NEL CENTENARIO DELLA MORTE DI MARCEL PROUST
Gabriella Maggio
Marcel Proust, di cui il 18 novembre si è ricordato il centenario della morte, è soprattutto noto per la sua monumentale opera Alla ricerca del tempo perduto, che rivela secondo il critico Giovanni Macchia ” alcune profonde verità nell’esplorazione dell’inconscio per fare apparire alla coscienza fenomeni consci che, completamente dimenticati, erano situati tanto lontano nel nostro passato”. Per questo Proust è stato avvicinato a Freud anche se non c’è traccia di una sua influenza diretta sullo scrittore francese. Marcel protagonista e narratore della Ricerca si interroga sulla propria identità per trarre una giustificazione della sua esistenza. L’opera è un viaggio interiore nel quale si alternano senza soluzione di continuità presente passato futuro per giungere a una verità non più metafisica, religiosa o morale, ma semplicemente interiore attraverso lo scandaglio della propria coscienza. Muovendosi su differenti piani temporali Proust dimostra che per lui il tempo non è quello lineare della fisica ma quello della coscienza che si ritrae e ritorna come le onde del mare. Il meccanismo che consente il recupero salvifico del passato è la memoria involontaria che crea illuminazioni improvvise, scaturite spesso per uno stimolo occasionale e per analogia. In un fondo di oblio, celato alla coscienza allo stesso modo dell’inconscio freudiano, è custodita l’essenza di ogni individuo che solo l’arte consente di ritrovare. L’arte vince l’azione distruttrice del tempo. Nella Ricerca c’è anche l’esperienza dello scacco e del buio dell’anima, ma c’è costante la fiducia che sia possibile ritrovare il tempo perduto. Infatti Il tempo ritrovato è il titolo dell’ultima parte della Ricerca, quella che ne svela il senso. Tutta la rievocazione della propria vita assume nell’opera forma d’arte e afferma la propria vittoria sulla transitorietà.