LA CITTÀ, LA SANTA E LA FESTA … “VIVA PALERMO E SANTA ROSALIA!”
Testo e foto di Andrea di Napoli
La caratteristica più curiosa del dialetto siciliano, parlato nella zona occidentale della regione, consiste nel dare alle parole un genere, maschile o femminile, diverso rispetto alla lingua italiana. Infatti conosciamo tutti la controversia intorno all’arancina palermitana o al gatto comune che sistematicamente diventa “’jatta”. Una breve passeggiata viene chiamata “passìo”, perfino il tovagliolo sulla tavola, con un francesismo, diventa “salvietta”, pertanto, la grande festa in onore della Santa Patrona per i palermitani sarà sempre “’u Fistino”. La data delle celebrazioni non corrisponde al giorno in cui la Chiesa festeggia Santa Rosalia (morta il 4 settembre 1170), ma ricorda il ritrovamento delle ossa su Monte Pellegrino (15 luglio 1624), e la miracolosa scomparsa dell’epidemia di peste, che aveva flagellato la città, attribuita alla misericordiosa intercessione della Santuzza. Prendendo l’avvio dalla devozione religiosa il Festino diventa uno spettacolo popolare di suoni e luci, di colori, di bancarelle e varia umanità. Solo dopo lunghe giornate dedicate ai lavori preparatori delle maestranze e alle faticose prove, ripetute infinite volte, il Carro Trionfale e il corteo saranno pronti per l’affollata processione conclusiva. Ogni anno numerose funzioni sacre e altrettante manifestazioni profane coinvolgono l’intera popolazione della città di qualsiasi livello sociale. Il culto della città verso Rosalia è successivo nel tempo a quello rivolto alle sante raffigurate dalle statue sulle facciate del complesso monumentale dei 4 Canti : Ninfa, Agata, Oliva e Cristina. In seguito anche la statua di Santa Rosalia trovò una degna collocazione poco distante, sul prospetto di Palazzo delle Aquile, sede del Municipio. La Santuzza protegge Palermo insieme al Co-patrono San Benedetto il Moro, un santo nato a San Fratello nel 1526 da genitori provenienti dal Nord Africa. Dunque, i palermitani hanno affidato la città a Santa Rosalia, che abbandonò il lusso e gli agi della nobile famiglia Sinibaldi e a San Benedetto, un modesto monaco figlio di immigrati. Numerosi intellettuali nel tempo hanno analizzato e approfondito il contenuto storico, artistico, la valenza sociale e ogni altro aspetto che è possibile cogliere attraverso forme ridondanti di religiosità popolare. Ma sono anche gli elementi più semplici e grossolani a rivelarsi molto utili per comprendere con quale Spirito e per quale motivo i palermitani si riversano ogni anno lungo le strade del Cassaro diretti verso la Marina per assistere ai giochi pirotecnici gustando l’ultima fetta d’anguria in attesa dell’immancabile “masculiata finale” che conclude fragorosamente i festeggiamenti.
Per montare le caratteristiche “luminarie” gli operai dovevano compiere acrobatiche evoluzioni.
(ph. a.d.n. 1982)