La “Scelta differenziale “ della poësis di Gabriella Maggio
Antonio Martorana
Se è vero che, come ha scritto Gilles Deleuze, riferendosi al mondo fenomenico” ogni fenomeno rinvia a una disuguaglianza che lo condiziona” e che “ ogni diversità , ogni mutamento rinvia a una differenza che ne è la ragione sufficiente”, applicando tale concerto all’arte, non possiamo non convenire con quanto afferma Tristan Tzara:” L’arte è una continua processione di differenze” . E proprio in tale processione abbiamo intercettato una “differenza” che ci ha colpito. Alludiamo alla “ scelta differenziale” (Borges) effettuata da Gabriella Maggio con la sua silloge poetica “ Emozioni senza compiacimento” Il Convivio editore, 2019, in relazione alla sua opzione stilistica alternativa a qualsiasi forma di “compiacimento”, come patologia largamente diffusa nel nostro panorama letterario. Si tratta dell’esercizio di un rigoroso autocontrollo, finalizzato a mettere la parola poetica al riparo dalla tentazione di ridondanze, enfasi, sentimentalismi, quali refluenze narcisistiche di un modo di guardare “ strabico” ai granai della tradizione. Il testo di Gabriella Maggio, con la sua dichiarata rinuncia , come si evince dal titolo stesso, al compiacimento, ci fa pensare allora alla “rinuncia” di Paul Valéry, condizione necessaria per la costruzione di una ποίησις, area privilegiata di una “ alliance parfois miraculeuse de pensée, de sentiment, de riguer et de fantaisie” ( Paul Valéry , Oeuvres, Paris1957, vl.I, p.698). Si spiega allora come la progettualità artistica di questa assidua frequentatrice dei τόποι della cultura classica, ma anche di quelli della cosiddetta linea “ ligustica” della poesia italiana del ‘900( Sbarbaro e Montale) si traduca in un γράφος, dove la parola, libera da qualsiasi ingabbiamento semantico e sintattico di tipo retorico e sentimentalistico, viene ricondotta alla sua originaria purezza all’interno di un impianto dialettico rifondativo , su base antropologica, del rapporto tra l’io e l’oggettività del mondo. Grazie all’essenzialità della cifra stilistica adottata, Gabriella Maggio riesce a piegare lo statuto polisemico della poesia ad un rigore formale capace di “ cosificare arte e vita” (Bonito Oliva), traducendo in un’atmosfera di sospensione estatica le categorie kantiane in cui si determina l’essere.Trova conferma , in tal modo, la massima di Goethe secondo cui “ non si può sfuggire al mondo così bene che attraverso l’arte e che non ci si può legare maggiormente come attraverso l’arte”. L’Autrice è alla ricerca di una sua “ identità segreta” in questo oscuro nostro presente, che fa pensare alla perdita del centro e all’ ἔνδον metafisico. A trarla in salvo da quell’aspro sentiero, e a consentirle di raggiungere l’obiettivo, interviene la parola carnale della “ grande madre/accogliente e generosa/ alma poësis” (La poesia), che traduce in splendide epifanie i momenti di incantesimo ( Stupore, Il tepore primaverile), di gioia (Arrivo), di fraterna solidarietà(Sulla strada),di malinconia ( Inverno). Sono versi di tersa bellezza che dimostrano come nella progettualità artistica dell’Autrice si riverberi una progettualità esistenziale tendente a un armonioso equilibrio, in coerenza con il retaggio lasciatoci dal mondo classico: è proprio tale messaggio a connotare in questo caso quella che Joseph Margolis definisce la “ specificità ontologica ” di un’opera d’arte. Ed il citato equilibrio comporta l’avere coscienza del nostro essere ed il saper prendersi cura Besorgen ( prendersi cura- Heidegger in Essere e tempo) di tutto ciò che, nel tempo e nello spazio, sappiamo riconoscere come “prossimo” è l’abbandono dinanzi alle cose di cui parla Heidegger . “ Quando trovo per caso / una chiave /mi chino a raccoglierla / e la conservo /ne ho già tante/ trattenute da un anello a molla/ forse sono le cose non accadute/ ma avrebbero potuto/ amuleti protettori/ dal dolore” ( Le chiavi). Un’ultima considerazione di apprezzamento vogliamo dedicare alla sobria eleganza della veste editoriale, anche per la collimanza con lo spirito del testo di quell’”espansione paratestuale “ ( Genette) dello stesso, che è la copertina con le terrecotte di Giuseppe Cuccio.