ANCORA LE MAGNIFICHE COINCIDENZE. O NO?

Carmelo Fucarino

Ph. Rosellina Garbo

Avvengono spesso nelle manifestazioni artistiche palermitane delle spiacevoli concomitanze, stesso giorno stessa ora, che obbligano ad una scelta spiacevole e dolorosa. Basterebbe che un impiegato fra le migliaia fosse incaricato e referente di coordinare almeno le civiche manifestazioni. Sarebbe poca cosa, ma provvida e necessaria in un sistema culturale che va diventando sempre più intenso in una città che nei recenti anni si è provvidenzialmente arricchita, anche per propensioni personali. Ma persiste il vuoto abissale in una organizzazione istituzionale, dalla sfera limitata del Comune a quella più larga della Regione, in cui i disservizi sono ben più gravi con perdite catastrofiche, per imperizia ed incapacità di burocrati improvvisati per affiliazioni politiche, tanto che un veterinario può dirigere una sovrintendenza archeologica e qualunque titolato anche la sovrintendenza del Massimo, eccezione ed encomiabile scelta quella del maestro Marco Betta, professionista della musica. Perciò la serata di domenica 16 aprile, assieme alla prova da molti mesi programmata nel calendario del Teatro Massimo con la prima di una Norma, alle ore 20, eccezionale per cast, si è sovrapposto nell’ambito della “Settimana delle culture” un evento straordinario per la città, l’esibizione alle 21 nella Cattedrale di Palermo, per la prima volta alla sua fondazione, dell’Orchestra Sinfonica del Rotary Club Palermo Est, Coro polifonico “Regina Pacis”, per una celebrazione della vita e della morte, Requiem di Mozart, diretto dal maestro Gaetano Colajanni, astro palermitano del Conservatorio (soprano Letizia Colajanni, mezzosoprano Alice Mulia, tenore Leonardo Alaimo, baritono Gabriele Ferrara, maestro del coro Vincenzo Marino, organo Adriana Biondolillo). È comprensibile lo stupore e il dispiacere della mancata presenza di un’impresa eccezionale, non solo per un Club di solidarietà che diventa faro di cultura musicale per la città intera. In questo ambito già lo scorso anno su iniziativa del presidente Salvatore Torregrossa e di Rosa Maria Ponte erano state dedicate due serate alla musica (classica) per i giovani (youtube, LA LIRICA PER I GIOVANI serata dedicata a PLACIDO DOMINGO.e LIRICA PER I GIOVANI CONCLUSIONE 2022). L’altra straordinaria coincidenza è la contemporanea rappresentazione al Teatro greco di Siracusa della Medea di Euripide. Difficile stabilire nessi e priorità delle due scelte, Palermo con Norma e Siracusa con il prototipo, ma comunque sono straordinarie per la lettura e l’elaborazione di un mito, nelle quali la chiave è il terribile infanticidio. Tutto quanto è avvenuto nella Medea, data alla Grandi Dionisie nel teatro di Dioniso di Atene del 431, ma offre esili riprese: la maga Medea, protagonista assoluta, barbara della lontana Colchide (Caucaso), tradisce per amore il padre rivelando il segreto del Vello d’oro a Giasone (cf. Argonautiche di Apollonio Rodio e altre versioni nel nostro Diodoro siculo, IV, 45 e Cicerone, De natura deorum, III, 19); qui Norma, sacerdotessa fedifraga del dio druidico Irminsul, madre segreta di due figli, avuti dal proconsole romano Pollione, allusivo a Pandione, padre di Egeo che Medea sposa dopo la strage di tutti i corinzi, Creonte e congiunti di Corinto, finanche i propri figli, fuggita ad Atene su un cocchio trainato da serpenti alati. L’amore unico e assoluto domina nell’anima di Medea, qui in Norma un intreccio di passioni amorose che giungono all’alleanza tra le due donne contro il fedifrago e il successivo rinnegamento. Qui un vanesio che giura amore a tutte le vergini sacerdotesse che gli capitano sotto tiro, là la nobiltà dei sentimenti e soprattutto la giustificazione alta, l’amore assoluto ed eterno, completo nell’assunzione di responsabilità, qui meschine e terrene vendette per orgoglio tradito. In Euripide l’unicità dell’amore è dominato dalle scelte politiche, in una società in piena crisi politica e sociale, nella brama paterna di lasciare un solido regno ai figli che ama intensamente tanto da rinunziare alla sposa legittima. Qui la sensualità esternata nel duetto ondivago dell’amore primario, là l’antitesi tra la democrazia e il conservatorismo, entrambi radicali, il senso del governo del popolo e dell’aristocrazia, in forme opposte, come nel conservatore Aristofane. Simbolo l’elogio della nutrice dell’isotes e metriotes, nell’adesione euripidea alla concezione periclea della polis, e gli interventi di Medea sulla condizione della donna e sui sophoi. Naturale il giudizio di secoli di rappresentazioni e variazioni, di eccellenza artistica. Difficile anche stabilire una differenza sul piano artistico, data la ripartizione strutturale della tragedia greca, tra episodi in trimetro giambico e stasimi nella tripartizione stesicorea di strophé, antistrophé ed epodo (cf. forma sonata, Esposizione, a volte preceduta da una Introduzione, Sviluppo e infine Ripresa, talvolta con Coda), la recita e il canto lirico che ai tempi di Euripide si ondava orientalizzando con riforme musicali. Qui in Norma il canto intero, tra romanze, duetti e trii, assenti i recitativi mozartiani della riforma pre- Gluck e della sua Euridice del 1762. In quanto ad Euripide si tratta di una delle tragedie e di un tema più riedito e riletto da Ennio, a Ovidio, Seneca e Draconzio, riscritto in tredici libretti di opera moderna, nella tragedia di Corrado Alvaro (Lunga notte di Medea), tema reso in danza, letteratura (Pierre Corneille), pittura (Eugène Delacroix), scultura, cinema (Pasolini), televisione. Lei, la maga innamorata: «io sola sono, senza patria, e oltraggio / mio marito mi fa, che me rapiva / da una barbara terra; e non ho madre, / non fratello o parente, a cui rivolgere / possa l’approdo in questa mia sciagura». Fino alla condanna: «Ahi, ahi, che gran malanno è amor per gli uomini!». Già risuona a Siracusa la voce di Laura Marinoni La Norma di Vincenzo Bellini del 26 dicembre1831, grande fiasco allora della Scala per l’inaugurazione della stagione di Carnevale e Quaresima 1832, ha come semplice richiamo . euripideo l’ipotesi portante classico dell’omicidio dei figli. Il tema del libretto di Felice Romani, autore preferito e amato da Bellini, con almeno un centinaio di libretti, tratto dalla tragedia Norma, ou L’infanticide di Louis-Alexandre Soumet (1786-1845) ritrae la caratteristica di “barbara” e “straniera” e una versione non euripidea del semplice tentato infanticidio dei figli; la condizione di maga (strega in Seneca) è rimodellata su quella di sacerdotessa. Altro il clima storico e la sonorità che è espressione lampante dell’opera italiana e del “bel canto concertante”. La romanza-preghiera Casta diva è l’apoteosi di tale sistema e forse la più nota nell’universo operistico, mentre l’intera opera è la vetta sublime del “bel canto all’italiana”. La spettacolare edizione 2023 del Massimo è una coproduzione con lo Sferisterio di Macerata, regia policromatica di Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi, resa viva e mutevole dalle luci di Luigi Biondi e dalle scene di Federica Parolini con costumi di Daniela Cernigliaro. Ha diretto l’orchestra del Massimo con ardore e passione il trentaduenne Lorenzo Passerini, maestro del Coro Salvatore Punturo. Le voci straordinarie per forza espressiva e sonorità sono state in questa prima quella del soprano lettone di Riga Marina Rebeka-Norma (nove minuti di applausi), del tenore russo di Elektrostal Dmitry Korchak-Pollione , del mezzosoprano russo di Kemerevo Maria Barakova-Adalgisa, del basso Riccardo FassiOroveso, del tenore Massimiliano Chiarolla-Flavio, del soprano catanese Elisabetta Zizzo-Clotilde. I 190 minuti sono volati nel timbro sonoro roboante e talvolta assordante dell’orchestra del Massimo e nelle levità e dolcezze dei diversi Cori. Forse in qualche sequenza la sonorità è stata alquanto elevata, forse dovuta all’amplificazione, secondo me superflua ed eccessiva, come hanno sottolineato anche i miei collaterali, per un teatro che è ritenuto di un’acustica di eccellenza mondiale, merito di Gian Battista Filippo Basile e poi del figlio Ernesto. A parte la sala a ferro di cavallo, compromesso tra la sala circolare romana e l’anfiteatro classico come l’Arena di Verona e le piante ellittiche di Borromini, a parte il perfetto rapporto fra l’altezza e l’ampiezza della sala e quelle del palcoscenico, innovativa fu la decrescenza della curva fino a immettersi nel proscenio rettilineo. Ma geniale fu l’invenzione dell’acustica, soluzione opposta ai tempi, con il collocare l’orchestra sotto l’arco armonico e sotto i palchi di proscenio, retrocedendo invece la ribalta verso il palcoscenico e facendo la curva di modico raggio. Perciò al contrario delle norme del tempo, spostando verso il palcoscenico l’orchestra e la ribalta, guadagnò spazio alla sala ed ottenne un’acustica eccellente a livello mondiale. Dati i miei commenti alle altre due recenti rappresentazioni in questo teatro, per la biografia di Vincenzo Bellini, per la storia dell’opera e per le soluzioni timbriche di altri registi e interpreti rimando a Carmelo Fucarino, Palcoscenico. Rivisitazioni tra lirica ed opera (2009-2022), Thule ed., 2022,”Una Norma poco normale”, p. 157, “Norma, la Medea druidica”, p. 302.

 

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