LUCE DA LUCE

Gabriella Maggio

  In tutte le civiltà la luce passa da fenomeno fisico ad archetipo simbolico, dotato di un ampio  spettro di iridescenze metaforiche che  nelle culture più antiche assumono qualità religiosa. La connessione primaria è di natura cosmologica: l’ingresso della luce segna l’incipit assoluto del creato nel suo essere ed esistere come testimoniano le più antiche culture. Potremmo condividere quindi l’affermazione di Ariel nel Faust di Goethe: Welch Getöse bringt das Licht!, «Quale tumulto porta la luce!» (II, atto I, v. 4671).Infatti essa è un segno glorioso e vitale, anche  una metafora sacra e trascendente, ma non è inoffensiva perché genera tensione col suo opposto, la tenebra, trasformandosi in simbolo della lotta morale ed esistenziale tra bene e male. La sua irradiazione, quindi, dal cosmo trapassa nella storia, dall’infinito scende nel finito ed è per questo che l’umanità anela sempre alla luce e l’antitesi lucetenebre si trasforma in un paradigma morale e spirituale. Questi aspetti sono raccolti ed intrecciati   nell’esperienza estetica della mostra “Luce da Luce”, allestita a Palazzo Riso fino al 29 novembre 2020 , che accoglie opere antiche e contemporanee, accomunate dal tema della luce. Dall’  antica  icona col volto di Cristo,  il Mandylion che  guarì dalla lebbra il re di Edessa Abgar V Ukkama, alla rappresentazione di Madonne e sante, al Codex  Purpureus Rossanensis,  ai testi dei mistici persiani e dei Sufi che esprimono l’unione col divino nella sezione Teofania della bellezza  alla contemporaneità degli occhi/ lacrime lucidi e riflettenti  nella personale di Laura Panno, realizzati in vetro di Murano, esposti nella Cappella dell’Incoronata, fino alle opere  di Christian Boltanski e Shay Frisch. Si tratta di percorsi paralleli, che letti nel loro complesso evidenziano sì continuità nel tema, ma anche una sostanziale diversità nel modo della rappresentazione e dell’interpretazione della luce in cui  le epoche storiche antiche, in cui è forte il senso del sacro, si distinguono da quella contemporanea in cui il “sacro” è muto, anche se talvolta gli artisti utilizzano  i  suoi  simboli  perché condivisi da tutti. Christian Boltanski, fotografo e regista francese, è presente con alcuni Monuments,  ricordi-moniti,   nei quali gli oggetti, gli abiti, evocano l’assenza di chi li ha indossati per cui si caricano di un valore emblematico di vite vissute e perdute, sottolineato dalle luci che li incorniciano. Lo spettatore è emotivamente coinvolto e associa gli abiti a persone che in ogni tempo hanno subito violenza. La luce sfumata si mescola al  suo opposto, perdendo la sua valenza positiva.  La luce artificiale generata dall’elettricità invece si colora di rosso nelle creazioni dell’artista israeliano Shay Frisch. Le sue opere sono costituite dall’assemblaggio di componenti elettrici Vimar, centinaia di migliaia di adattatori, solo bianchi o solo neri, attraversati da linee rosse singole o in serie. L’artista è sempre stato affascinato dall’ energia elettrica e ne ha fatto la forma protagonista di tutta la sua opera. Il suo colore  rosso  spicca sul nero e sul bianco, riproponendo il  senso archetipico dei tre colori. Il rosso si colloca tra la “negazione , la tenebra “ rappresentata dal nero e la freddezza intatta e silente  del bianco.

 

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