IL DON PASQUALE RUOTANTE TRA SELFIE E WHATSAPP

Carmelo Fucarino

Ph.Rosellina Garbo

Appena quasi quattro anni fa il 6 luglio 2018 nel riaprirsi delle stagioni estive del Teatro Massimo lo stravagante don Pasquale vive in una casa museo sotto il cielo tiepido del cortile del GAM, la Galleria d’Arte Moderna, quella ariosa di piazza S. Anna che la ospita realmente e dove nella burla lo mette in crisi l’altrettanto ingegnosa Norina che la metterà tutta sottosopra installandovi un ristorante di cucina a lei cara, quella romana. Quel chiostro, di ottima acustica, era trasformato dal regista Roberto Catalano (spazi scenici ideati da Emanuele Sinisi, i costumi di Ilaria Ariemme e le luci di Salvatore Spataro) in una piazza trasteverina dell’Ottocento, una moderna Dolce vita del presuntuoso don Pasquale, diretta da Alberto Maniaci, bacchetta d’assalto, secondo L’espresso, sberleffo di eccellente e sbarazzina lirica comica del grande Gaetano Donizetti. L’opera buffa in tre atti si dice buttata giù in soli undici giorni (forse la sola parte musicale, strumenti e voci), su testo firmato da Michele Accursi, ma forse dello stesso Donizzetti, ripreso su un Ser Marcantonio di Angelo Anelli musicato nel 1810 da Stefano Pavesi, prima esecuzione alla Salle Ventadour del Théâtre Italien di Paris, il 3 gennaio 1843, alla Scala il 17 aprile. Tra l’altra originalità è la prima opera buffa che presenta recitativi accompagnati e non secchi. La messinscena al Teatro Massimo del 17 febbraio 2023 è un nuovo allestimento in coproduzione con ROH Covent Garden e Opéra di Parigi. Come era nel costume dello stesso Donizetti, che collocava l’opera ai suoi tempi e alla topografia della sua amata Roma, questa coproduzione non lo ha voluto tradire e su una moderna scena rotante, ha collocato il suo appartamento con apertura sulla platea e porte comunicanti. La modernità della regia dell’estroso e rompiscena Damiano Michieletto non sta solo in questo modernariato immobiliare minimalista, sarebbe poco o nulla, la fa da padrone il cellulare con le lettere in whatsapp e i selfie, ma anche con le riprese cinematografiche dal vivo proiettate sul grande schermo. Eppure questa intrusione non disturba e tutto appare naturale, certo per spettatori adusi a questi strumenti, diventati applicazioni della vita umana, protesi delle quali non si sa più fare a meno. Così quella fuoriserie occhieggiante in tutte le prospettive finita in frantumi. Proprio ieri sera sulla benemerita RAI5 ho gustato un’opera moderna, rifacimento operistico di Giorgio Battistelli a La Fenice della sua Venezia delle Baruffe chiozzotte di Goldoni. Il bizzarro costruttore del moderno vecchietto così spiega: «È uno spettacolo intimo, psicologico, racchiuso in un piccolo spazio che rappresenta il privato di Don Pasquale – dice Michieletto -. Il protagonista è uomo vecchio, ma in qualche modo ancora bambino: incapace di gestire i suoi sentimenti e legato ad abitudini che lo portano ad isolarsi ancora di più». Così appare un «ironico gioco delle parti tra la generazione Z, scaltra e frizzante, e quella dei padri, matusa noiosi e privi di humor.

ph.Rosellina Garbo

È così che il mobilio demodé e minimalista di Don Pasquale, saldo nostalgicamente al secondo dopoguerra italiano, si trasforma visivamente nella vittima del tornado giovanilista, lasciando posto al design più sfrenato in una casa inventata da Fantin per captare lo scialbo modernismo. Uno scontro generazionale che tra mobilia fuorimoda e tecnicismo sfrenato, in cui si realizza questo turbine giovanilista che tutto sconvolge, cose e persone, tra sfacciata ironia e ammissione di una realtà mutata, gusti dimessi e stravolti. Perciò la briosa ed incalzante direzione del giovane Michelle Spotti, i gabbi del vecchio in tutte le tonalità di canto, hanno richiamato tanti applausi alla compagnia, dall’autoironia del basso Michele Pertusi, alla delicatezza del tenore René Barbera, alla capacità e mobilità interpretativa del soprano Giuliana Gianfaldoni. E tutto l’armamentario canoro, i virtuosismi orchestrali dell’opera comica all’italiana, tutta riprese e gorgheggi, e proprio di questa opera la più celebre nei teatri mondiali. Il pubblico apprezza questa levità e ironia onnicomprensiva e ricambia con applausi questa prova di conflitto generazionale che si dispiega nella morale di Norina, la ‘bricconcella’ «Ben è scemo di cervello / chi s’ammoglia in vecchia età; / va a cercar col campanello / noie e doglie in quantità.».

 

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