LA SOCIETÀ DELLA SORVEGLIANZA
Gabriella Maggio
Secondo David Lyon, autore del saggio “La cultura della sorveglianza”, recentemente edito dalla LUISS University Press, la sorveglianza permea ogni aspetto della nostra vita tanto da potere dire che viviamo nella cultura della sorveglianza. Prima dell’era digitale la sorveglianza era quella messa in atto dallo stato di polizia, in cui il controllo si esercitava dall’alto verso il basso con l’intento di umiliare e intrappolare i sorvegliati. Nel tempo abbiamo visto apparire le telecamere sui portoni degli edifici, all’ingresso dei negozi e nei luoghi più diversi, la sorveglianza è quindi diventata assolutamente pervasiva coinvolgendo tutti senza fare alcuna differenza. Alle telecamere si uniscono poi gli smartphone, i social network, i riconoscimenti facciali, i droni, i dispositivi che indossiamo per monitorare il nostro corpo con la speranza di condurre una vita migliore. La sorveglianza ci pare così imprescindibile che ci monitoriamo anche nelle nostre abitazioni, sempre per sentirci più sicuri, ma non pensiamo alla nostra privacy, né a quella degli altri. Questo rappresenta il passaggio alla cultura della sorveglianza. La nostra attenzione è concentrata sempre su in display che riprende noi e il nostro mondo immediatamente vicino, luoghi e “amici” . Li controlliamo e ne siamo controllati per rassicurarci e avere l’illusione di una relazione affettiva. Su Faceboock, Twitter, Istagram, narriamo la nostra vita e le nostre esperienze quotidiane enfatizzandole come “storie”. mentre attendiamo di avere un riscontro attraverso i like e le narrazioni degli altri. Ci comportiamo come personaggi di un film immaginario, sempre in forma ed efficienti, coraggiosi e reattivi. Il tempo trascorso sui social e il tempo fisicamente vissuto si fondono l’uno nell’altro generando commistioni spesso confuse, perché tutto è decontestualizzato. Ma ci sfugge che i nostri dati alimentano un mercato enorme nei database delle aziende o negli stati che vogliono esercitare un controllo sui cittadini. Forniamo a sconosciuti un buco della serratura da cui possiamo essere osservati ad libitum. In questo contesto molti preferiscono usare Whatsapp dove i singoli contesti restano separati e permettono di agire in modo più naturale, esimendosi dalla necessità della performance. La pandemia da Covid-19 ha generalizzato il lavoro da remoto, ma ha anche incentivato l’installazione di software che controllano i dipendenti anche quando sono lontani dall’ufficio. L’incremento è di circa il 71%. L’unica soluzione consiste nel prendere esatta consapevolezza del nostro mondo, di convincersi che le cose possono cambiare, che la teoria dell’inevitabilità tecnologica non ha fondamento, perché la tecnologia è un’impresa umana ed è determinata dalla società.