QUIET QUITTING
Daniela Crispo
La pandemia ha lasciato il segno anche nel lavoro. In un primo tempo ha causato nel mondo la fuga di circa cinquanta milioni di lavoratori con dimissioni volontarie anche con la prospettiva della disoccupazione. Accanto a questi “coraggiosi” c’è una schiera più” prudente” che dichiara di aspettare il momento più opportuno per lasciare, ma nel frattempo mette in atto una forma di non lavoro silenzioso. È il quiet quitting, l’abbandono silenzioso, che consiste nel non dare le dimissioni, mantenere lo stipendio impegnandosi al minimo nel lavoro, verso cui si dimostra disaffezione, rifiutando quello straordinario, quello festivo e in generale ogni impegno che richieda particolare cura per svolgere bene il proprio compito. Probabilmente tutti ne facciamo esperienza se frequentiamo uffici pubblici, ma talvolta anche quelli privati. L’etica del lavoro pare tramontata. Le cause sono molteplici. Gli esperti ne annoverano altre accanto al Covid che ha generato un diffuso senso di pericolo e precarietà , inducendo molti a stabilire una diversa priorità di valori concentrati sul presente. Tra queste cause ci sono anche il lavoro flessibile o l’eccesso di lavoro unito alla mancanza di gratificazioni in alcuni settori o anche la solitudine dello smart working. Nello stesso tempo è venuta meno anche l’idea di progresso, erosa dalle catastrofi climatiche e dalle guerre, rafforzando e radicalizzando la concentrazione su un presente senza prospettive future.