LA TIGRE DI NOTO
Romanzo di Simona Lo Iacono-ed. Neri Pozza
Gabriella Maggio
Simona Lo Iacono ritorna al suo pubblico con l’appassionante storia di Marianna Ciccone. Una magnifica narrazione che prende il titolo di La tigre di Noto dall’epiteto che indica Marianna Ciccone, prima donna laureata in Matematica e successivamente in Fisica alla Normale di Pisa, perché coraggiosamente si è opposta ad un drappello di soldati nazisti per proteggere la biblioteca dell’Istituto. Per questo suo gesto il Rettore Luigi Russo nel ’44 le invia una lettera di incondizionato encomio. Marianna Ciccone nasce a Noto nel 1891 ed è subito destinata dalla famiglia ad un matrimonio, adeguato alla sua ricca condizione. Nessuno percepisce la sua vera diversità, anche se l’occhio solitario è ben visibile a tutti. Nessuno coglie la sua particolare attenzione alla luce sin da quando era in fasce. Crescendo Marianna mostra un sempre maggiore interesse per lo studio della luce e per la lettura di testi scientifici. S’ accorge presto e con sofferenza del distacco affettivo dei genitori, soprattutto della madre che disapprova la sua passione per lo studio e il rifiuto del matrimonio, convinta che « il mondo si ripetesse generazione dopo generazione...» Trova in compenso l’affetto incondizionato di Rosa, la serva ignorante, ma tanto sensibile da assecondare le sue inclinazioni e guidarla quando diventa donna. Marianna dopo la sua morte conserva i suoi poveri oggetti soprattutto le scarpe col tacco che indossa per molto tempo, facendole anche risuolare. Queste scarpe non sono prive di un significato simbolico in quanto accompagnano Marianna nei suoi viaggi di studio a Roma, a Pisa, a Darmstadt, ma anche nelle esperienze decisive della sua vita. Senza l’approvazione e senza l’aiuto economico dei genitori, senza neanche un abbraccio Marianna parte per Roma dove all’Università La Sapienza si ritrova l’unica donna iscritta a Matematica :« gli interrogativi pressavano, ghermivano l’aria, svolavano sulle teste degli studenti. Finsi di non accorgermene e feci attenzione a calare la veletta fino al naso, in modo da nascondere quel mio segno inopportuno.» Più volte Marianna finge di non accorgersi dell’emarginazione e dell’isolamento negli ambienti universitari, resistendo con grande forza d’animo, sempre determinata a raggiungere il suo scopo senza scendere a compromessi. L’esperienza di volontaria per l’assistenza ai reduci della Prima Guerra mondiale le insegna a tacere quello che non c’è e a dire quello che resta : « Intuii chiaramente che avevo bisogno di piccolezza, di strade poco estese, di ideali meno ambiziosi. Qualcosa parlava di nascosto, nell’invisibile, nel rifiutato….la vera luce non si vede. Si trova….Il principio fondante della vita non era aggregare. Era non escludere. » La formazione di Marianna cominciata sui libri progredisce a contatto con la sofferenza e attraverso la consuetudine con persone sensibili come Rosa e Cate, l’affittacamere pisana, che in parte svolgono per lei il ruolo di madre. Ma è anche determinante l’insegnamento ai giovani in cui Marianna trova che « non c’era confine tra insegnare ed apprendere» e soprattutto l’amore tardivo e impossibile per il prof. Herzberg, a cui consapevolmente rinunzia aiutandolo a rifugiarsi in Canada per evitare la persecuzione nazista. Progressivamente Marianna comprende «che la luce, come il dolore, è benevola solo con chi l’attraversa, mentre rifiuta di stanare gli indecisi e i superbi. » All’Università di Darmstadt Marianna conosce il nazismo e la persecuzione degli ebrei:« Nelle voci di alcuni studenti mi era parso di leggere una rabbia inesplosa. Una vendetta in agguato.» Le sarà perciò facile opporsi ai soldati tedeschi quando le intimeranno con le armi spianate di cedere i libri della biblioteca della Normale di Pisa. L’esperienza culminante della sua vita Marianna la vive a Pisa in una notte di bombardamenti. Qualcuno nel ricovero le mette furtivamente in braccio una bambina: « Chi eri, ospite inattesa che rovesciavi la distruzione in amore ?…Tra i tanti che perdevano qualcosa, io quel giorno ti trovavo, miracolosamente intatta, preservata per quel nostro incontro decisivo….Vivere non fu mai così facile dentro la morte. » Sulla bambina Marianna riversa quella cura che le è mancata, a cui la madre si è sempre sottratta. Nel rapporto con la bambina, tanto bisognosa di attenzione, Marianna è con naturalezza madre e figlia nello stesso tempo. Ricuce con la sua completa dedizione la ferita di un tempo. Nella narrazione di Simona Lo Iacono Marianna Ciccone ha come tratto caratterizzante la calma determinazione con cui affronta la vita, attraversandola tutta, senza concedersi vie di fuga. É una donna che ha capito quello che è veramente importante, esemplare dal punto di vista culturale e morale, sa confrontarsi con la grande storia, sa prendere decisioni nette, sa schierarsi. Attente ricerche d’archivio hanno fornito alla scrittrice soltanto pochi particolari della sua vita, perché Marianna è stata presto dimenticata. Leggendo i tenui indizi trovati nei documenti, Simona Lo Iacono ha ricostruito con profonda sensibilità di donna la sua intera vita . Si può dire che in Marianna Simona abbia trovato quella figura di donna che da tempo voleva narrare, e lo ha fatto con una partecipazione emotiva intensa e costante in tutta l’opera, espressa in un linguaggio essenziale e poetico nello stesso tempo, attraversato da echi d’emozioni anche quando descrive argomenti scientifici : «Vedemmo danzare gli atomi sotto i nostri occhi, riuscimmo a riprenderli mentre si associavano in modi impensabili. Non sembravano particelle di materia, ma bolle esasperate e contrite che si piegavano le une al perdono delle altre.» La vicenda de La tigre di Noto è narrata in prima persona dalla stessa Marianna che ripercorre anche con l’aiuto di fotografie, mostrate a qualcuno che non interviene nella narrazione, le tappe salienti della sua vita . Alle fotografie è demandato il racconto dei familiari e della casa di Noto, come ad indicare la loro distanza nel tempo e nella vita di Marianna, che non è priva talvolta di una certa nostalgia per l’affetto mancato. La tigre di Noto si può definire in diversi modi, romanzo storico, romanzo biografico, romanzo di formazione, ma soprattutto credo che si possa definire anche il romanzo della lettura in quanto nasce dalla lettura e implicitamente per la lettura, che scorre veloce ed emozionante da una pagina all’altra :« Alla fine della vita Cate le aveva insegnato che tutto poteva essere letto. La natura. I gesti. I sorrisi. I silenzi. E chi aveva abitudine alla lettura del libri poteva farsi esperto nella lettura degli uomini e degli eventi.» Il romanzo si colloca in coerente continuità con i romanzi che l’hanno immediatamente preceduto : Le streghe di Lenzavacche, Il morso, L’albatro. A questi è avvicinato dallo stile inconfondibile che caratterizza la scrittura di Simona Lo Iacono, che prende l’avvio da fatti accaduti e persone esistite , ma dimenticate e li risemantizza sottraendoli all’oblio e facendoli rivivere nelle sue parole.