LE GRU DEL MODERNISMO
Tra un Dioniso al femminile e un Coro sospeso
Carmelo Fucarino
Lucia Lavia Dioniso-ph Ansa
Due i cardini della realizzazione di queste Baccanti di Euripide del 2021 al teatro greco di Siracusa, date dall’INDA dopo un anno ponte tra un covid e una timida e forse temporanea ripresa, come anticipato nel mio precedente intervento. In contraltare a questo testo di un tragediografo vissuto ad Atene nel V secolo a.C. e morto a Pella nel 408 a.C. alla corte di Archelao, sbranato dai cani o ucciso da alcune donne mentre, di notte, si stava recando dall’amante del re, ultimo fulgore del teatro tragico ateniese, la discutibile operazione della stroncata prima tetralogia eschilea, privata della grandiosità mitica e scenica di Agamennone e ridotta ad una misera sintesi di Coefore ed Eumenidi, sconvolta dall’esagerata modernizzazione che ne ha fatto qualcosa di irreale e di orripilante. La pretesa ostentazione della Giustizia in una società che la sbeffeggia e irride. In questa edizione delle Baccanti da una parte la traduzione del veneziano Guido Paduano (nato il 1944), sì, accademico esperto filologo di cultura greca, ma con una particolare dedizione al teatro. Perciò quella specialistica attenzione filologica al testo, pur con la lettura poetica di un grande impatto emotivo e umano. Dall’altra parte la regia, scene e musiche del barcellonese Carlus Padrissa (nato il 1979), coadiuvato nelle coreografie da Mireia Romeo Miralles e nei costumi da Tamara Joksimovic e nell’insieme da un esercito di collaboratori e assistenti tecnici. Parlare di Padrissa è presentare il genio dell’innovazione. Intanto è stato uno dei fondatori di La Fura dels Baus, compagnia nota in tutto il mondo, e partecipe della creazione collettiva degli spettacoli Accions (1984),Suz / o / Suz (1985), Tier Mon (1988) e Noun (1990). Nel 1992 diresse insieme ad Alex Ollé Mar Mediterrani, Olympic Sea, con le musiche di Ryuichi Sakamoto per la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Barcellona. Già nel 1993 creò il maxi spettacolo Enderroc, in cui ha utilizzato bulldozer, la Banda Municipale di Bellvitge e il Jordi Arcarons’ rider team. Potremmo continuare con la fondazione della MTM Entertainment (1994) e delle BOM Experiences (1994-95), potremmo annoiare con le molteplici collaborazioni di diverso tipo in realizzazioni operistiche. Interessa di più il lavoro collettivo di più di 40 anni del collettivo La Fura dels Baus che nel suo sito si definisce “eccentricità, innovazione, adattamento, ritmo, evoluzione e trasgressione. Tale essenza caratteristica e unica ha portato l’azienda a pioniere della riconcettualizzazione di due degli espetti più significativi dell’arte drammatica: lo spazio teatrale e il pubblico. Così rispettivamente, hanno ridefinito lo spazio spostandolo in quelli non convenzionali – e hanno cambiato il ruolo del pubblico da passivo a attivo, il che significa una rottura del “quarto muro”. Ed è che non c’è creazione senza rischio – una premessa compilata fin dall’inizio, fin dai loro primi spettacoli di strada, dove è nata l’essenza autentica di La Fura».
Il coro sospeso, ph ragusah24.it
E andiamo ad Euripide e alle sue Bakchai, composte pochi mesi prima della sua morte e rappresentata postuma ad Atene intorno al 403 a.C. Siamo alla fine di un’epoca e allo stravolgimento dell’apollineo sofocleo, sia in termini creativi che strutturali. La tragedia, per noi nata con l’Eschilo corale, chiudeva la sua lunga evoluzione con uno sviluppo narrativo, l’azione rispetto al canto. Dal coro tripartito si era giunti ad uno strano intermezzo lirico e l’arrivo di musiche esotiche orientali. Può tutto questo giustificare gli stravolgimenti dei personaggi? In genere nelle realizzazioni moderne sono saltati i criteri scenici antichi, il classico limite del tritagonista e il coro di quindici coreuti post-sofoclei. Si può cambiare sesso ad un dio, pur con la bravura tecnica della figlia d’arte Lucia Lavia (Gabriele e Monica Guerritore)? Non voglio entrare nel simbolo di questa scelta. D’altronde in questa apoteosi del gender abbiamo assistito ad opere tutte al femminile. Importante la sensazione espressa dall’attrice-uomo-dio: «Qui a Siracusa non va in scena soltanto una ‘recita’ ma un vero e proprio ‘rito’ di cui noi attori siamo in qualche modo i sacerdoti per questo popolo. Questa è la cosa più bella e più speciale che può accadere a un artista di teatro». E aggiunge: «La recitazione teatrale è sempre un rapporto fra attore e spettatore, ma in questo spazio del teatro greco di Siracusa tutto avviene in maniera più incisiva, perché guardando negli occhi la persona si crea un’empatia diversa, quasi a portare avanti la storia assieme al pubblico anziché limitarsi a proporla al pubblico.»(webinfo@adnkronos.com). Hanno reso la drammaticità e modernità del testo il Cadmo di Stefano Santospago, il sempre cieco Tiresia di Antonio Fassari, il Penteo scisso e materialmente dilaniato di Ivano Graziano, l’Agave furente di Linda Gennari, ed inoltre i messaggeri Spyros Chamilos, Francesca Piccolo e Antonio Bandiera, le corifee Cartia e Greco. Che dire della profonda immedesimazione nel rito del Coro, sia quello delle danze e dei canti scenici delle Baccanti sia quello dei cittadini, strabiliante per la misura tecnico-ginnica le acrobazie del Coro definito “sospeso” degli allievi dell’INDA, fino al rapper Domenico Lamparelli. All’ingegnosità delle strutture tecniche quel sorprendente parto di Semele di Viola Marietti con la nascita di Dioniso. Ecco, in questo connubio tra il meraviglioso della tecnica moderna e il sublime di un mito sconvolgente, in questo innesto della parola eccelsa di Euripide, senza stravolgimenti e forzature, con la bravura ginnica, nulla strideva, perché non si stravolgevano rito e costumi, neppure i classici pepli, che cingevano gli interpreti. Diciamo che la mostruosità dell’eroe e la gabbia che figurava una testa, quella immensa gru dalla quale i coreuti sviluppavano una inimmaginabile danza, nulla disturbava nella rievocazione dell’ultimo drammatico saluto di Euripide, il sublime canto del cigno, e della gloriosa chiusura per noi del miracolo non più ripetuto nella storia del teatro. Shakespeare è nulla in confronto con quei testi che sconvolgono ancora oggi per la profondità della parola e il fulgore dell’epifania della vita, in tutte le sue espressioni. Dolore immenso per l’esiguo salvataggio di quel monumento di vita, relitti di un immenso naufragio, quelle pochissime opere, 7 su novanta di Eschilo, 7 su 123 di Sofocle, 18+1 dramma satiresco su 92 di Euripide. Ma sulla scena del teatro di Dioniso di Atene presentarono le loro opere tanti altri tragediografi di cui rimangono nel Lessico di Suda e in altre fonti nome e titoli (Pratina, Filocle, Euforione, Jone, Senocle, per citare i più noti). Si pensi tre tetralogie all’anno in tre giorni del mese di Elabelione dall’invenzione di Pisistrato nel 535 a.C. fino al 372 a.C. circa.