E ANCHE LA PASTA …

(Pino Morcesi)

Se parliamo di pasta, pensiamo subito che sia un prodotto interamente nostro, soprattutto in questo momento in cui molti sono attenti alla rivendicazione  delle  cose nostrane.  Ma non è così . La nostra  pasta ha origini molto antiche e soltanto nel tempo ha assunto le forme che conosciamo ed è diventata la protagonista della nostra tavola e della dieta mediterranea. Perché questo accadesse è stato necessario l’apporto di civiltà diverse. Le sue origini remote sono  orientali come pensano alcuni o mediorientali come  dicono altri. Nell’antichità la  pasta non viene  essiccata, ed è cucinata insieme al condimento. In questa forma giunge sulle sponde del Mediterraneo. I Romani infornano una sorta di focaccia  sottile che chiamano laganum, simile al λάγανον dei Greci, che potrebbe essere l’antenata della nostra lasagna. L’uso della pasta secca si diffonde  intorno al IX-XI sec. d. C.  grazie agli arabi che l’hanno  appreso a loro volta  da altri popoli . L’itrya , questo è il suo nome, si diffonde in diverse zone della penisola. In alcune regioni italiane ancora oggi la tria è una  forma di pasta che si usa per ricette locali pugliesi e liguri. L’uso della pasta secca modifica il modo di cucinarla non più insieme ai condimenti, ma nell’acqua, nel brodo o nel latte. Nel “Libro per chi si diletta di girare il mondo”, dedicato nel 1154 a Ruggero II di Sicilia, il geografo arabo Al Idrisi scrive :” … A ponente di Termini vi è un abitato che si chiama Trabìa, incantevole soggiorno con acque perenni e parecchi mulini. Trabìa ha una pianura e vasti poderi, nei quali si fabbricano tanti vermicelli (itriyah) da approvvigionare, oltre ai paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani, dove se ne spediscono moltissimi carichi per nave. L’essiccazione avveniva esponendo l’ itriya  prima al sole e poi in luoghi riscaldati da bracieri. Risalgono al 1295 le notizie di vendita di una grande quantità di pasta secca per un banchetto alla regina Maria, madre del re Carlo D’Angiò. Altre fonti di mercanti genovesi e di Giovanni Boccaccio dimostrano che nel medioevo la pasta non mancava sulle tavole dei ricchi. Un ricettario trecentesco il “Liber de coquina” insegna a fare le lasagne e consiglia di mangiare la pasta con un attrezzo di legno appuntito punctorio ligneo(1). Col tempo le forme della pasta mutano e nel ‘400 appare la parola  spagho , che in seguito indicherà gli spaghetti. L’uso della pasta si diffonde tanto che in alcune zone interviene  il legislatore per garantire la panificazione in caso di carestia, vietandone la confezione. La diffusione di macchine per la fabbricazione della pasta ne estende il consumo tra il popolo e i maccheroni conditi con formaggio e pepe vengono cucinati anche agli angoli delle strade. Nell’Ottocento  si aggiunge la salsa di pomodoro. Ippolito  Cavalcanti duca di Buonvicino, nella  sua opera “Cucina teorico pratica” riporta  la ricetta dei Vermicelli al pomodoro:

Piglia rotoli 4 (700 gr ca.) de pommodoro, li tagli in croce, li levi la semenza e quella acquiccia, li fai bollire, e quando si sono squagliati li passi al setaccio, e quel sugo lo fai restringere sopra al fuoco, mettendoci un terzo di sugna, ossia strutto di maiale.Quando quella salsa si è stretta giusta bollirai 2 rotoli (350 gr ca.) di vermicelli verdi verdi (cotti al dente) e scolati bene, li metterai in quella salsa, col sale e il pepe, tenendoli al calore del fuoco, così s’asciuttano un poco. Ogni tanto gli darai rivoltata, e quando son ben conditi li servirai”.

  • De lasanis : ad lasanas, accipe pastam fermentatam et fac tortellumita tenuem sicut poteris. Deinde, divide  eum per partes quadratas ad quantitatem trium digitorum. Postea, habeas aquam bullientem salsatam, et pone ibi ad coquendum predictas lasanas. Et quando erunt fortiter decocte, accipe caseum grattatum. Et si volueris, potes simul ponere bonas species puluvrizatas, et pulveriza cum istis super cissorium. Postea, fac desuper unum lectum de lasanis et iterum pulveriza; et desuper, alium lectum, et pulveriza : et sic fac usque
    cissorium vel scutella sit plena. Postea, comede cum uno punctorio ligneo”

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