U PILUSU
Francesco Paolo Rivera *
SantuNofriu, pilusu, io vi prego di cca juso: Vui sta grazia m’aviti a fari io mi vogghiu maritari ! Questa era la preghiera che le ragazze nubili rivolgevano a Sant’Onofrio perché le aiutasse a trovare marito. E, tale preghiera la si doveva recitare in ginocchio per nove giorni consecutivi previa introduzione di una monetina di due centesimi in una fessura della porta di casa; se la monetina fosse caduta prima che scadessero i nove giorni, significava che la grazia sarebbe stata concessa, altrimenti occorreva rifare la preghiera l’anno successivo. Sant’Onofrio è’ venerato anche quale protettore dei parrucchieri e dei tessitori. Certamente è strano un santo che aiutasse le donne nubili a trovar marito, ma è da definire, quanto meno, irrispettoso attribuire a un santo della chiesa l’epiteto di “peloso”. D’altro canto, questo “santo” è rappresentato con una iconografia quanto meno poco attraente e comunque sicuramente insolita; vecchio, magrissimo, rinseccolito, occhi incavati nelle orbite, … brutto, bruttissimo … completamente nudo, ricoperto da foglie, e coi capelli e la barba che lo ricoprono fino ai piedi, con un gande rosario in mano. Di lui ne parla Pafnuzio (1) egumeno della chiesa ortodossa del IV° secolo, che, nel suo libro “La vita”. racconta di averlo conosciuto, quando era ancora un monaco che, abbandonato il convento, si recava ad incontrare quei religiosi (anacoreti) che abbandonavano la vita attiva per dedicarsi alla vita ascetica. Pafnuzio lo descrive come un eremita, di nome Onofrio (che significa “colui che è sempre felice”), che viveva da oltre quaranta (qualcuno sostiene sessanta) anni in solitudine nel deserto, cibandosi di erbe e abitando nelle caverne. La leggenda vuole che fosse figlio di un re persiano, nato da una relazione adulterina e quindi segnato fin dalla nascita, e malgrado avesse superato l’ordalia (2) alla quale si era sottoposto la propria provenienza, preferì lasciare il convento per vivere da eremita nel deserto egiziano, assistito e confortato da un angelo, che provvedeva ad assicurargli la Comunione tutte le domeniche. Dal canto suo, Pafnuzio si dedicò a diffondere l’esperienza di vita con S. Onofrio.
San Pafnuzio (in qualche testo è denominato “Pafnunzio”), il cui nome deriva dall’antico Egitto (c pare che significhi “uomo di Dio” o “colui che appartiene a Dio”) è conosciuto anche come colui che convertì Santa Taide (3). Secondo la leggenda, quest’ultima era una prostituta di bellissime sembianze di Alessandria d’Egitto, alla quale San Pafnuzio si presentò per dirimerla, chiedendole di incontrarla di nascosto da chi potesse vederli. La donna rispose che se era di Dio che avesse paura, non esisteva luogo dove Lui non potesse vederli. E considerato che Taide sapeva di Dio e delle punizioni che aspettavano i peccatori, Pafnuzio le chiese perché conducesse quella vita. Taide, pentita, bruciò tutti i suoi beni sulla piazza ed entrò in convento, dove rimase murata viva per tre anni in modo da espiare tutti i suoi peccati. Quando fu certa di essersi liberata dai peccati ed ebbe visione del posto preparato per lei in Paradiso morì quindici giorni dopo la sua liberazione. Tale legenda fu oggetto di diverse recensioni in molti paesi orientali, tutte con l’intento del confronto tra vita monastica praticata in convento (cenobita) e quella (anacoretica) in solitudine, lontani dal consorzio umano, nel deserto, che veniva considerata lo stato di vita più perfetto. E, ritornando a S. Onofrio, malgrado la sua storia e il suo culto fossero diffusi prima in Egitto e poi in tutto l‘oriente greco giungendo fino a Roma (ove esiste una chiesa a lui dedicata), non è chiaro come fossero arrivati fino a Palermo. Molto probabilmente attraverso le dominazioni araba e bizantina: addirittura esiste una raffigurazione del Santo tra i mosaici del Duomo di Monreale (costruito tra il 1172 e il 1189). Intorno al 1568 un gruppo di onorati cittadini costituirono una congregazione, la “Compagnia di Sant’Onofrio”, composta, secondo Gaspare Palermo, di 72 membri (tanti quanti erano i discepoli di Gesù) e di 12 sacerdoti (tanti quanti erano gli apostoli), i quali fecero costruire una piccola cappella dedicata al Santo, nei pressi del fiume Papireto, congregazione che il 20 luglio 1650 ottenne dal Senato palermitano che Sant’Onofrio diventasse protettore della Città. Da quel momento, ogni anno, il 12 giugno, si festeggiava il Santo con la processione nel rione del Capo. Poi il rito si era, per qualche tempo, assopito. Da alcuni anni i confratelli della Compagnia (in abito bianco, con bordi neri e galloni dorati) hanno ripreso la tradizione. E dopo la messa, trasportano la statua del Santo in processione. La chiesetta si trova nella lunga e stretta piazza omonima, una volta denominata “Piano Pannaria” (da via Maqueda, si scende verso via dei Giovenchi, via Candelai e via delle Capre, ove è situata tra il vicolo della Pietà, via dei Mobilieri, via della Ruota e vicolo Sanguinazzai, nel mandamento Monte di Pietà o Seralcadi (Sari al Kadì, strada del Magistrato) e quando venne costruita come oratorio ebbe in dono dal vescovo Diego de Haedo, (storico spagnolo) una reliquia del Santo, che fu trasferita nella primitiva struttura. Dopo il 1700 l’oratorio venne ampliato con la struttura ove attualmente si celebrano le funzioni, e successivamente fu abbellito con pitture e restauri. Entrando dalla piazza, fatti pochi gradini c’è l’ingresso, delimitato da due colonne, sormontate da capitelli corinzi, sopra ai quali un timpano triangolare, sormontato al primo piano da una balconata con ringhiera (della larghezza del timpano, con persiana a due ante) e al secondo piano da un’altra balconata con ringhiera (della larghezza di circa un terzo di quella sottostante, con persiana a tre ante). Quindi al terzo piano il cornicione con due finestre a luce unica adibite a celle campanarie e in cima un crocefisso in ferro. Ci si accorge subito che le due balconate munite di ringhiera non vanno di accordo con la struttura nata, fin dalla sua costruzione, come edificio ecclesiale (non è pensabile che la costruzione iniziata per scopi diversi sia stata trasformata, in seguito, in oratorio) e durante la sua esistenza non ebbe mai una diversa destinazione (la struttura fu adibita per un breve periodo, durante la peste del 1624, a lazzaretto), e non fu mai adibita ad alloggio. Allora, perché si costruirono le due balconate? Non si conosce il nome dell’architetto che abbia progettato e diretto la costruzione della prima struttura dell’oratorio di Sant’Onofrio (4), forse fu opera di qualcuno di quei “capimastro” che venivano definiti, a quell’epoca, architetti civili? Ma anche questa ipotesi sembra da scartare, infatti i cronisti di quell’epoca sostennero che “… nel XV° secolo un gruppo di onorati cittadini … si riunirono in congregazione intorno a Sant’Onofrio “… e circa cent’anni dopo, ottennero dal Senato l’ufficializzazione del Santo, quade protettore della Città, … e questo fa supporre che gli “onorati cittadini” fossero persone qualificate … non degli sprovveduti! All’interno c’è una statua marmorea del Santo, (che una volta era in una nicchia esterna alla chiesetta), e l’altare in marmo policromo, e dentro la nicchia il simulacro di Sant’Onofrio realizzato nel 1603 da uno scultore palermitano, di cui non si conosce il nome, conosciuto come “il cieco di Palermo”, un artista cieco dalla nascita …, la cui opera fu sicuramente realizzata … per miracolo divino!! Nella chiesa, costruita nell’ala destra della cappella, nel ‘700, la struttura è estremamente semplice: da notare la pala dietro l’altare maggiore, realizzata dal pittore denominato “zoppo di Gangi” (5) nel 1609, rappresentante Sant’Onofrio moribondo che sale, nudo, al cielo assistito da San Pafnuzio e da un coro di angeli e, nella parete in fondo è collocato il Tavolo dei Gestori della Compagnia (il così detto “bancone per i superiori”) con due sedili in legno ai lati del seggio, realizzati in noce e ciliegio, nel 1617, dallo scultore Giovanni (o Giuseppe) Calandra, riproducenti episodi della vita del Santo. E per concludere questo racconto, vale la pena riportare le preghiere tradizionali di invocazione al Santo Onofrio Re o al Santo Onofrio Eremita per chi ha perso qualcosa e per le donne che cercano l’amore:
“Santu Nofriu pilusu / tuttu amabili e amurusu / pi li vostri santi pila / facitimi sta grazia / diccà a stasira.”
“Santu Nofriu pilusu / lu me cori è tuttu cunfusu / pi li vostri santi pila / facitimi sta grazia diccà a stasira.”
“Santu Nofriu piluso / misi un granu ‘nto pirtusu pi li vostri santi pila / facitimi truvari chiddu ca pirdivi / diccà a stasira.
*) Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib-4
Note:
1)Egumene è il nome che veniva dato agli abati della chiesa ortodossa in epoca post costantiniana.
2)Era la prova del fuoco, alla quale nel medioevo ci si sottoponeva per dare dimostrazione della propria innocenza.
3)E’ denominata anche col nome Taisia nella commedia di Terenzio, l’Eunuchus. Nella seconda parte del XVIII° cantico della Divina Commedia, tra i dannati della bolgia dell’8° cerchio (adulatori) Dante incontra una giovane dannata, Taide, che si graffia con le unghie sporche di escrementi di Malebolgia. Questa figura di peccatrice redenta che rinuncia al peccato segue lo schema di altre figure di peccatrici redente di altre leggende.
4)In quell’epoca, molti erano gli architetti che operavano a Palermo: Giuseppe Spatafora, Domenico Cascione, Vincenzo Vernachi, che contribuirono alla rettifica della strada del Cassaro, Camillo Camilliani che presiedette ai lavori di sistemazione della Fontana di piazza Pretorio e successivamente si interessò di ingegneria militare progettando le famose Torri costiere erette a salvaguardia delle incursioni dei pirati ottomani , ma nessuno di questi fu interessato alla costruzione dell’oratorio.
5)Si chiamava Gaspare Salerno (1570-1630)