IL GENOVESE CHE FAVORÍ IL CULTO DI S.ROSALIA
Irina Tuzzolino
Nel 1609 Giannettino Doria divenne arcivescovo di Palermo e vi rimase fino alla morte avvenuta nel 1642. Genovese di nascita, apparteneva alla potente famiglia Doria, alleata della monarchia spagnola che nel 1604 lo propose alla nomina cardinalizia. Nell’orbita della Spagna Giannettino svolse sia il ruolo di cardinale che quello di arcivescovo di Palermo. Nella città favorì gli interessi dell’ aristocrazia isolana anche con i quattro mandati di presidente del Regno con i quali esercitò ad interim le funzioni di vicerè. Durante la peste del 1624 fu un vero protagonista nella duplice veste di arcivescovo e presidente del Regno in seguito alla morte del viceré Emanuele Filiberto, deceduto proprio a causa dell’epidemia. Il ritrovamento in una grotta del Monte Pellegrino dei resti attribuiti a Rosalia Sinibaldi, di cui esisteva nella città un antico culto, furono portati in processione dall’arcivescovo e salvarono Palermo dalla peste. La promozione del culto di S. Rosalia trovò in Doria un abile regista. «Pestilentis morbi contemptor, […] Sollicitus Pastor animan tuam ponens pro ovibus tuis», lo definì il pontefice Urbano VIII in una lettera del marzo 1630, nella quale comunicava a Doria l’inserimento della vergine palermitana nel Martirologio Romano. Il culto di S. Rosalia oscurò quello di S. Oliva , S.Agata, S.Cristina, S. Ninfa antiche protettrici di Palermo. Giannettino Doria sostenne la sua famiglia anche attraverso il nepotismo e fece in modo di affermare e rafforzare in ogni modo la sua autorità. La personalità e l’opera di Giannettino Doria è oggi oggetto di studio dello storico palermitano Fabrizio D‘Avenia nel volume “Giannettino Doria. Cardinale della corona spagnola” ed. Viella.