IMBROGLI – MALVERSAZIONI
(Francesco Paolo Rivera *)
Francesco Maria d’Aquino p.pe di Caramanico
Spesso, esaminando episodi del passato, si è portati a pensare che, nell’antichità, il tenore di vita, nella nostra città era migliore rispetto a quello di oggi, che si viveva in ambienti più onesti, più corretti e tra gente meno corrotta, forse perché la storia del passato ci ricorda soltanto gli episodi e gli avvenimenti migliori, dimenticando gli avvenimenti negativi. Anche nel settecento si commettevano, come ai nostri tempi, furti, truffe, imbrogli e altri tipi di reati contro il patrimonio, c’era chi si appropriava di denaro o di beni della pubblica amministrazione o chi destinava tali beni a scopi diversi di quelli a cui era destinato. I pubblici amministratori, a quell’epoca venivano scelti tra i rampolli della nobiltà, appartenenti a quelle famiglie che avevano avuto la possibilità di studiare. Il governo del Regno e della Città erano affidati a coloro, che avrebbero dovuto essere zelanti e scrupolosi custodi dei beni pubblici che, purtroppo, spesso si approfittavano della propria posizione sociale. Certo non erano tutti malfattori, ma spesso alcuni, approfittando del proprio ruolo e non per necessità economiche, erano portati a fare operazioni criminose, forse anche per dimostrare, spesso a se stessi, che il potere loro conferito non aveva limiti …, che potevano fare qualsiasi cosa, tanto nessuno se ne sarebbe accorto … nessuno avrebbe osato ostacolarli, … tuttavia sempre furti erano denominate le loro azioni criminose. Si evitava di denunciarli, anche perché spesso non soggiacevano ad alcun provvedimento punitivo; talvolta queste azioni criminali venivano portate alla conoscenza del popolo, sotto forma anonima, o sotto forma di “maldicenza” o, anche in forma umoristica. L’ab. Meli, in uno dei suoi epigrammi lanciò le sue frecciate, sia contro il magistrato del Comune che contro il capo supremo dello Stato (il Vicerè), delle quali si ebbe conoscenza solo dopo qualche anno dall’evento … evidentemente era più prudente tenerle conservate per un po’ di tempo. Non si formulavano, per prudenza, accuse specifiche, ma soltanto “maldicenze” … un epigramma, pare riguardasse il comportamento della consorte di un alto rappresentate del Senato, che accettava doni in compenso di favori. Molti gli amministratori rigidi e onesti, ma parecchi per fiacchezza o inesperienza, finivano per commettere scorrettezze o atti che li facevano incolpare di disonestà. Ecco la cronaca di alcuni avvenimenti accaduti nell’ultimo trentennio del diciottesimo secolo, narrati da scrittori, o desunti da notizie di cronaca, o trattati dai documenti ufficiali, da diari o sentenza. Il m.se di Villabianca, fece riferimento (nel suo “diario inedito”) a “pezzi grossi” del Senato che avrebbero preso “denari e sborsi di buoni capitale dai loro subalterni eliggendoli ufficiali …”, (evidentemente era un sistema, in quanto l’elezione sarebbe arrivata … magari con po’ di ritardo, ma senza esborsi), e all’operato di un Senatore che avendo assunto – tramite persona di sua fiducia – l’impresa della beneficiata (1) di Santa Cristina traendone ingenti guadagni. (2). Dalle “Provviste del Senato” – 1794/95 – si apprende che i Contestabili (3) del palazzo pretorio, definiti “plagas” (parassiti), destituiti dal Senato perché riconosciuti tali, si appellarono al Vicerè (Francesco Maria d’Aquino p.pe di Caramanico), il quale, non solo ne confermò la destituzione, ma con lo stesso decreto ne elesse altri, non più inamovibili, ma per la durata di un biennio (amovibili ad nutum etiam sine causa), e, considerato anche che i “maestri d’immondezza” (definiti “mangia pane a tradimento”) si erano resi responsabili di gravi negligenze, con lo sesso provvedimento destituì anche quelli, sopprimendo addirittura il loro ufficio, con incarico alla Deputazione dei Nobili di provvedere alla loro sostituzione. Nel 1779 il Pretore Antonio La Grua m.se di Regalmici e p.pe di Carini, incorse in una grossissima grana. Su richiesta del Governo di Napoli, vennero spediti a Palermo, circa duemila salme di grano, risultato, poi, adulterato. La colpa venne addebitata all’ignaro Pretore, primo magistrato della Città, il quale godeva la fama di specchiata onestà e di uomo che si prodigava per il bene pubblico. Fortunatamente dalle indagini svolte, successivamente, dalla Corte venne individuato in Giuseppe di Maggio di Cristoforo il vero colpevole, il quale fece in tempo a far perdere le sue tracce. Lo stesso avvenne nel 1796, con quel Giovanni Cane, che maggiorando il prezzo di vendita del carbone (contingentato per disposizione del Senato) conseguiva ingenti guadagni, e che scoperto, si salvò con il sistema dello”asilo sacro” (rifugiandosi presso una chiesa). Dalle “Provviste del Senato” si fa accenno a compensi pretesi dai Senatori, per servizi privati, … l’acquisizione delle “toghe di allegrezza”: nel 1780, i Governatori del Banco si riunirono al fine di deliberare all’arrivo del Presidente del Regno, don Antonio de Cortada y Bru, il conseguimento della toga, (supponendo di non venir meno ai doveri di convenienza di rispetto e di dignità alla loro qualità). Il Cancelliere della Città, venutone a conoscenza richiese al Segretario del Banco (o della Tavola) che si dessero anche a lui due toghe (una di allegrezza e una di lutto) che si distribuivano ai Governatori e agli alti ufficiali; nel 1784 si chiese il permesso di spedire le due toghe a favore del Sindaco, p.pe di Mezzojuso, e nel 1785, per uno nuovo parto della Regina, si provvide alla distribuzione di altre toghe ai Governatori. Il m.se di Villabianca (nel suo “diario inedito”) riferì un avvenimento, definito scandaloso: nell’anno 1780, ben sette ragazze (i cui genitori erano vivi e vegeti) erano state fatte entrare – col permesso dei Governatori del Monte, – alla Conservatoria di Santa Lucia, ove era consentita , per regolamento, l’ammissione esclusiva di orfanelle povere e abbandonate. Dalle Provviste del Senato, a sua volta, si ha notizia di altri avvenimenti scandalosi: negli anni 1781, 1782 e 1783 vennero ammesse, anche le ragazze Gerfo, Rosa Sabatino e Marianna Ciminiello, i cui genitori erano vivi e sani e nel 1787 venne ammessa al sorteggio di un secondo legato di maritaggio, certa Maria Anna Noto, la cui sorella ne aveva conseguito, già poco tempo prima. Altre notizie di parzialità, la conferma in carica di Governatori già scaduti non rieleggibili, i quali a loro volta eleggevano un collegio di forensi di dubbia fama e nominavano altresì avvocato straordinario, con dispensa di un atto necessario, Domenico Candia. Nel 1776, altro scandalo: venne alla luce una spesa di 3.600 onze per le opere di copertura del fabbricato del Monte di Pietà. Si parlò di regalie ai sovraintendenti delle imprese e delle gratificazioni che si erano attribuiti. Nel 1785 fu dichiarato il fallimento del Monte di Pietà: l’amministratore del ripartimento del Prestamo (prestiti) Gregorio Spadafora, presentò un ammanco di ben 60.000 scudi, tuttavia coloro che lo avevano appoggiato fecero in tempo per far perdere le loro tracce. Nel 1772, con la connivenza del libreri (computista, contabile) Giuseppe La Rosa e dello scritturale Salvatore del Carretto falliva Ignazio Mustica, Cassiere del civico Banco (per un ammanco che si aggirava tra i 50 e i 70mila scudi): ma anche, in questo caso, fecero in tempo per far perdere le loro tracce, anche se il Vicerè Caracciolo (4), particolarmente incattivito per tale avvenimento mise una taglia di cento onze a favore di chi li trovasse. Furono fatti parecchi arresti di presunti correi tra i quali il mercante Innocenzo Lugato e gli ex Senatori Corrado Romagnolo (quello che ha dato il nome all’omonima frazione lungo via Messina Marine) e Vincenzo Parisi (il quale, essendo ammalato, restò agli arresti domiciliari). Anche negli anni 1798 e 1799 tanto al Monte di Pietà che al Banco si verificarono analoghi ammanchi, imbrogli e furti, secondo le solite modalità. Il Villabianca lamentava il ripetersi di tali fenomeni nell’amministrazione dei due ospedali (Ospedale Grande e Ospedale di S. Bartolomeo), in quanto, secondo il suo parere, essendo gli ospedalieri di nomina “perpetua”, è più facile che traessero illeciti guadagni approfittando del proprio potere, … “non vi è più dannoso – sosteneva – nelle opere pubbliche e soprattutto nelle opere pie, la perpetuità di ufficio dei loro rettori”, e lo diceva lamentando le cattive condizioni di entrambi gli istituti di carità. Altro sistema di frodi, da parte di alti personaggi di governo, era quella di appropriarsi di suolo pubblico. Nel 1767, Asmundo Paternò, eseguendo lavori di restauro e di ampliamento del suo palazzo di fronte al Duomo, fece impiantare pilastri di grandi dimensioni che uscivano, fuori dai limiti, sul corso, tuttavia essendo il predetto padre di quel G. Battista Paternò, Presidente del Concistoro e del Supremo Magistrato del Commercio, nessuno osava richiamarlo al dovere … Fintanto che i soliti ignoti decisero di accusarlo, con la seguente canzonetta:
“Mentri si fabbricava la casa di lu su Presidenti Paternò:
“Avanti c’era un muttu (motto) cu sta frasa:
“Lu Presidenti è un cunigghiu di ddisa (5),
“Ma ora chi crisciu cu la su casa,
“Si chiama la tartuca catanisa (6).
“Lu Cassaro strinciu cu la so spasa (7)
“Omu putenti pigghiau chista ‘mprisa,
“Pirchi la giustizia è vastasa
“E a cui s’incumbi se la pigghia a risa.
“pri civiltà la manu ci si vasa:
“e non si ci loda sta spasa e sta spisa,
“un palmu e menzu si ritira e trasa,
“e a cui nun voli ci vegna la scisa!”
… Anche, con la canzonetta, non si riuscì ad ottenere alcun risultato pratico …!
*Lions Club Milano galleria distretto 108Ib-4
Note:
1) Era una manifestazione o una festa il cui utile andava a beneficio di qualcuno oppure l’ufficio che organizzava la manifestazione per la raccolta di fondi;
2) Vale la pena trascrivere a questo proposito il commento del Villabianca, contro le turpitudini del presente in così aperto contrasto con l’onestà del passato, in occasione della terza elezione a Pretore di Ercole Branciforte p.pe di Scordia: “… la bellezza delle sue mani lo mettevano sommamente in pregio e lo rendevano venerando!”;
3)Il Contestabile – “regni comes stabili” – in origine era il capo della cavalleria imperiale, divenuto poi il capo delle forze armate (colui che custodiva la spada del Re) – divennero poi sette (uno del Pretore, per affari di annona e gli altri dei Senatori), nominati a vita;
4)Domenico Caracciolo m.se di Villamaina. Era napoletano e pare che non fosse stato molto contento della sua nomina a Vicerè, in quanto, era stato costretto ad abbandonare la carriera diplomatica che lo aveva accreditato presso le più importanti Capitali europee (Torino, Parigi, Londra), e per tale motivo, pare detestasse la Sicilia e i siciliani;
5)La traduzione letterale è “Coniglio di disa” (è quella pianta spontanea che i contadini usano per legare a mazzi la verdura, mentre la frase, in versione umoristica, serve a indicare una “persona grassottella, ben tarchiata”);
6) La traduzione letterale è “tartaruga catanese”, ma non se ne conosce il significato umoristico;
7) Spasa è il vassoio; ma in questo caso si dovrebbe intendere che il Cassaro si era ristretto a causa dell’allargamento del palazzo;
8) La scisa è la dissenteria.