FIGURE FEMMINILI DELLA DIVINA COMMEDIA

Gabriella Maggio

MATELDA

 

E là m’apparve, sì com’elli appare

subitamente cosa che disvia

per meraviglia tutto altro pensare,

una donna  soletta che si gìa

cantando e scegliendo fior da fiore

ond’era pinta tutta la sua via.

“ Deh, bella donna , ch’ai raggi d’amore

ti scaldi , s’i’ vo’ credere a’ sembianti

che sogliono esser testimon  del core,

vegnati in voglia di trarreti avanti”

diss’io a lei” verso questa rivera,

tanto ch’io possa intender che tu canti.

Tu mi fai rimembrar dove e qual era

Proserpina nel tempo che perdette

la madre lei, ed ella primavera”.

Come si volge con le piante strette

a  terra ed intra sé donna che balli,

e piede innanzi  piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli ed in su i gialli

fioretti verso  me non altrimenti

che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti… ( Purgatorio ,  canto XXVIII vv. 37-58)

 

Sulla vetta del monte del Purgatorio si trova il Paradiso terrestre, costituito da un bosco meraviglioso “ la divina foresta spessa e viva “.  Mentre Dante  cammina dentro la selva antica   incontra un ruscello di acqua cristallina , al di là del ruscello  “ una donna soletta che si gìa/ cantando e scegliendo fior da fiore … ” . In breve sapremo che il fiumicello è il Leté, la cui acqua dà l’oblio dei peccati commessi, e che la donna si chiama Matelda ( c. XXXIII v.119). Matelda canta il salmo Delectasti, un inno alla vita attiva, nel mondo creato da Dio  per l’uomo, l’Eden. La donna è descritta secondo i canoni  dello Stil  Novo, è bella, in perfetta armonia  col contesto naturale. Per quanto riguarda la sua identificazione, sebbene  tutti gli antichi commentatori non abbiano  avuto dubbi nel riconoscervi Matilde di Canossa, resta qualche  dubbio per il fatto che  Dante non potè certo apprezzare l’opposizione della” gran contessa” all’imperatore Enrico IV perché aveva   ampliato e rafforzato il potere temporale del papato lasciando in eredità le sue terre.  Non vanno infatti dimenticate  le simpatie imperiali del poeta  mentre compone il Purgatorio. Matelda è, dunque, anche e forse soprattutto un concetto al quale il poeta ha dato un nome, il cui significato oggi ci sfugge nella sua interezza e complessità. Taluni critici hanno tentato di interpretare il nome di Matelda, invertendo l’ordine di lettura ed ottenendo in questo modo l’espressione “Ad letam”, intendendo  “colei che conduce alla beatitudine”, ovvero “colei che conduce alla acque del Leté”. Il Singleton ha proposto un’ interpretazione  del personaggio e della scena edenica  facendo  riferimento al  genere letterario  della pastorella ed in particolare alla  cavalcantiana   In un boschetto trov’pasturella, rilevandone alcuni   riscontri nel canto e nel camminare della donna :  Cantava come fosse ‘namorata:….che sola sola per lo bosco gìa. Il richiamo all’amico dedicatario della Vita Nova  apre anche a  una possibile corrispondenza  del personaggio di Matelda con  Giovanna,  la donna di Cavalcanti, una delle presenze femminili dell’opera giovanile  di Dante,  che formavano la  schiera di Beatrice e  precedevano “colei che rende beati”. E probabilmente è anche in questa direzione che  va  cercato il senso simbolico del personaggio Matelda. Nella Vita Nova, XXIV, 3  a proposito dell’incontro decisivo con Beatrice, dopo che Dante aveva avuto una imaginazione, cioè una visione profetica in cui credeva che Beatrice fosse  morta, si legge   : Io vidi venire verso me una gentile donna, la quale era di famosa bieltade, e fue già molto donna di questo primo mio amico.  E lo nome di questa donna era Giovanna, salvo che per la sua bieltade, secondo che altri crede, imposto l’era nome Primavera; e così era chiamata. E appresso lei, guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso di me così l’una appresso l’altra, e parve che Amore mi parlasse nel cuore, e dicesse: «Quella prima è nominata Primavera solo per questa venuta d’oggi; ché io mossi lo imponitore del nome a chiamarla così Primavera, cioè prima verrà lo die che Beatrice si mosterrà dopo la imaginazione del suo fedele. E se anche vòli considerare lo primo nome suo, tanto è quanto dire ‘prima verrà’, però che lo suo nome Giovanna è da quello Giovanni lo quale precedette la verace luce, dicendo: Ego vox clamantis in deserto: parate viam Domini. Ed anche mi parve che mi dicesse, dopo, queste parole: «E chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza che ha meco». Un ulteriore sostegno a questa  linea  interpretativa  si trova nel canto XXVII del Purgatorio vv. 94-108 , nella specularità che si stabilisce tra il  sogno che   Dante fa prima dell’alba e la imaginazione  del prosimetro giovanile:  giovane e bella in sogno mi parea/ donna vedere andar  per una landa/ cogliendo fiori; e cantando dicea : “Sappia qualunque il mio nome dimanda / ch’i’ mi son Lia, e vo movendo  intorno/ le belle mani  a farmi una ghirlanda./Per piacermi allo specchio, qui m’adorno; / ma mia suora Rachel mai non si smaga/ dal suo miraglio, e siede tutto il giorno./ Ell’è  di suoi begli occhi veder vaga/ com’io dell’adornarmi con le mani;/ lei lo vedere e me l’ovrare appaga. Le due  donne, prima e seconda moglie di Giacobbe, sono rispettivamente prefigurazioni delle due donne che Dante incontrerà nell’Eden, Matelda, che rappresenta la felicità  raggiungibile sulla terra nell’amore del prossimo e nell’operazione  delle  virtù cardinali, e Beatrice, la scienza rivelata , che avvia l’uomo all’amore di Dio.   Come Lia precede Rachele così Matelda precede Beatrice, la preannuncia e conduce  a lei il pellegrino. Beatrice è già stata accostata a Rachele nell’  Inferno,II, vv.100-102 : Lucia , nimica di ciascun crudele,/si mosse, e venne al locodov’i’ era,/che mi sedea con l’antica Rachele. Matelda  assume anche un significato simbolico legato alla poetica di Dante : se Beatrice realizza le potenzialità mistiche dello stilnovo trasferite nell’ampio disegno del poema morale, Matelda  ne rappresenta la prefigurazione , ancora  legata alla corporeità, appagata dalla vita a contatto con un idillico mondo naturale. Matelda si inserisce, quindi, appieno nel recupero degli anni giovanili di Dante e nell’esperienza dello Stilnovo rivisitato  e concluso nel Purgatorio. Ricordiamo infatti l’incontro con Bonaggiunta Orbicciani nel canto XXIV : Ma di’ s’i’ veggio qui colui che fore/ trasse le nove rime, cominciando/ “ Donne ch’avete intelletto d’amore”. E io a luiI’ mi son un, che quando/ Amor mi spira, noto,e a quel modo/ch’e’ ditta dentro vo significando”. “ O frate, issa vegg’io” diss’elli” il nodo/ che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne/ di qua dal dolce  stil novo ch’io odo!.. e  quelli con i rimatori delle ultime cornici del monte Arnaut  Daniel e Guido Guinizzelli definito  : il padre/mio e de li altri miei miglior che mai/rime d’amor usar dolci e leggiadre….che così incorona  Dante come poeta moderno:  Tu lasci tal vestigio,/per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,/che Letè nol può tòrre né far bigio. Ma non bisogna nemmeno trascurare il fatto  che Matelda  e l’Eden sono  in similitudine  con  Proserpina  e con il  luogo, dove c’era sempre primavera, la Sicilia di allora,  in cui la fanciulla fu rapita da Plutone : tu mi fai rimembrar dove e qual era/Proserpina nel tempo che perdette / la madre lei, ed ella primavera. Ma  anche  l’accostamento con Venere è significativo:  di levar gli occhi suoi mi fece dono./Non credo che splendesse tanto lume/ sotto le ciglia a Venere, trafitta/ dal figlio fuor di tutto suo costume.  Matelda ha perciò in sé  gli aspetti tenebrosi degli inferi ( Proserpina) e quelli vitali, gli istinti più bassi e l’erotismo della vita terrena (Venere) , rappresenta il punto più alto della perfezione umana,  ma  anche  la  sua fragilità e precarietà.  Il Paradiso terrestre è perciò sempre esposto alla caduta : Per sua difalta qui ( l’uomo)dimorò poco;/ per sua difalta in pianto e in affanno/ cambiò onesto riso e dolce gioco….  L’eterna primavera e la bellezza del luogo, il rigoglio della  la terra  evocano a Dante anche i sogni poetici degli antichi : Quelli ch’anticamente poetaro/ l’età dell’oro e suo stato felice,/forse in Parnaso esto loco sognaro.  Dante  con questi versi riscatta la cultura classica saldandola strettamente a quella cristiana  e  assumendone l’eredità, testimoniata dalla compagnia  di Stazio e Virgilio. Nella sintesi  perfettamente confluisce anche la sua rivisitata esperienza stilnovista. Dante  si attesta così il primo tra i moderni , emulo degli antichi.

 

 

 

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