle cucine e al refettorio, quelli di sesso maschile giovani di età e più robusti, compresi i furiosi, venivano adibiti alla costruzione e alla ristrutturazione della casa, quelli più anziani a lavori di giardinaggio e di pulizia della parti comuni). Si cercava soprattutto di rendere più confortevole possibile il soggiorno dei ricoverati nella casa e di tenerli sempre impegnati in qualsiasi attività. Tale apporto di mano d’opera oltre ad impegnare fisicamente i degenti pare che comportasse notevoli risparmi economici. Le catene che servivano, una volta, per tenere sottomessi i degenti, vennero abolite ma restarono attaccate alle pareti, sulle quali erano iscrizioni programmate o anche iscrizioni e affreschi opere dei ricoverati e tabelle con i nomi dei degenti dismessi. Nella parete meridionale del portico si conserva il “decoro” (motivo ornamentale) di una fontana parietale con affreschi in mattonelle di maiolica. L’affresco rappresenta un pergolato, con al centro un pavone. A una schiera di angeli suonatori è rivolta una invocazione “Deh, per pietà formate il suon soave / che non si desti l’alma a Dio diletta / che sopra ogni altro duol miseria grave.” Al centro della struttura un grande cortile che dava accesso, mediante una scalinata, agli uffici amministrativi, alle stanze dei medici, a quelle degli ammalati più gravi, a quelle dei convalescenti o dei degenti in osservazione, al centro un grande affresco con figure allegoriche che rappresentavano la “Forza”, la “Ragione” e la “Pazzia” (visibili a tutti). Nel giardino, ove era stato costruito il teatro (a imitazione di quello greco di Siracusa), c’era l’angolo “cinese” (a imitazione della Palazzina della Favorita), le cascate artificiali, le gabbie con gli uccelli, e altre “bizzarrie” che servivano a dimostrazione dell’efficacia terapeutica dell’amenità dei luoghi destinati agli ammalati … secondo gli intenti e le inclinazioni del barone, il quale ormai non riusciva a distaccarsi da quella struttura, che era divenuta la sua residenza abituale! I pazienti, ove possibile, venivano portati a fare passeggiate in campagna, e a partecipare a feste campestri. Naturalmente tali sistemi di cura degli ammalati mentali, furono oggetto di curiosità e di interesse, sia perché ritenuti, da alcuni, stravaganti” sia perché basati sulla nuova “ergoterapia”, (metodo terapeutico di trattamento delle malattie mentali, consistente in una adeguata attività lavorativa). Molti, in Europa, coloro che inclusero nei loro viaggi (Grand Tour) in Sicilia una visita alla “Casa dei Matti” di Palermo. Nel 1827 l’inglese duca di Buckingham, in visita alla Casa, fu sbalordito dall’accoglienza dei matti (8). Qualche anno dopo il medico tedesco Eduard Guntz, colpito da insolazione durante un suo soggiorno in Sicilia, fu costretto a fermarsi nella struttura, ospite del barone, dove, fu guarito dalle cure ivi praticategli; rientrato in patria volle fondare una struttura per malati psichici sul modello di quella palermitana (9). Molte le testimonianze di altri personaggi che ebbero la curiosità di visitare la Casa dei Matti di Palermo (10), perfino Alessandro Dumas ne fece cenno sul “Conte di Montecristo”. Nel giugno 1837, a Palermo, scoppiò una epidemia di colera, che coinvolse tutta la struttura. Il colera uccise il barone e decimò più di un terzo dei ricoverati, dei dipendenti e dei medici. I figli del barone, i quali assunsero, dopo il decesso del padre, la direzione della Casa, furono destituiti per incompetenza. Il barone fu sepolto a Palermo nella Chiesa di San Domenico, a riconoscimento dei suoi meriti … (o – come insinuò qualcuno – della sua follia)! Di lui ci è rimasto un busto in marmo bianco scolpito dallo scultore Salvatore Rubino.
*Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib-4
Note:
- assunse la denominazione “Carolino” in onore della Regina Maria Carolina di Asburgo Lorena (moglie di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia), che lo frequentò assiduamente quando fu costretta a trasferìrsi dal Regno di Napoli esule a Palermo;
- come mai? … addirittura perché, in un teatro siciliano, fosse eseguita un’altra opera di Mozart si sarebbe dovuto attendere il 1947 (136 anni) … pare che il gusto dei siciliani per la lirica fosse accentrato sull’Andrea Chenier di Giordano e la Lucia di Lammermoor di Donizetti (che venivano rappresentate con una certa frequenza) piuttosto che per le opere del salisburghese, il quale era ben accolto durante i suoi soggiorni in altre città d’Italia (anche se con moderato entusiasmo);)
- “le metope di Selinunte sono siciliane, e debbono restare in Sicilia” … e furono conservate (e lo sono tutt’ora) nel Museo Antonino Salinas (di via Bara all’Olivella) ove si trova una tra le più ricche collezioni archeologiche d’Italia (con reperti fenici, greci, romani. bizantini, egizi ed etruschi):
- in alcune sue lettere definisce i medici “laureati antropofagi” (cioè cannibali);
- al solo scopo di descrivere sommariamente le condizioni inumane in cui versava la Real Casa dei Matti di Palermo, si trascrive di seguito il rapporto dello stato dei locali in cui erano ammassati gli ammalati, redatto, ad appena un mese dalla sua nomina, dal b.ne Pisani al Luogotenente: “Le stanze al piano terra anguste, scure, sordide e malsane offrono l’aspetto piuttosto di carceri che d’altro, anzi di quelle carceri segrete, dalle quali liberò … i delinquenti la beneficenza del nostro sovrano col nuovo codice stigmatizza il trattamento disumano dei matti “frammisti” e alla rinfusa rinchiusi a due o a tre furiosi, maniaci, dementi, fatui, idioti, ipocondriaci …moltissimi senza paglioni, un gran numero prostrati sopra semplice paglia, e sudicia, altri sulla nuda terra, e li legati con saldi e pesanti catene al muro:” … rileva le lacune igieniche, e, in particolare, la carenza d’acqua. “Estrema è la penuria dell’acqua, che basterebbe appena quant’è a dissetare scarso numero di persone in buona salute; lamenta la promiscua convivenza di malati psichici con etici, leprosi e tutti quei travagliati da sozze malattie cutanee cacciati dallo Spedale Grande.”;
- fino a quell’epoca chi entrava nella Casa dei Matti non aveva altra speranza di uscirne se non in conseguenza della morte;
- del medico tedesco Johann Gaspar Spurzheim (1776-1832) fondatore della “frenologia”, (dottrina in voga nel XIX° sec., che affermava la possibilit6à di studiare le caratteristiche mentali degli individui sulla osservazione della morfologia del cranio degli stessi), e del medico francese Philippe Pinel (1745-1826) studioso dell’analisi medica (nosografia filosofica) secondo il metodo dell’analisi applicata alla medicina che teorizza la necessità per il medico di scoprire i legami tra le malattie e le mutazioni anatomiche (indagine per la ricerca delle connessioni tra le malattie e le alterazioni anatomiche (metodi di terapia morale);
- scriverà, a ricordo di tale visita, di essere stato accolto da una trentina di degenti, sorridenti e divertiti, al suono di tamburi e da un picchetto d’onore che presentava le armi; che nelle stanze dei “melanconici” erano affrescate le immagini di Arlecchino, Pulcinella e di altre figure grottesche e che i degenti si rivolgevano al barone familiarmente chiamandolo “padre”;
- nel 1867 scrisse un libro sulla sua esperienza, ove mise in luce il contrasto tra le condizioni di arretratezza sociale della Sicilia in confronto con la struttura avveniristica palermitana.
- Il letterato siciliano Michele Palmieri di Miccichè (1779-1864) in un libro di memorie, scrisse che “nel paese più arretrato di Europa c’è il manicomio più avanzato d’Europa”. Il “Giornale dell’Intendenza” di Palermo, nel 1825, scrisse “l’Ospedale dei Matti … affidato alle cure di un deputato pieno di filantropiche idee, ha grandemente migliorato il suo aspetto e si è già …, incamminato per quella perfezione che dovrà un giorno portarlo al livello dei primi stabilimenti di materia esistenti in Europa”. Il musicista francese Juste Adrien de la Fage (nato a Parigi nel 1801 e morto, pazzo, a Charenton nel 1862) scrisse “Chi uscisse da questo stabilimento senza rendere grazie al suo direttore in nome dell’umanità dovrebbe egli stesso esservi trattenuto per essere guarito dalla follia.”. Nel 1835 Alessandro Dumas descrisse fedelmente la Casa dei Matti, in un libro pubblicato nel 1842, (quando il barone Pisani era già deceduto), e commentò “Molte persone diranno che il barone Pisani era altrettanto folle degli altri, ma almeno la sua follia era una follia sublime:” Nathaniel Parker Willis (N.P.Willis), (1806-1867), scrittore, giornalista, poeta ed editore, nella sua opera “The Madhouse to Palermo” (pubblicata su Metropolitan Magazine) riportò l’accoglienza degli ambienti e la serenità dei pazienti, come esempio da seguire per le erigende case di cura negli USA. Da questa opera, Edgard Allan Poe si ispirò alla stesura di uno dei suoi racconti più belli (più comici, surreali e tenebrosi) “The system of Dr. Tarr and Professor Fether” (Il sistema del dr. Catrame e del Prof. Piuma).