RICORDO DI FRANCO ZEFFIRELLI
(Gaetano Albergamo)
E’ noto che per ogni mitico personaggio dell’Arte e dello Spettacolo,conclusosi il suo ciclo vitale, si avvia il naturale processo di storicizzazione. Enrico Caruso, Arturo Toscanini, Eduardo De Filippo, Federico Fellini, Anna Magnani, Luchino Visconti, per citarne alcuni, indubbiamente sono entrati nella storia di tutti i tempi. Aggiungiamo oggi, colti da tristezza, il nostro “Maestro” come volentieri amava farsi chiamare Franco Zeffirelli. Sceneggiatore, attore, regista leggendario ironico, polemico e passionale tra i più creativi e prolifici del ventesimo secolo dalla lunga carriera non certamente facile; osteggiato da correnti politiche in contrasto per quel suo atteggiamento da bastian contrario, per un gusto anticonformista, polemico, feroce nei giudizi. “Un bravo ragazzo con la fortuna di avere molti talenti e solo idee geniali”. Così si era descritto qualche anno fa. Si considerava fortunato perché dotato di una doppia anima, quella artistica e quella cattolica, che in Luchino Visconti e in Giorgio Li Pira aveva trovato due padri adottivi da cui attingere linfa vitale per poter sviluppare e coltivare quanto in suo possesso. Si ritenne a lungo uno straniero in Italia e come i nostri figli migliori trovò nel mondo grande consenso e pieno plauso (al Metropolitan di New York si contano più di ottocento suoi spettacoli rappresentati). A risanare l’antica ferita, giusto in tempo, però lo scorso 6 aprile giunse il conferimento, nell’aula del Senato, del “Riconoscimento alla carriera”: “Per aver saputo trasporre sui palcoscenici più importanti del mondo e sul grande schermo le atmosfere, lo spirito e le emozioni del teatro e dell’opera lirica”.
In un momento in cui sembra prevalere un certo sconvolgimento nella rilettura dell’opera d’arte, il Maestro ci lascia una grande eredità per aver saputo trovare, più di ogni altro, l’esatta adesione al testo, all’autore e soprattutto allo spirito del tempo dell’autore con particolare attenzione alla psicologia dei personaggi. E lo fa ancora una volta con l’ultimo suo lavoro, il 21 giugno, la nuova Traviata che ha aperto il Festival lirico all’Arena di Verona, un sogno coltivato per oltre dieci anni. Un’operazione testamento per questa e le future generazioni di registi così presi spesso da certe balzane idee nell’accostarsi e proporre l’opera. L’Italia perde con lui una delle voci più rappresentative ed autorevoli a cavallo di due secoli. Così ci piace ricordarlo come un grande italiano, un fiorentino d’oc, un esempio straordinario di impegno civile, artistico, politico ed umano.