ADDIO FANTASMI
Romanzo di Nadia Terranova ed. Einaudi –Stile libero-big
(Gabriella Maggio)
Da Roma Ida ritorna a Messina, ai luoghi della sua infanzia, dove è accaduta la scena archetipica che ha segnato la sua vita a tredici anni, quando il padre, dopo un periodo di depressione, senza dir niente esce di casa e fa perdere le sue tracce. Inutili le ricerche, non si ritrova né vivo né morto. Ida continua a vivere nella casa di Messina accanto alla madre dalla quale la separa un muro di silenzio colpevole e astioso su quanto è loro accaduto. Si proteggono dagli altri con gesti di cortesia che le isola nella condizione di abbandonate. Conseguita la laurea, Ida si trasferisce a Roma, lavora ad un programma radiofonico di successo per cui scrive storie, definite da Pietro, l’uomo che sposa, “finte storie vere”, perché riecheggiano variamente il suo vissuto, senza però rielaborarlo. Pietro ha intuito il dramma di Ida, anche se non ne hanno mai parlato: “ aprirmi con lui mi costava fatica per la differenza di genere “, ma anche per una certa identificazione col padre. ”Tu non sei tua madre”, le dice esplicitamente, esortandola a riflettere sui loro ruoli distinti, quando Ida è a Messina per aiutare la madre nei lavori di riparazione della casa e per scegliere gli oggetti da portare via. Il viaggio assume una connotazione metaforica; è una discesa agli inferi, incoraggiata dal caso per l’urgenza dei lavori, uno scavo interiore scandito dalle paure che affiorano dall’inconscio di Ida durante la notte, raccontate negli otto notturni, che segmentano il tessuto narrativo. Ma il viaggio fornisce anche un’occasione per la rielaborazione del lutto e per ridare alla madre il suo ruolo, appannato e confuso da quando, durante la depressione del marito, si era rifugiata nel lavoro e, defilata dalla casa, aveva affidato alla figlia la cura del padre. La narrazione procede compatta alternando passato e presente, ricordi che affiorano e difficoltà quotidiane. Perché avvenga la catastrofe è necessario però un deus ex machina, il suicidio del giovane Nikos, il figlio del muratore, che lavora nella casa. Ida, che ha ricevuto da lui la confidenza del dramma vissuto e lo ha compreso attraverso il comune dolore, dopo il funerale finalmente piange e la madre le tiene la mano “ come io non l’avevo saputo tenere a lei”; allora affiora pure il dialetto : scartafruscia, scafulìa e il senso dell’appartenenza dopo anni di un errare esistenziale, in cui “ avevo ripulito la memoria con accurata violenza”. Così Ida ritrova finalmente la sua casa “tra l’isola e la terra ferma” , o meglio trova una nuova Ida, che recupera il senso di sé, accettando la realtà e accettandosi. L’orologio, fermo all’ora in cui il padre si era svegliato per prepararsi a scomparire, si rimette in movimento e segna adesso un tempo reale. Un tempo ritrovato. La simbologia dell’opera è complessa : la casa che dà segni di cedimento, soprattutto nel tetto, i miti dello Stretto, l’acqua come elemento distruttivo, il tema del viaggio alla ricerca delle tracce del padre per ritrovare sé stessa, l’assenza paterna che determina isolamento e frustrazione, il cumulo di oggetti, che rappresentano non memoria, ma speranza. La narrazione in prima persona è intima e asciutta, prende inizio da Il nome (del padre) , mai pronunciato, ma sempre presente, continua con Il corpo (del padre) mai ritrovato e quindi non giustamente compianto, e La voce (del padre) custodita per più di un ventennio in un nastro, ma non riconosciuta da Ida . Allora Ida comprende che è possibile dire addio a persone e cose ed è anche possibile ridere.