L’ALBATRO Romanzo di Simona Loiacono Ed.Neri Pozza-2019

(Gabriella Maggio)

L’Albatro è un romanzo complesso e raffinato come lo scrittore che ne è protagonista. Una scrittrice  siciliana che  come Simona Loiacono ha un  solido temperamento  narrativo, ben testimoniato dalle  opere precedenti, non può non essere attratta da Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo scrittore  per il suo articolato approccio alla storia siciliana ed alla letteratura europea,  per le  tormentate vicende editoriali e di critica della sua opera maggiore, dimidiata dal pur magnifico film di Luchino Visconti, invita  ancora alla lettura  per  la sua ricchezza umana e letteraria da  cogliere  dopo cinquant’anni per quella che effettivamente è stata senza pregiudizi o falansterii di opportunità ideologica. E Simona Loiacono non poteva non restarne colpita. L’Albatro  si  compone di due parti  una in forma di diario, che si immagina  scritta dallo stesso  Tomasi per consiglio della moglie Licy, e riguarda l’ultimo mese di vita dello scrittore, ricoverato a Villa Angela a Roma, e i  ricordi degli avvenimenti più importanti della sua vita adulta; l’altra è la ricostruzione del periodo più felice, l’infanzia.  Queste due parti, distinte dal carattere tipografico corsivo e tondo sono affrontate dall’autrice con finezza introspettiva e approfondita conoscenza dell’opera,  delle lettere e dei documenti dello scrittore. La ricostruzione della Loiacono, che intreccia abilmente fatti realmente accaduti a quelli  d’ invenzione, affianca  al piccolo e solitario  Giuseppe Tomasi, che comprende l’esaurirsi  del ruolo sociale e storico della famiglia a cui appartiene, Antonno, un bambino che era tutto al contrario…. ci siamo trovati così, l’uno di fronte all’altro, senza parole. Antonno mentre osserva ed interpreta il mondo che gli sta attorno intaglia con precisione  figure nel legno, ricordi per non farli fuggire. Il titolo l’Albatro è legato a una frase emblematica  di questo compagno d’infanzia : Principuzzu, io a vossia ci farò l’albatro…non la lascerò mai. Con tempu bonu o tempo tintu.  Antonno parla in dialetto, la lingua materna degli affetti, dell’intimità, della confidenza. La lingua dell’anima siciliana dello scrittore.  Di Antonno e del suo riaffiorare alla mente nel momento della malattia Lampedusa tace con tutti  : “Non ne parlo con nessuno. Men che meno con mia moglie Licy che è una psicologa attentissima, allieva di Freud”. Indicativa del racconto è anche l’intrigante immagine di copertina. Ritrae una porta socchiusa dalla quale fa capolino una piccola figura umana che guarda  protetta dall’ombra. Per un verso è il punto di osservazione  discreto che la scrittrice assume nei confronti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa,  per l’altro è il modo di osservare la scena del mondo  dello scrittore stesso con attenzione, ma senza farsi notare. Come quando da bambino nel teatro della villa di S. Margherita Belice ha assistito alla rappresentazione dell’Amleto e  “la vicenda mi catturò con dolore”. Il racconto dell’Albatro  scorre leggero, fondendo in unità  le due parti, diaristica e narrativa, e presentando al lettore un rinnovato ritratto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

 

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