NOTTURNO DI GIANFRANCO ROSI

Gabriella Maggio

Notturno segue Sacro Gra del 2013 e Fuocoammare del 2016. L’orizzonte si amplia nello spazio, ma resta coerente nel senso, il dramma umano per come si manifesta, per quello che è in sé, senza approfondimenti  e ricerca di cause prossime o remote. Il film documentario Notturno, presentato quest’anno alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia,  è ambientato nell’area compresa tra i confini di Siria, Libano, Iraq, Kurdistan, quello che usualmente è detto Medio Oriente, considerata come umanamente omogenea, senza soluzione di continuità. Davanti alla macchina da presa si stende un paesaggio fangoso con poco verde che mostra le profonde ferite inferte dalla guerra, tetre muraglie di fortini e prigioni, macerie sulle quali resta ancora un vestigio di vita, povere case abitate da altrettanto povere persone che si sforzano di mantenere una parvenza di dignità umana. Canzoni popolari in lingua originale  fanno da colonna sonora. Il film documentario propone un’antologia di personaggi che con le loro azioni testimoniano la storia recente di quelle nazioni. Ancora una volta Rosi non ha fiducia nel racconto degli storici di professione, sempre di parte, ma affida ai luoghi muti, eppure eloquenti nel loro squallore, e ai vari personaggi  (bambini testimoni di violenze inaudite, donne che hanno perduto i figli, il ragazzo che mantiene con il suo precario lavoro giornaliero la famiglia, soldati, soldatesse e prigionieri) la testimonianza della storia vissuta da uomini comuni. Il racconto si snoda compatto e coerente racchiuso nella notte di una guerra perenne in cui l’alba si confonde col bagliore dei pozzi petroliferi che bruciano e delle bombe che esplodono. L’opera realizzata nell’arco di quattro anni,  assume l’andamento di un  notturno musicale monotematico e lento, libero  nella forma che raccoglie documenti umani a cui il racconto del regista dà una evidenza e compiutezza, che se restassero isolati e staccati non avrebbero. Gianfranco Rosi  si comporta come un narratore onnisciente che attraverso le azioni dei personaggi descrive  un contesto preciso, realizzando una sorta di “romanzo storico”, del quale però manca nei personaggi la connotazione della ricerca e della formazione. I nfatti le madri, i bambini, i ragazzi e tutti gli altri sono già perfettamente compiuti e fissati.  Per questo l’opera  appare più simile all’epica,sebbene depurata  della sua enfasi, del suo canto “ore rotundo”. Ė un’epica tutta umana, eroicamente umana nell’angoscia  del quotidiano. Il film appare  perciò simile alla narrativa contemporanea che assorbe e combina in maniera paratattica vari generi e varie voci. Bellissima e coerente la fotografia di Luca Bigazzi.

 

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