PALERMO –TOPONOMASTICA AL FEMMINILE

Via Contessa Adelasia

Antonella Grandinelli

Monumento funebre della regina  Adelasia  a Patti

Figlia di Manfredo dei marchesi di Monferrato, della stirpe di Aleramo, la giovane Adelasia sposa nel 1089 il conte Ruggero d’Altavilla. Dal matrimonio, nascono due figli: Simone (1093) e Ruggero (22 dicembre 1095). Quando nel 1101 il conte Ruggero muore, Adelasia assume la reggenza della contea di Sicilia e Calabria per l’erede Simone e in seguito alla sua morte prematura, avvenuta nel 1103, per Ruggero II anch’egli minorenne. Donna d’ingegno, Adelasia,  costantemente vissuta a fianco del marito, ha imparato l’arte di governare con saggezza con l’aiuto di consiglieri fidati e avvia una pacifica convivenza tra le varie stirpi, religioni e costumi esistenti nello stato. La reggenza di Adelasia ha fine nel 1112, alla maggiore età di Ruggero, che ha  educato alla corte di Palermo, affidandolo a dotti greci, latini ed arabi. Alla fine del 1112, in seconde nozze sposa Baldovino I di Fiandra, re di Gerusalemme ottiene così il titolo di regina. Questo matrimonio non dispiace al figlio Ruggero che spera di ereditare il trono di Baldovino. Infatti, Adelasia pone una   sola condizione che la corona del regno di Gerusalemme sia ereditata dal conte di Sicilia nel caso che dal matrimonio non nascano figli. Baldovino ha bisogno di denaro per le continue lotte che deve sostenere e per questo ha deciso di sposare Adelasia, di cui sono note le ricchezze. Dopo due anni, la regina viene  a conoscenza che Baldovino è già sposato con un’armena, di nome Arda, che egli ha ripudiata e fatta chiudere in convento al solo scopo di intrappolare Adelasia . Ma il re si ammala gravemente e, in punto di morte, fa voto che  se guarisce , richiamerà  a sè la prima moglie e ripudierà  la seconda, illegittima. Delusa e affranta dal dolore, Adelasia abbandona Gerusalemme e ritorna  in Sicilia. Per l’affronto subito non vuole  ritornare alla corte di Palermo.  Si dice che la contessa, colpita da lebbra , si bagni alla fonte dell’Acqua Santa, dove S. Febronia fu battezzata da S. Agatone e per miracolo guarisca, forse per questo motivo stabilisce la sua residenza a Patti, dove vive nel castello, accanto al monastero fondato dal suo defunto sposo. Il 26 aprile 1118 Adelasia, confortata dall’affetto dei pattesi, muore, lasciando un buon ricordo di sé. È stata seppellita nel monastero dell’abazia. Di Adelasia si conserva un Mandato , una lettera bilingue in greco e in arabo, datata 25 marzo 1109, considerata il documento cartaceo più antico d’Europa, importante testimonianza dei forti legami esistenti tra la Sicilia e il mondo arabo. Il Mandato, sollecitato dall’abate Gregorio  che aveva bisogno di fondi per ricostruire l’abbazia distrutta dagli arabi raccomanda ai vicecomiti di Messina e agli ufficiali di Castrogiovanni di non molestare l’abbazia a cui la contessa è molto legata. La rarissima missiva, scritta su carta con inchiostro nero e recante i segni di un sigillo in cera rossa, è oggi custodita all’Archivio di Stato di Palermo. L’assoluta rarità del reperto è evidenziata, in un suo pregevole articolo, da Vincenzo Fardella de Quernfort: “Acclarato, infatti, che negli archivi pubblici non esistono documenti cartacei anteriori a questa data e che in Italia le prime forniture di “carta bambagina” di fabbricazione fabrianese sono documentate da atti notarili del 1264, conservati nell’Archivio Storico di Matelica, si passò all’analisi microscopica dell’impasto fibroso, che risultò composto da cellulosa di lino, in fibre poco raffinate, avendo così la conferma che il documento siciliano era stato scritto su carta di sicura provenienza araba. E’ noto, infatti, che nel mondo musulmano esistevano delle cartiere già nel secolo VIII d. C. e che gli arabi furono i primi esportatori della carta nei paesi dell’occidente”. Introdotta nel mondo occidentale dagli arabi, la carta era utilizzata in Sicilia dalla cancelleria normanna, soprattutto per gli atti di natura transitoria, i cosiddetti mandati. Nel documento Adelasia, vedova del conte Ruggero, non compare insieme ai figli, in nome dei quali governa, perché il territorio di San Marco in Val Demone fa parte del suo dotario, ossia delle terre dell’isola che il conte ha  costituito come patrimonio personale della consorte allo scopo di provvedere alle spese del suo rango.

 

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