CAMMARARISI ovvero LA BOLLA DELLA CROCIATA
(Francesco Paolo Rivera *)
Il titolo corretto, per questo breve articolo, è sicuramente il primo, infatti di “crociata” ce ne è ben poco! Il termine dialettale “cammararisi” significa “mangiare di grasso” e non si poteva, a Palermo, nel settecento, mangiare di grasso quando se ne aveva voglia … mangiare di grasso era considerato trasgressione di un precetto ecclesiastico e quindi soggetto alle pene corporali dalle autorità civili ed ecclesiastiche. “Colui che ha mangiato di grasso, per motivi di salute, nel tempo in cui non sarebbe lecito” è definito, nel “Nuovo Dizionario Siciliano di Vincenzo Mortillaro” 3^ Edizione 1881 – ed. Arnoldo Forni”, col vocabolo “cammaratu”. Nell’anno 1556 i Sovrani di Sicilia ottennero dai pontefici il privilegio di vendere e distribuire le bolle di Pio IV (1499-1565, al secolo Giovanni Angelo Medici di Marignano) in occasione della guerra contro i Mori. Tali Bolle davano licenza all’uso delle carni, delle uova, dei caci, del latte, e dei cibi di “grasso” alla popolazione, nei giorni in cui ci si sarebbe dovuto nutrire, esclusivamente, di cibi di “magro”. A titolo di ringraziamento, per la concessione di tale privilegio, Filippo II° di Asburgo, Re di Spagna (1) assegnò alla Fabbrica di S. Pietro in Roma un annuo vitalizio dell’importo di 1666 scudi romani. Sulla fine del XVIII secolo, però, tale vitalizio venne introitato direttamente dal Re Ferdinando di Borbone (2). Con un dispaccio del Vicerè m.se Caracciolo del 15 febbraio 1783 venne abolito l’intervento del Senato alla solenne proclamazione della Bolla, e l’anno successivo un altro dispaccio aboliva il precedente … di modo che con tale sistema, accrescendosi la importanza della Festa della Bolla, essendo stato eliminato l’intervento del Senato, aumentava – a beneficio del Re – l’ammontare delle entrate. Nelle domeniche precedenti la Pasqua, in cui si iniziava la astinenza dai cibi grassi nei giorni feriali (3), per chi volesse per problemi di salute mangiar di grasso doveva fare richiesta di pubblicazione di un indulto pontificio che concedeva benefici religiosi di grande importanza, ma apportava per il beneficiato l’obbligo di esborso di 52 grani e l’obbligo di visitare, in determinati giorni e per un determinato numero di volte alcune chiese designate. La cerimonia, molto seguita dal popolo che affollava l’ingresso dell’Arcivescovado, veniva preceduta da un prete che portava il gonfalone della SS. Crociata, affiancato dal Tesoriere che reggeva in mano una bara, preceduti da dodici chierici vestiti con cotta rossa (iaconi russuliddi). Il Cerimoniere del Senato (che aveva competenza di dirigere qualsiasi manifestazione), dopo il rullo dei tamburi e lo squillo delle trombe, dava lettura del bando “Il Sommo Pontefice si è degnato di concedere l’uso dei latticini e delle carni nella prossima Quaresima.” Dopo tale lettura, tutto il corteo, a cavallo, si trasferiva prima al Palazzo Vicereale, poi al Palazzo Pretorio, ove si procedeva a nuova lettura del bando, quindi il corteo proseguiva per il Palazzo del Tesoriere della Crociata e in ultimo fino alla Cattedrale. La Bolla veniva stampata e condotta, con grande solennità in giro per il Cassaro, seguita dalle carrozze dei Senatori, e dagli Ufficiali nobili fino alla Chiesa di S. Francesco d’Assisi. Qui giunti, venivano ricevuti sulla porta da quattro canonici, il Cerimoniere portava l’acqua santa, quindi seguivano lo stendardo col Crocefisso, gli Orfani dispersi, gli Orfani di San Rocco, i frati Conventuali, i Chierici del Seminario, i vivandieri, gli iaconi russuliddi, i paggi, il Ciantro (cantore), l’Assessore e il Maestro Notaro della Crociata, chiudevano il corteo i mazzieri, il Maestro delle Cerimonie, i Senatori, gli Ufficiali Nobili e Civili e tutti gli altri. Tutti si sistemavano in chiesa, nei posti a loro destinati, e dopo i convenevoli di rito, e la sistemazione della Bolla appesa avanti al Crocefisso, si celebrava una grande messa, inframezata da un sermone, che celebrava i benefici provenienti dall’indulto concesso, la cui preparazione e lettura erano molto ambiti da parecchi predicatori (4). Le spese di queste manifestazioni, contrariamente alle norme abitudinarie secondo le quali pagava tutto e sempre il Senato, secondo il vecchio principio non codificato … “Cappiddazzu paga tutti” erano interamente a carico dell’Amministrazione della Crociata, la quale retribuiva il panegirista con quattro onze in argento, una risma di carta bianca, un mazzo di penne d’oca e cinque copie della Bolla. E’ opportuno ricordare che per le processioni senatorie, per quelle delle chiese secolari e regolari, che dovevano essere a carico della Pubblica amministrazione (era una offesa alle tradizioni religiose della Città, non concorrervi economicamente), la sola cera impiegata ammontava a circa 18 quintali (la quale al prezzo di 8 tarì, gr. 12 il rotolo, raggiungeva la cifra di circa 1.203 onze) e che con la riforma governativa del 1788 il quintale e mezzo di cera era ritenuto spesa obbligatoria. La Bolla, subito dopo la funzione di cui sopra, veniva messa in vendita ed era da questa operazione che si conseguivano notevoli guadagni. Sorge, nel lettore, naturale il dubbio: il desiderio di mangiare di grasso veniva soltanto a coloro che ne avevano esigenza per motivi di salute o stuzzicava anche l’appetito di qualche altro cittadino ? Vale la pena dare una occhiata a un documento … che ci si limita a definire “strano”. Il 6 febbraio 1700 il personale dell’Ospedale celtico (5) di San Bartolomeo (poi Istituto dei Trovatelli), al quale si unirono anche quelli di altri ospedali, fece istanza al Cardinale Arcivescovo di Napoli (6) (delegato della Santa Sede) perché consentisse, mediante l’acquisto della Bolla, l’uso delle carni e dei grassi durante la Quaresima e per altro giorno proibito (7). Non era mai successo … stranamente Sua Eminenza concesse la grazia, … pensate … si trattava di una concessione in perpetuo a favore di tutte le famiglie dei sanitari, degli ecclesiastici, degli inservienti, dei loro commensali …!, secondo gli storici e i critici di questi avvenimenti, … il Re, sicuramente non ne ebbe alcuna conoscenza, altrimenti … infatti la concessione ledeva i suoi interessi!
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(1) figlio di Carlo V° e di Elisabetta di Portogallo (1527-1598), denominato anche Filippo il Prudente, mirò ad affermare il predominio degli Asburgo e della Chiesa in Europa; sposò ben quattro volte, tentò di unire alla corona spagnola quella inglese, prima mediante il matrimonio con Maria Tudor (2^ moglie) e, dopo la morte di quest’ultima, tentò di portare all’altare l’Anglicana Elisabetta, ma non riuscendo (perché Elisabetta, da anglicana, perseguitava i cattolici e mirava alla supremazia sui mari della flotta inglese), tentò con la guerra, ma anche in questo caso non riuscì nell’intento, in quanto, nelle acque della Manica, la “Invincibile Armada” spagnola fu annientata dalla flotta inglese;
(2) in merito all’ammontare di tale privilegio, diverse le versioni dei cronisti: nel 1794 il conte Giuseppe Gorani – avventuriero, scrittore e diplomatico italiano naturalizzato francese, al servizio di Maria Teresa d’Austria, del P.pe del Liechtenstein e del governo rivoluzionario francese – scriveva che la Sicilia versava 41mila ducati all’anno per detto tributo: nel 1813 l’Ortolani affermava che l’importo del tributo era di 45mila onze pari a 135mila ducati … ma i cronisti hanno ritenuto che l’Ortolani si riferisse all’ammontare del tributo per tutta la Sicilia e non per la sola città di Palermo. Vale la pena di soffermarsi su questo ultimo dato: 45mila onze, equivalevano a 500mila Bolle …, quindi in Sicilia (che contava circa 2milioni di abitanti) 500mila siciliani (cioè un quarto di tutta la popolazione) chiedevano la licenza di “cammaràrisi” … cioè cercavano di mettersi in regola con la chiesa, con la propria coscienza e con il proprio stomaco … forse anche per paura di essere scoperti a trasgredire un precetto della chiesa … nessun credente, nessun suddito fedele del Re si sarebbe sognato di trasgredire al dovere religioso …!
(3) nel calendario liturgico vennero inserite le domeniche di preparazione alla Quaresima: quella di settuagesima (70 giorni prima di Pasqua tra il 18 gennaio e il 22 febbraio); quella di sessagesima (60 giorni prima di Pasqua tra il 25 gennaio e il 28 febbraio), quella di quinquagesima (50 giorni prima di Pasqua tra l1 febbraio e il 7 marzo);
(4) si racconta che, una volta, il panegirista (l’oratore) designato non si fosse presentato in chiesa (non se ne conosce il motivo) e venne sostituito da un sacerdote (che offrì la sua disponibilità). Il sacerdote, salito sul pergamo, pronunciò la seguente orazione: “Sua Santità, inesauribile nelle sue grazie, ne ha concesso una, cristiani dilettissimi, che non ha l’eguale nel mondo universo: ha accordato la Bolla, per poter ogni fedele cammararisi, e con questo ha pure mandato l’indulgenza plenaria. Così Egli ha aperto, ma che dico io, aperto? … spalancato … il tesoro delle celesti grazie. Per questo tesoro non v’è prezzo. Eppure se sapeste, uditori umanissimi, quanto poco si paga una parte di questo tesoro, la Bolla della SS. Crociata!
Ditelo Voi ! Forse cent’onze? No, figli miei, non si permette cotanto dispendio. Forse cinquanta ? … Neanche. Lo pagherete venti, dieci onze ? Neanche questo. Potreste allora pagarlo cinque; ma la inesauribile carità del Padre dei fedeli non può consentire a tanta spesa. Allora né cento, né cinquanta, né venti, né dieci, né cinque, si potrà pagare un onza. Ohibò, neanche la metà, fratelli dilettissimi, neanche un quarto d’onza! Sbalordite, tanto tesoro, che vi consente di mangiar carne e latticini durante la prossima Quaresima, tanto tesoro si paga solo cinquantadue grani …!”
Se vuoi placar di Dio la maestate offesa,
Sta con silenzio e riverenza in Chiesa.
Pare che tutti, dall’arcivescovo Mons. Sanseverino al Pretore duca di Cannizzaro, e i Senatori non poterono fare a meno di prenderla a ridere …: e le quattro onze in argento, la risma di carta, le penne d’oca e le cinque Bolle furono mandate a casa dell’arguto oratore …: se le era meritate!
(5) il termine “celtico” (proveniente dalle popolazioni celtiche che vivevano nel territorio ove attualmente è la Francia) riguardava le malattie “veneree”, così denominate perché si riteneva che provenissero dalla Francia;
(6) al secolo Giacomo Cantelmo o Cantelmi;
(7) questo è il testo del documento: “L’Ospedaleri, li Professori maggiori fisici e chirurgi. li Pratici fisici e chirurgi, l’Infermieri e Cappellani, li Rigordanti, l’Aromatari, li Maggiordomi, li giovani di assento, li cuochi, li massari, li serventi dell’uno e dell’altro sesso, li lavandare, li PP. Cappuccini e tutte le persone addette al servigio, dell’Ospedale di S. Bartolomeo, l’Incurabili e dell’Ospedale dello Spirito Santo con i suoi annessi e dipendenti ospedaletti della Città di Palermo in Sicilia, umiliano alla E.V. che havendo supplicato al di loro Arcivescovo di accordargli in perpetuum la grazia di poter mangiare carne in tutti i giorni proibiti dell’anno, come sono Venerdì, Sabato, vigilie, quattro tempi e quaresima, per essere li viveri di mezzo scarsissimi, per le laboriose fatighe che sono nelli detti ospedali col prossimo pericolo di perdere la vita, per altro non spirano se non aere mercuriale, risposegli non aver tale facoltà. Supplicano pertanto V.E. affinchè quale special delegato di SS. Pio VI gli facesse la grazia accordargli in perpetuum la dispenza suddetta, di poter mangiare carne con le loro famiglie e rispettive commensali in tutti i giorni proibiti di sopra descritti coll’obbligo espresso però di doversi provvedere ogn’un di essi della Bolla della SS. Crociata. Lo supplicano …”.