COME SI VIAGGIAVA PER TERRA IN SICILIA NEL XVIII SECOLO

(Francesco Paolo Rivera *)

Si vo’ Junciri sanu, non ti scurdare lo patrinnostru a Sanciulianu”,  questo era il suggerimento che si dava ai viandanti, e San Giulianu l’Ospitaliero aveva il “compito” di proteggere i viaggiatori !  Ma occorreva che San Giuliano, venisse “avvertito” del viaggio … ed ecco il paternostro per San Giuliano:

“Sanciulianu, ‘ntra l’auti munti,

guarda li passi e poi li cunti

Tu chi guardasti l’acqua e la via,

guardami a mia e a la me cumpagnia.”

 

E se San Giuliano non era ritenuto sufficientemente efficace, si ricorreva alle immagini sacre, particolarmente preservatrici di San Francesco da Paola, che si portavano addosso, in genere sul petto, e che erano di varie dimensioni, elaborate da “Il Postiglione, che porta alla notizia de’ desiderosi del cielo l’avvisi inviati dal glorioso patriarca S. Francesco di Paola a’ suoi corrispondenti.” . Naturalmente, per chi volesse intraprendere un viaggio in Sicilia si consigliava di far prima testamento, e di confessarsi e comunicarsi, specie se si doveva “jiri d’un vallu a ‘n’autru” cioè se si doveva attraversare l’interno dell’Isola, per andare da un posto a un altro. Un cronista straniero notava che se il Re avesse voluto muoversi in carrozza non sarebbe potuto andare da Palermo oltre Monreale o Termini, perché solo quelle erano le vie carrozzabili, le altre erano trazzere (sentieri di fango in inverno e nuvole di polvere in estate). Se transitando su una di quelle trazzere si incontrava un corso d’acqua in piena, s’incorreva nel pericolo di annegare. I viaggiatori ritenevano prudente farsi accompagnare dai così detti “campieri”, che oltre ad avere funzione di scorta armata, servivano per rintracciare le piste da percorrere senza alcun pericolo. Molti viandanti parlavano della presenza di briganti e di malavitosi, che, lungo le trazzere, oltre a rapinare i viandanti, li uccidevano. Del problema del brigantaggio, però, esistono notizie contrastanti. Il cavalier De Mayer sosteneva che in Sicilia si viaggiava con sufficiente sicurezza e che le notizie circa l’attività di briganti erano prive di fondamento, mentre il dr. Hager sosteneva il contrario. Eppure erano entrambi austriaci e visitarono l’Isola nello stesso periodo anche se non assieme. Chi aveva ragione e chi torto ? Il barone Johann Hermann von Riedesel (1), di ritorno da Girgenti, scrisse (nel suo viaggio in Sicilia e in Grecia) “I siciliani non farebbero sei miglia di cammino senza averne uno (campiere) almeno … l’abitudine che hanno di viaggiare li rende così timidi che fa loro riguardare come indispensabile siffatta scorta.” Altri osservava che in Sicilia, durante i loro viaggi, “i signori sono circondati dai loro vassalli, armati da capo a piedi e con buone cavalcature. I borghesi hanno sempre qualcuno che li segue a piedi, e portano a cavallo il fucile di traverso; I forestieri son provvisti di cavalieri assoldati dal Governo.” C’è chi presume un’altra verità … razionalmente più accettabile: i campieri, che, sicuramente, erano persone (che definiremo generosamente) equivoche, mettevano in giro notizie, più o meno veritiere, al fine di far apparire l’esistenza e il pericolo dei briganti (magari con qualche “esibizione”) al fine di essere assoldati dai viaggiatori perché li accompagnassero per la protezione: era una maniera come un’altra per guadagnarsi da vivere !  Non era facile viaggiare, nel settecento, all’interno della Sicilia (la velocità di trasferimento era in media di quattro miglia all’ora). Da Messina a Catania, con la lettiga a dorso di muli, con brevi soste per far riposare i muli, alcuni viaggiatori, partiti alle tre del mattino di martedì erano arrivati alle otto di sera del venerdì successivo.  Escludendo coloro che viaggiavano a piedi o con mezzi propri, i mezzi di trasposto erano la lettiga (o “lettica”, come era denominata in quel tempo) e il mulo, e solo per determinati siti (ove esistevano parvenze di strade) il biroccio, la carrozza o il carretto. La lettiga (“lettica”) poteva essere padronale o da noleggio.  La lettiga padronale, in genere, era decorata, più o meno riccamente, secondo il gusto e il censo del proprietario (pitture, miniature,  imbottiture di velluto, di raso, di broccato). Se era costruita per il trasporto di due persone, la si denominava “vis a vis”: sospesa in alto, sorretta da due lunghi timoni appoggiati ai due muli (uno avanti e l’altro dietro) e che, a causa della sua elasticità, ballonsolava, lungo tutto il percorso, in continuazione (2), (3). La lettiga era accompagnata da due uomini uno, a piedi, a fianco dei viaggiatori, che guidava e aizzava gli animali e l’altro, a cavallo, dietro la lettiga, che con la loro presenza, incoraggiavano i passeggeri. Il Rezzonico (4) si meravigliava “come i muli riuscissero a inerpicarsi su viottoli ripidi e scoscesi, sulle creste di montagne, guadassero fiumi in piena, passassero su strettissimi sentieri impervi e fangosi o su terreni arsi dal sole … senza “ismucciare (sdrucciolare)”. La pratica degli animali e l’esperienza dei conduttori garantivano l’incolumità dei passeggeri. I muli portavano intorno alle testiere e alle selle, fila di campanelli, che col loro suono monotono, unito alla cantilena dei mulattieri, accresceva il disaggio del viaggio (5). Di tanto in tanto, lungo il percorso, a distanza di sei/otto miglia si era costretti a fermarsi da una catena di ferro che impediva il passaggio sul sentiero, imponendo il pagamento di un “diritto di barriera”: due grani per il passaggio di un animale da sella o da basto, uno per un asino, quattro per un carretto, quattro o sei per una lettiga se vuota o con passeggero, quattro o sei per un trasporto a due ruote e un cavallo o a due cavalli, otto se a quattro ruote, trenta per un carretto carico di pietre. Tale tributo imposto dal Comune che aveva giurisdizione sulla barriera, sarebbe dovuto essere a carico del conducente, in quanto il noleggio, per guida, muli e vitto (10 onze e 15 tarì, per un viaggio o 14 tarì al giorno per viaggi più lunghi) era omnicomprensivo; spesso però li doveva pagare il viaggiatore perché il noleggiatore (… furbo, con la scusa di non avere avuto conoscenza, in precedenza, … dell’obbligo del tributo) era privo di contanti e … non in grado di pagare !!! Il Vicerè Caracciolo, durante il periodo della sua viceregenza, abolì tale tributo “per far cessare il grave abuso di certi birboni di riscuotere dai viandanti, in alcune strade del Regno, una specie di taglia, sotto il pretesto di sicurezza di esse ! Il decreto assimilò, per la pena, l’abuso al furto di passo, cioè di campagna ! … altrimenti chissà dove si sarebbe arrivati …!”

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* Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib-4 – matr. 434120

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  • diplomatico e ministro tedesco (1740-1794) che fu più volte in Italia e che viaggiò anche in Sicilia nel 1766;
  • normalmente, i passeggeri, a causa di tale continuo movimento, davano di stomaco. L’abate, scienziato, economista e storico Paolo Balsamo (1764-1816), nel “Giornale di viaggio fatto in Sicilia” riferisce che alcune persone usavano la lettiga essendo “il miglior eccitante per il ventricolo …”;
  • si riportano due avvisi pubblicati nel Giornale di Commercio del 1794: “mercoledì 30 aprile parte per Sciacca una lettica vuota, e si ricercano passeggieri. E’ allogata nel fondaco di Mastro Antonio a Lattarini.”, “mercoledì o giovedì (28 e 29 maggio) partono per Troina due lettiche di Mariano Campanella vuote.”;
  • Carlo Castone della Torre di Rezzonico (Como 1748-Napoli 1798), letterato e poeta, nonché studioso di archeologia e di letteratura, che viaggiò in tutta Europa e anche in Sicilia (era amico di John Francis Edward Acton, l’uomo politico inglese che fu, anche, 1° Ministro del Regno di Napoli e che morì esule nel 1811 a Palermo, ove è sepolto nella Chiesa di S. Ninfa dei Crociferi in via Maqueda);
  • sempre il Rezzonico scoprì che le nenie di incitamento dei mulattieri si chiudevano sempre in versi endecasillabi.

 

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