SOPRAVVIVERE NON È UN FILM
Andrea di Napoli
«Ognuno il proprio destino ce l’ha nel nome che porta!» sosteneva Augusto Lumia, il quale sapeva benissimo che il cognome di famiglia proveniva dal profumato agrume coltivato nei giardini siciliani, ma aveva inventato una inesistente discendenza dai fratelli Lumière per giustificare la sua decisione di aprire un cinema nella strada principale del paese. Per molti anni gli incassi della sala “Gioiello” avevano permesso ai Lumia di vivere dignitosamente, ma la crisi dei primi anni del terzo millennio aveva allontanato definitivamente il pubblico dal botteghino. I figli del titolare, Pippo e Totò, intendevano resistere tenacemente, ma, dopo due settimane durante le quali non avevano staccato neanche un biglietto, dovettero rassegnarsi alla chiusura del cinema. L’anziano Augusto godeva ormai di una meritata pensione, ma i suoi figli erano ancora giovani ed incontravano serie difficoltà a trovare un nuovo lavoro dal momento che le loro competenze riguardavano unicamente le pellicole, i proiettori ed un centinaio di film della loro collezione privata. Ma alla fine Pippo e Totò ebbero l’idea giusta. Il progetto che i fratelli Lumia presentarono ad una organizzazione internazionale di sostegno e ricreazione sociale venne accolto e finanziato. I due avrebbero portato con un furgone il “cinema ambulante” nei quartieri degradati, nelle bidonville e nelle baraccopoli dei Paesi sudamericani, un po’ come era accaduto in Italia nel secondo dopoguerra. Trascorsero la prima settimana tra le banchine delle borgate marinare brasiliane, nelle quali le proiezioni avvenivano mentre qualche pescatore ricuciva le reti ed altri ascoltavano la malinconica Bossa Nova che un certo Vinicio suonava tra il fasciame delle barche scolorite. Successivamente si diressero verso l’estrema periferia abitata dagli “ultimi”, da esseri umani dimenticati e da infelici bande di bambini abbandonati. La favela è uno spazio urbano, ma assolutamente fuori dal controllo governativo e al suo interno fioriscono solo le attività criminali che l’esercito tenta inutilmente di reprimere con metodi violenti. I proiezionisti erano consapevoli che la loro presenza in quel luogo avrebbe potuto comportare qualche rischio concreto, ma montarono ugualmente il “grande schermo” e tra tutti i film disponibili scelsero la versione originale con sottotitoli in portoghese della commedia francese “Il Tempo delle Mele” per restituire, in un paio d’ore, gli anni dell’adolescenza che la miseria aveva rubato a quegli spettatori. La presenza di un tipo col sigaro e gli abiti meno stracciati degli altri sembrava significare che assistere al film sarebbe stato tollerato. Qualche vecchio e quattro disabili sulle traballanti carrozzine attendevano già impazienti. Ma i bambini dove sono? Le migliaia di bambini senza una famiglia che popolano le favelas vivendo di espedienti e “respirando” dentro un barattolo di colla rischiano la vita tutti i giorni e la notte non possono dormire tranquilli. Incuranti di quanto stabilito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, infatti, i governanti lasciano che i feroci “squadroni della morte” compiano le “azioni di pulizia” che purtroppo ogni settimana fanno “sparire” dalla circolazione centinaia di meninos da rua. Pippo e Totò non riuscivano a vedere alcun bambino, ma intuivano che nascosti nel buio, tra i bidoni, i rottami e le macerie, tanti giovanissimi occhi che avevano già visto cose orribili e vissuto situazioni atroci, stavano assistendo alla storia ordinaria di un gruppetto di studenti viziati e delle loro famiglie borghesi. Tra un sorriso e una lacrimuccia di Sophie Marceau il film giunse alla fine e mentre, sulle note di “Reality”, scorrevano i titoli di coda, Totò si sentì chiamare: «Desculpe senhor …» non senza qualche preoccupazione l’operatore si avvicinò all’esile ombra di un ragazzino di circa dodici anni curioso di sapere se sono i lungometraggi come quello che hanno appena visto che la gente chiama “film di fantascienza”. In effetti, la trama del “Tempo delle Mele” non ha nulla di scientifico, ma descrive una realtà lontana anni luce dalle favelas.