L’ISOLA FERDINANDEA
Francesco Paolo Rivera *
Isola Ferdinandea – Dipinto di Camillo De Vito
Nel Canale di Sicilia, a dieci miglia nautiche dalla costa di Sciacca e 29 miglia nautiche dall’isola di Pantelleria (Sicilia sud-occidentale) a una profondità minima di circa sette metri sotto il livello del mare, esiste una piattaforma rocciosa di natura vulcanica, denominata in inglese “Grahan Island,” in francese “Ile Julia” e in italiano “Isola Ferdinandea”, che con i vicini banchi “Terribile” e “Nerita”, costituisce uno dei coni accessori del vulcano sottomarino “Empedocle”, … qualcosa di simile all’Etna, situato, però, sott’acqua, della larghezza della base di circa 4 kmq. ed elevato mediamente circa 500 metri dal fondo del mare. Gli storiografi fanno risalire la sua attività fin dalla prima guerra punica, ma potrebbero esservi stati, in quell’epoca, anche delle incertezze sull’identificazione in quanto il banco vulcanico è ubicato in una zona ove sono diffusi altri simili vulcani, e si ebbero notizie, nel XVII° secolo, di apparizioni temporanee di piccole isole che rimanevano in superficie per brevissimo tempo. Tra il 22 e il 26 di giugno del 1831, in conseguenza di fortissime scosse telluriche, che causarono gravi danni a centri abitati sulla costa sudoccidentale della Sicilia e furono avvertite fino a Palermo, equipaggi di navi di passaggio segnalarono di avere visto una fortissima eruzione dal mare, di lava e di pietra pomice, sormontata da alte colonne di fumo. Il capitano C. H. Swinburne, della marina inglese, segnalò di aver visto in lontananza, il 28 giugno successivo, un fuoco in mezzo al mare, e il 2 luglio, pescatori del luogo segnalarono di aver notato, alla secca del corallo, il mare che ribolliva, ricoperto da pesci morti, e riferirono che, a causa di esalazioni di zolfo, essi pescatori furono colpiti da svenimento. Il 5 luglio vi furono altre violentissime scosse telluriche sentite fino a Marsala. Il 7 luglio il comandante (e comproprietario) del brigantino-goletta “Gustavo”, Francesco Trifiletti, (di Milazzo) che faceva rotta da Malta a Milazzo, vide per primo spuntare dalla superficie del mare, tra esplosione di cenere e lapilli, l’isola, che di lì a poco, cominciò a crescere e in poche settimane si sollevò fino al termine dell’eruzione, il 20 agosto 1831, a circa 65 metri di altezza e per circa 4 chilometri quadrati di superficie, con due piccoli rilievi montuosi, tra di loro collegati, e due laghetti bollenti. Appena si sparse la notizia l’isolotto suscitò l’interesse di altre nazioni europee, che erano alla ricerca di punti di approdo, sia mercantili che militari, per le loro flotte, nel Mediterraneo. Il 24 agosto l’Ammiraglio Persival Otham della Marina Britannica inviò sul posto il Cutter (a vela da diporto) “Hind” col capitano Jenhouse, il quale, sceso a terra, prese possesso dell’isola in nome di sua maestà britannica, piantandovi la “Red Ensign” (l), e denominandola “Graham Island” (la cui denominazione continua ad esistere tutt’ora sulle carte nautiche). Il 26 settembre successivo il brigantino francese “La Fleche” comandato dal capitano di corvetta Jean La Pierre (accompagnato dal geologo dell’Università di Parigi Louis Constant Prevost e dal pittore Edmond Joinville, il quale per primo riprodusse l’eccezionale evento) attraccò sull’isola, sulla quale impiantò “le Drapeau Francais” (2) e la denominò “Julia” (3).
Il Re Ferdinando II° di Borbone, Re delle Due Sicilie, a questo punto, constatato l’interesse che l’isola aveva suscitato, inviò sul posto una nave militare, la corvetta bombardiera (o pirocorvetta) “Etna”, al comando del capitano Corrao, che sbarcato sull’isola, piantò la bandiera borbonica, denominandola “Ferdinandea” (in onore del Re). Dopo poco si recò sul posto, al comando di una potente fregata inglese il capitano Jenhouse, il quale ne contestò la proprietà, in quanto (malgrado fosse nelle acque territoriali della Sicilia), l’isola godeva dello stato di “Insula in mari nata” (4). La vertenza venne composta, per la mediazione del capitano Douglas, e rimessa di comune accordo tra le parti ai rispettivi governi. Il 17 agosto successivo Ferdinando di Borbone rivendicò l’isola come parte del Regno delle Due Sicilie e alla fine di ottobre inviò ai due governi inglese e francese una memoria con la quale ricordò loro, che a norma del diritto internazionale, la proprietà della nuova terra era della Sicilia. (5) La contestazione, però, durò poco, infatti coloro che viaggiavano sul vaporetto “Francesco I°” e il comandante della nave inglese “Alban” riferirono che l’isola si stava riducendo di dimensione, infatti aveva raggiunto un perimetro di circa un quarto di miglio e una altezza di venti metri. Il 16 novembre si scorgeva soltanto un banco di roccia lavica e l’8 dicembre il capitano Allotta del brigantino “Achille” ne constatò la scomparsa. Nel 1846 e nel 1863 riapparve ancora in superficie soltanto per pochissimo tempo, scomparendo nel giro di pochissimi giorni (6). In occasione del terremoto del Belice (14-15 gennaio 1968) le acque circostanti l’isolotto furono viste ribollire, il che fece pensare che la Ferdinandea volesse riemergere. E poiché in conseguenza di tale evento alcune unità navali britanniche furono viste aggirarsi nella zona (sia pure in acque internazionali), un gruppo di sub siciliani posarono sulla superficie del banco sottomarino una targa in pietra ove era inciso “Questo lembo di terra, una volta isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano.” Successivamente tale targa, venne sostituita, in quanto frantumata forse da un’ ancora, e nel 1986, erroneamente scambiata per un sommergibile libico, fu colpita da un missile dell’aeronautica statunitense che andava a bombardare Tripoli.
Nel 2002 in conseguenza di fenomeni sismici nella zona, un gruppo di sommozzatori italiani andarono a piantare un tricolore sulla cima del vulcano, e nel settembre del 2006 una spedizione della Protezione Civile Siciliana (coordinata dal prof. Giovanni Lanzafame dell’Istituto Nazionale di Geofisica e di Vulcanologia – INGV – di Catania) ha posizionato un sensore di pressione sulla vetta sottomarina dell’isola Ferdinandea per il monitoraggio dell’attività sismica del vulcano. Da tale indagine (il sensore è stato recuperato il 22 settembre 2007). si è avuto prova dell’esistenza dell’enorme complesso vulcanico che si estende sotto il pelo dell’acqua per circa 25 km in senso est-ovest e 30 km in senso nord-sud. Tale indagine ha, inoltre, evidenziato le conseguenze che potrebbero essere provocate da una eruzione del vulcano “Marsili”, (più grande dell’Etna”: 70 km. di lunghezza per 30 km di larghezza) che si innalza per tremila metri sotto il mar Tirreno in prossimità delle Isole Eolie. Gli studiosi dell’I.N.G.V. di Catania, hanno, inoltre, rilevato, sul terreno della protezione civile, l’esistenza di un vuoto previdenziale e programmatico: infatti, mentre sono stati predisposti piani per fronteggiare eventuali emergenze derivanti dall’attività dell’Etna, dello Stromboli e degli altri vulcani della zona, nulla è stato approntato rispetto a quelle che potrebbero derivare dalle probabili eruzioni di vulcani sottomarini … e nella zona ne esistono parecchi !
*Lions Club Milano Galleria distretto 108Ib-4
Note:
1)la bandiera rossa, con la Union Flag sul cantone (che è il vessillo navale civile inglese), che si distingue dal “St. George’s Ensign” (che è li vessillo navale militare inglese) che è bianco, con la Union Flag sul cantone;
2)il tricolore francese, blu, bianco e rosso, i cui colori ricordano le monarchie francesi (rispettivamente quella dei Capetingi, quella dei Borboni e quella dei Carolingi);
3)essendo la sua comparsa avvenuta nel mese di luglio, e a futura memoria pose una targa sulla quale era inciso “Isola Iulia – I sigg. Constant Prevost, professore di geologia all’università di Parigi ed Edmond Joenville, pittore, 27, 28, 29 settembre 1831”;
4)che per il diritto internazionale vigente in quell’epoca, essendo emersa dal mare, era di proprietà di chi per primo l’avesse calpestata, e, pertanto, secondo questo principio, sarebbe dovuta essere di nazionalità britannica;
5)il primo studioso che si recò sul posto fu il tedesco Friedrich Hoffman, docente di geologia dell’Università di Berlino (che si trovava nei paraggi per caso) il quale riferì i risultati della sua ricognizione al prof. Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco (1783-1863) Presidente della Camera dei Pari del Regno di Sicilia, archeologo, architetto, letterato e politico, che dopo l’avvento di Garibaldi, fu nominato Presidente della Commissione delle Antichità e Belle Arti. Dopo di lui altri due scienziati inglesi Wilkinson Smith ed Edward Davy visitarono l’isola. Il governo borbonico inviò il docente di fisica sperimentale Domenico Scinà, dell’Accademia degli Studi di Palermo e Regio Storiografo del Re (1764-1837) che riferì della visita in una relazione intitolata “Breve ragguagli al novello vulcano apparso nel mare di Sciacca” Quindi il prof Carlo Gemmellaro, (1787-1866), medico chirurgo, naturalista e. geologo catanese, docente all’Università di Catania, studiò l’isola e ne elaborò anche le tavole prospettiche;
6) oltre alle denominazioni “Graham”, “Julia” e “Ferdinandea”, molti altri nomi sono stati attribuiti a questo scoglio lavico: “Corrao”, “Hotham”, “Nerita”, “Sciacca”. Dopo ogni episodio eruttivo si verificava un rapido smantellamento erosivo, essedo, tale isola, composta da “tefrite” (dal greco “di color cenere”, la cui denominazione scientifica pare sia “roccia megaratica effusiva basica peralcalina e sottosatura in silice”) e come tale facilmente erodibile dalle onde marine.