COLUMBUS DAY
Carmelo Fucarino
Da Carmelo Fucarino, per onorare la grandezza di Cristoforo Colombo, vittima del linciaggio di fanatici ignoranti della loro storia patria e dei veri autori del genocidio degli Indigenous, le testimonianze di due nostri grandi poeti sulla umanità del moderno Ulisside, in quel 12 ottobre 1492, assieme a tutti gli Italiani sparsi per terre straniere e a coloro che lo riconoscono come colui che ha aperto all’Occidente un Nuovo Mondo. Dispiace soprattutto che l’equilibrista Biden, con una moglie siciliana, abbia inteso salvare capre e cavoli, assemblando in una stessa data, come simboli identici, con un macroscopico anacronismo, la scoperta di Cristoforo Colombo del 12 ottobre 1492 e la celebrazione del genocidio degli Indigenous, i “selvaggi pellerossa”, perpetrata dai conquistatori e colonizzatori inglesi che per loro fu una conquista da celebrare con l’epopea del West, esaltata nel mondo dai western (pure all’italiana). Quelli della tratta dei “negri”, esclusiva dell’asiento nel trattato di Aquisgrana, rimasti fino ad oggi razza inferiore, nonostante i proclami da Kennedy ad Obama. Come gli italiani che non erano bianchi, “ma nemmeno palesemente negri“, una “stirpe di assassini, anarchici e mafiosi”, «Non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, [i pellirossa presentivano la presenza dei visi pallidi dal loro puzzo, diverso come in tutti i popoli] nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio é che non si riesce a trovarne uno che sia onesto» (intercettazione di Richard Nixon del 1973). In una notte bellissima, davanti alla noia di una lunga e monotona navigazione Gutierrez chiede a Colombo: «vorrei che tu mi dichiarassi precisamente, con tutta sincerità, se ancora hai così per sicuro come a principio, di avere a trovar paese in questa parte del mondo; o se, dopo tanto tempo e tanta esperienza in contrario, cominci niente a dubitare.». A lui risponde Colombo che quel volo di uccelli dopo Gomera « indizio di terra poco lontana.» ed altri pronostici lo avevano ingannato, per cui, « potrebbe essere che mi riuscisse anche vana la congettura principale, cioè dell’avere a trovar terra di là dall’Oceano». Dopo un’analisi delle congetture e dei pronostici, della differenza tra pratica e speculazione, giunge alla conclusione che «veggiamo che molte conclusioni cavate da ottimi discorsi, non reggono all’esperienza; e questo interviene più che mai, quando elle appartengono a cose intorno alle quali si ha pochissimo lume.». Perciò la brutale domanda di Gutierrez: «Di modo che tu, in sostanza, hai posto la tua vita, e quella de’ tuoi compagni, in sul fondamento di una semplice opinione speculativa.». Colombo lo ammette: « Così è: non posso negare. Ma, lasciando da parte che gli uomini tutto giorno si mettono a pericolo della vita con fondamenti più deboli di gran lunga, e per cose di piccolissimo conto, o anche senza pensarlo; considera un poco.». Però, «se al presente tu, ed io, e tutti i nostri compagni, non fossimo in su queste navi, in mezzo di questo mare, in questa solitudine incognita, in istato incerto e rischioso quanto si voglia; in quale altra condizione di vita ci troveremmo essere? in che saremmo occupati? in che modo passeremmo questi giorni? Forse più lietamente? o non saremmo anzi in qualche maggior travaglio o sollecitudine, ovvero pieni di noia? Che vuol dire uno stato libero da incertezza e pericolo? se contento e felice, quello è da preferire a qualunque altro; se tedioso e misero, non veggo a quale altro stato non sia da posporre. Io non voglio ricordare la gloria e l’utilità che riporteremo, succedendo l’impresa in modo conforme alla speranza. Quando altro frutto non ci venga da questa navigazione, a me pare che ella ci sia profittevolissima in quanto che per un tempo essa ci tiene liberi dalla noia, ci fa cara la vita, ci fa pregevoli molte cose che altrimenti non avremmo in considerazione.» Giacomo Leopardi, Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, ottobre 1824, in Operette morali).
Il ritorno di Colombo di Giovanni Pascoli
Terra!… notturna, d’un tratto,
bandì dalle coffe una voce.
Vesti il mantello scarlatto,
solleva il vessillo e la croce,
tu che mettesti la prora
nel pallido occaso, e l’aurora
seguì la tua scia!
Guarda: fu ieri: una canna
nuotava sul mare profondo:
oggi si cullano in panna
le navi su l’orlo d’un mondo,
Sorgi, Colombo: l’aurora
nel grande vestibolo indora
la Santa Maria.
Scendi, o venuto col sole,
recando le sacre parole;
lascia la tolda cui lungo la via
brillarono incognite stelle;
vieni… — Oh! non è la tua Santa Maria!
non sono le tre caravelle!… —
II
Terra!… Fu lunga la notte,
la notte fu scura e divina;
quando, tirate lTe scotte,
cantarono Salve Regina
gli esuli figli dell’Eva,
cui tutto all’intorno diceva:
Domani! Domani!
Sotto le stelle, già rare,
fissavi la tenebra, o Loco!
Su l’anelare del mare
vedevi tu il guizzo d’un fuoco.
Era il tuo mondo che pace
chiedeva agitando una face
con l’onde, sue mani.
Ora, non anche s’è stinta
la tenebra, e di su la Pinta
s’alza la voce… I due generi umani
s’incontrano sotto le stelle…
Terra!… — Oh! non è, non è più Guanahani!
non sono le tre caravelle! —
III
TERRA!… — Sì, terra, sì. Tristo
risveglio! Dormivi: da secoli,
o portatore del Cristo,
dormivi; e giungeva a te l’eco
d’armi e di sferze; a te, presso
la tomba, il lor pianto sommesso
piangeano gli schiavi.
Esule cenere muta,
non questo è l’arrivo: è il ritorno!
Dietro la poppa battuta
dall’onde, è la sera d’un giorno…
esule cenere mesta,
del giorno latino! Ed è questa
la terra degli avi,
vecchia! È la notte del giorno
latino; è il fatale ritorno.
Quelle che stanche affaticano i cavi
là, sotto le solite stelle,
sono… d’acciaio?… le solite navi;
non sono le tre caravelle! —
Giovanni Pascoli, Odi e Inni, Mondadori, Milano 1974.