DELITTO DI “UNTORE” NEL 2022?

Carmelo Fucarino

Tanti illustri intrattenitori illuminano doviziosamente tutte le serate delle eterogenee testate TV di talkshow con presenze fotocopia di esperti o semplici uomini di spettacolo, lo show di autodefinitisi virologi e storici e filosofi ed opinionisti da album fotografico (FB). Il colorato signor COVID rimasto ancora 2019, ora passato ad “o piccolo” (secondo OMS, alfabeto greco per “varianti di interesse” o preoccupanti) per trasmutazione e adattamento subdolo e proditorio fa maramao. La maggiore aggressività per sopravvivere invadendo carne che, se morta, dichiara la morte dell’attentatore. Un po’ autolesivo e scemo questo virus. Vorrebbe questo approccio essere un modo per alleggerire la tensione in una ossessiva paranoia da rifiuto. Per passare a cose serie voglio illuminare i Milanesi con un loro motto che nessuno ha citato presi dalla logica aberrante della LIBERTA’ a tutti i costi, anche quello di uccidere. Anche se nessuno fa sciopero contro la pena del carcere per chi innocentemente, dico in piena innocenza e con somma angoscia, ha ucciso qualcuno con la sua auto. In gran bella vista sulla facciata del monumentale Palazzo di Giustizia di Milano, costruito su progetto di Marcello Piacentini tra il 1932-40, organico al Fascismo, con mosaici e sculture e pitture come il Giustiniano di Carlo Carrà, ammonisce l’epigrafe latina, più austera e nobile perché nella lingua degli emulati antenati: Iustitia. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere. Se non c’avete fatto caso, andate a vedere, provate per credere, miei bravi concittadini del Nord. Strabiliante in una architettura di Iustitia sul primo fra i “precetti fondamentali del diritto” (ius, da cui anche iustus), il precetto morale “vivere onestamente” come primo e fondamentale. Segue come secondo alla vita onesta «non recare danno ad altri», prima di «attribuire a ciascuno il suo». Esso è l’articolo del Digesto 1, 10, 1 che premette: «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi, «La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto». Le tre regole, tramandate nel Digesto (Digesta o Pandectae), 50 libri di frammenti di opere di giuristi romani su richiesta dell’imperatore  Giustiniano I, promulgato bilingue in latino e greco il 16 dicembre 533, sono attribuite al giurista romano Eneo Domizio Ulpiano di Tiro in Siria e vissuto intorno al 170 e tratte dalle sue Regole. Chi ha studiato Diritto romano conosce le molte sue norme di diritto amministrativo o civico, fondamento ancora del diritto odierno. Qualcuno dubita che si possano riferire alla giurisprudenza classica romana e le traferisce a tarde glosse bizantine. Nulla toglie comunque al valore della testimonianza, tutt’al più la conferma a Milano in età di sommo diritto e di splendore. Non per nulla il costruttore del Tribunale milanese le ha voluto scolpire ed additare ai suoi laboriosi ed onesti concittadini. È evidente che al di là della presupposta norma giuridica si tratta più che di un codice, di un ideale etico. Ai saggi milanesi che conoscono quell’etica e agli italiani tutti voglio ribadire questo precetto: alterum non laedere. E voi, miei concittadini del Sud, ce ne è anche per voi. Allora c’era uno solo che dettava legge. Noi siamo però più “salomonici”. Il Palazzo palermitano, su progetto dei siracusani Ernesto e Gaetano Rapisardi, iniziato nel 1938 e finito appena nel 1957, vi aspetta su una parete dell’ambulacro di sinistra con l’altorilievo di Luigi Venturini del 1965 che rappresenta il celebre Salomone del taglio in due del bambino e il motto latino, alterum ne laedito, suum cuique tribuito. Ma c’è pure il bronzo di S. Alfonso dei Liguori, patrono dei moralisti, del novembre del 1998 voluto dal Presidente della Corte, Alfonso Giordano, quello del maxiprocesso.  per ricordare il recente codice penale, si chiamava Rocco, oggi aggiornato, la codificazione del reato di epidemia, nelle sue due forme, dolosa e colposa e la sua tipizzazione all’interno della legislazione emergenziale italiana emanata per contrastare la diffusione del virus Sars-Covid-19, del quale nessuno degli eminenti mezzibusti ed esimi virologi fa cenno, presentando invece sfrontatamente a testimoniare eroici figuri che si vantano no covid. Tralasciando la pazzia di dichiarati consapevoli untori ricordo l’articolo 452 Codice penale (R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398, [Aggiornato al 01/12/2021]), Delitti colposi contro la salute pubblica. Esso è a spiegazione e adeguamento di pena per le fattispecie di epidemia (art. 438), avvelenamento di acque o sostanze alimentari nocive (artt.440-445), qualora il fatto sia doloso. Esso così recita: «Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena di morte». Altri tempi per i burloni untori che simpatizzano oggi per quei tempi! La ratio della disposizione è la tutela della salute pubblica, predisposta al fine di evitare il contagio di malattie infettive che possano creare pericolo e pregiudizio per la salute della collettività.(S. ARDIZZONE, Epidemia, in Digesto pen., IV, Torino, 1990, 253; A. SANTORO, Manuale di diritto penale, parte spec., III, Torino, 1965, 97; V. NAPPI, I delitti contro la salute pubblica, in Giur. sist. dir. pen. Bricola, Zagrebelsky, IV, 651; F. D’ALESSANDRO, Pericolo astratto e limiti di soglia, Milano, 2005, 179; Cass. pen. n. 91233/2017 in M. MANGIA, Riflessioni sulla configurabilità del reato di “epidemia” nei casi di contagio da COVID-19, in www.4clegal.com, 21 Aprile 2020; A. CAVALIERE, Coronavirus: il reato di epidemia. Considerazioni anche sull’eventuale concorso con l’omicidio, da www.ildiritto.it, 23 Marzo 2020).

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