IL COLIBRÍ
Romanzo di Sandro Veronesi ed. La nave di Teseo
Gabriella Maggio
Il LXXIV° premio Strega è stato assegnato a Il colibrì di Sandro Veronesi, edito da “La nave di Teseo”. L’autore è stato già insignito del Premio con Caos calmo della stessa casa editrice nel 2006. Protagonista è Marco Carrera, un uomo come tanti che cerca di resistere, tenendosi in equilibrio come il colibrì, al dolore e all’infelicità della sua vita. La madre gli aveva dato il più rassicurante dei soprannomi, colibrì, per rimarcare che, insieme alla piccolezza, in comune con quel grazioso uccellino Marco aveva anche la bellezza, accettando attraverso la metafora del grazioso uccello il suo ritardato sviluppo fisico, che invece preoccupava molto il padre, tanto da sfidare i dubbi della moglie e sottoporre con successo il figlio a una cura sperimentale. La narrazione inizia quando nell’ambulatorio oculistico di Marco entra Daniele Carradori, lo psicanalista di sua moglie Marina, che, contravvenendo all’etica professionale, gli svela particolari inquietanti della paziente che da qualche tempo ha interrotto la cura. L’incontro consente alla narrazione di abbracciare tutta la vita di Marco non in senso lineare ma attraverso una ragnatela di episodi, anche remoti, e una ampia serie di personaggi. Attraverso il ricordo essi appaiono a Marco diversi da come li aveva considerati nell’immediatezza della vita. Così rivede da un altro punto di vista, quello di un uomo adulto, provato dal dolore, il suo matrimonio, la difficoltà relazionale della figlia Adele, che credeva di essere legata ai muri da un filo invisibile. Ed anche la vita dei genitori, il loro matrimonio solo apparentemente solido, il padre sempre taciturno e distante che occupava il suo tempo libero costruendo modellini di trenini e collezionando romanzi Urania; la madre inquieta, abile fotografa, amante del bello, insoddisfatta della vita familiare; la sorella Irene suicida era l’unica che aveva capito come stavano le cose in famiglia, ma era sempre inafferrabile; il fratello Giacomo,che non riesce a superare il vecchio demone della competitività con Marco. Accanto a questi Luisa Lattes, l’amica d’infanzia con cui Marco intrattiene per corrispondenza una relazione platonica intrisa di senso di mancanza, di ripensamenti e di colpa. Le sue lettere, che interrompono la narrazione, cercano anche di chiarire il significato del colibrì, attraverso riferimenti culturali ad altri popoli. Secondo la religione azteca , scrive infatti Luisa, i guerrieri uccisi in battaglia e le vittime immolate in sacrificio si trasformano in colibrì. Questi personaggi con i loro comportamenti costituiscono il groviglio esistenziale di Marco. Il protagonista lo scioglierà soltanto alla fine della sua vita, quando porterà a compimento un percorso psicoanalitico “attivo” come confida a Daniele Carradori : “ Ho visto tutto quello che è , stanotte. Le cose come stanno. Avevo bisogno di dirlo a qualcuno. Ho pensato di dirlo a lei”. Marco Carrera ha sempre guardato con diffidenza la “psicoanalisi passiva” come la chiamava lui da cui è stato però circondato. Infatti la madre, la sorella, la moglie, la figlia sono state con esiti diversi governate da disparate tipologie di terapia….Del resto non c’era bisogno di un analista per farsi le domande giuste. La vita di Marco cambia nel momento in cui deve prendersi cura di Miraijin , che in giapponese significa “uomo nuovo”, figlia di sua figlia Adele, morta durante un’arrampicata in montagna. Ancora una volta giunge a Marco dall’esterno la spinta a crescere, così come durante l’adolescenza la cura sperimentale in pochi mesi aveva sviluppato e accresciuto il suo corpo, allo stesso modo la presenza di Miraijin gli fa trovare uno scopo e un obiettivo di vita, una rinascita. Il colibrì comincia a muoversi e può avviarsi alla conclusione della sua vita. La narrazione si articola in brevi capitoli distinti dal titolo e dall’dell’anno, intercalati dalle lettere tra Marco e Luisa, quelle indirizzate al fratello Giacomo e dai whatsapp con Carradori. Evidente nel romanzo l’intenzione di rispecchiare la vita quotidiana, di farne un’enciclopedia di temi attuali affrontati senza scalfirne la superficie : la crisi della famiglia, i rapporti interpersonali sempre precari, l’incidenza del caso nelle vicende, il disagio esistenziale diffuso che la psicoanalisi non risolve, la malattia e l’eutanasia, la fiducia nel rinnovamento che solo i giovani possono realizzare, perché vivono secondo le proprie regole di vita. Il linguaggio usato da Veronesi è snello e semplice, ampiamente attinge all’immediatezza del parlato. Complessivamente Il colibrì si fa leggere, ma non attrae veramente, forse s perché si colgono i riferimenti e i debiti letterari in parte ammessi dallo stesso Veronesi.