Il fascino della Kammermusik

(Carmelo Fucarino)

Più che chamber music, è stata a fare da padrona la Kammermusik ,perché in questo concerto a prevalere è la stata la creazione, diciamo esercitazione per dilettanti, di compositori tedeschi. Era la musica più semplice, contrapposta a quella più alta di chiesa o di teatro, con organici più complessi, corali o strumentali. Qui bastavano due strumenti e talvolta anche una voce cantante e l’intrattenimento era assicurato. Una sala, le sedie di legno dorato, i damaschi, gli stucchi e le figurazioni pittoriche, le porte e i telai istoriati, le dame con parrucche ornate di perle, il guardinfante, invenzione di moda in quegli anni, con la gabbia a semicerchi metallici, il corsetto guarnito di pizzi e nastri e la soprana di velluto o broccato, qualcuna con l’occhialino da teatro con manico di tartaruga. Non mi addentro nell’intimo che era ugualmente prezioso, E pure i cavalieri con gilet in damasco con bottoni d’argento o smalto, jabot uniti alla camicia ornata ai polsi di pizzi, calzoni al ginocchio, calze di seta e parrucca incipriata. Lo strumento che andava forte il fortepiano, ma non mancavano i violini o i flauti. Si era partiti dai madrigali, poi in età barocca si era inventato per le distrazioni serali dei palazzi principeschi il trio scritto per dilettanti. La domenica sera gli ingredienti del revival c’erano tutti. Intanto la camera, senza le grandi pretese da salone, ma di una magnificenza pur principesca. Era la sala intermedia del palazzo riconfigurato nel settecento da don Michele Gravina y Cruillas, principe di Comitini, e adattati da Nicolò Palma. con la sua gradinata e la sontuosa enfilade di sale e saloni fino all’acme della superba Sala Martorana, I soffitti istoriati, come le porte, i lampadari incombenti di vetro di Murano, e nel lato esterno la sfilata dei fortepiani raccolti da un duo particolare, un professore di lettere classiche a Nantes e un pianista palermitano, l’idea di Floriana, un’amica prizzese. Il tutto nasce da una mostra di fortepiani. Essa non poteva restare inerte memoria di legno e avorio e corde in genere stonate. Era necessario che vivessero nel loro splendore, abbagliante quel Ragonese al centro della parete. Così le serate che facessero vivere la loro voce, l’unica ragione per la quale erano stati costruiti. E qui la lode anche all’accordatore che aveva saputo far rinascere quelle corde, sensibili al pur piccolo sbalzo di temperatura.

In questo spazio mi è impossibile analizzare il variegato programma. Mi limiterò a inquadrare gli artisti nel loro contesto. La serata settecentesca si apre con Das Muhlrad di Conradin Kreutzer,  discepolo di Haydn, lied per soprano, clarinetto e pianoforte, cavallo di battaglia di Joan Sutherland con Barry Tuckwell e Richard Bonynge. Con la Serenade di Iwan Müller per clarinetto e pianoforte, entriamo nella splendida sequenza della classica serenata settecentesca. Qui le preziosità e leziosità della suite sono magistralmente realizzate da Maurizio Parisi e Angelo Litrico. Basta seguire lo sviluppo di questa suite: si avvia con un “valse”, si addolcisce in un “amabile”, avanza non troppo maestoso “grazioso quasi andantino”, si innalza di nuovo nella “romance”, ci culla con il rondò per concludere con quel moto trecentesco del “troubbadour”. E cosa dire del rappresentante più eccelso dell’uso del fortepiano con quel notissimo Ich liebe dich? Ich liebe dich, so wie du mich,/ Am Abend und am Morgen, / Noch war kein Tag, wo du und ich / Nicht teilten unsre Sorgen., «Ti amo come tu ami me, sera e mattina, non c’era giorno in cui non abbiamo condiviso le preoccupazioni». Poi l’andantino del Notturno di John Field irlandese, allievo di Muzio Clementi e celebre proprio per questo genere che saranno da modello per Chopin. Così J.B. Wahnal, celebre soprattutto per le Sonate, qui resa in una classica forma tripartita che in questo brano si articola ad avvio in un “allegro moderato”, con il suo amabile “adagio contabile” centrale, e nel terzo tempo con un rituale “rondeau allegretto”. Professore Eugenio Amato, che ci hai presentato i reperti, mi ha sempre ricordato la creazione corale in strofé, antistrofé ed epodo del nostro Stesicoro di Himera. Non potevano mancare i lieder di Franz Schubert nelle sue diverse modulazioni, dalla lode alla musica (An die Musik) al dinamico e forte (Der Tod und das Mädchen). Era la prova di forza della splendida giapponisna Chiemi Wada che qui ha espresso le sue qualità sonore ed interpretative. A chiudere quell’epoca, invadendo l’Ottocento Johann Wenzel Kalliwoda (1801-1866) con questo Heimathlied, la nostalgia della home, sweet home, come la dicono gli inglesi, ancora oggi in youtube in una interpretazione tutta al femminile del trio Baiba Urka, soprano, Shelly Ezra, historical clarinet, Makiko Asahi, fortepiano.

   

Chiedo scusa se qualcosa mi è sfuggito, forse il pubblico dell’altra sera, perduto dietro le evanescenze di dame e cavalieri che tra un risolino all’amante e una battuta di manine sono realmente risuonate in questa stanza e mi hanno fatto perdere i  sensi dietro quei suoni inusuali, voci forte e pieno e strani clarinetti di legno. C’era Michele Gravina y Cruillas, catalano e di vantate origini regali gotiche, sì, era il 1770 e rimasi ammirato dalla bellezza in abiti regali di Donna Antonia Gravina dei Principi di Ramacca.

 

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