PAGLIACCI
(Salvatore Aiello)
(ph.Rosellina Garbo)
A conclusione della prima parte della Stagione 2019 del Massimo di Palermo è andato in scena il capolavoro manifesto del verismo italiano: Pagliacci di Ruggero Leoncavallo che con Cavalleria rusticana costituisce il notissimo dittico amato dai melomani; questa volta Pagliacci da solo con il ritorno, dopo il 2007, della regia di Lorenzo Mariani, ex direttore artistico della Fondazione. L’opera, ispirata da un fatto autenticamente accaduto, porta all’attenzione la nuda sofferenza della plebe con tutta una ritualità arcaica che la tiene fissa ab aeterno nella sua concezione senza la possibilità di mutamenti sociali. Sint lacrimae rerum per cui vano è il ribellarsi e i sentimenti si tramutano in grido allucinante cui partecipa la coralità dei vinti. Ad attenderci sul palcoscenico c’era una grande cavea di un circo equestre ad intelaiare la tragica storia di Canio e Nedda, un amore malato, un femminicidio ispirato dal gobbo Tonio (Jago della situazione). Sugli spalti della gradinata nei momenti più tragici si accampavano attonite figure, presenze incombenti, testimoni muti che assistevano alla consumata esistenza dei personaggi inchiodati da un fato imperscrutabile che trovavano nella morte la soluzione alla loro solitudine. In questo senso si è mosso Lorenzo Mariani la cui regia risultava lodevole per il rispetto del soggetto e della musica e che si giovava dei colorati costumi di Maurizio Balò e delle appropriate luci di Roberto Venturi affidando ad un cielo intenso e attonito testimone del delitto.
(Martin Muehle e Valeria Sepe. Ph. R.Garbo)
La vicenda aggiornata agli anni sessanta del secolo scorso trovava giusto respiro con belle invenzioni, vivacizzate dall’apporto di saltimbanchi, giocolieri, ballerine che ci sarebbero piaciuti di più senza il passo del twist. Alla piacevolezza dello spettacolo contribuiva il cast nel complesso di prim’ordine. Martin Muehle ha dato di Canio un’interpretazione intensa per espressività, accurata partecipazione mettendo a disposizione tutte le risorse di tenore lirico sapendo regalare momenti di sentita drammaticità; sconvolgenti il suo “Vesti la giubba” e “ No, pagliaccio non son” doloroso finale resi con focosi accenti e delirante pienezza vocale. Al pari il Tonio, da antologia, di Amartuvshin Enkhbat viscido, diabolico in possesso di una vocalità prodigiosa e ricca di armonici, di bel colore e cospicuo volume a servizio di un accorto gioco psicologico. Valeria Sepe (Nedda) ha affrontato il personaggio con buone risorse tecniche ed interpretative oltre ad un appropriata tenuta scenica. Elia Fabbian era Silvio. In evidenza il Beppe di Matteo Mezzaro. Completavano il cast Francesco Polizzi e Paolo Cutolo ( Contadini).
(Amartuvshin Enkhbat. Ph. R.Garbo)
Daniel Oren dopo la breve commemorazione di Franco Zeffirelli a cui è stata dedicata la rappresentazione, ha guidato l’orchestra con scioltezza e dinamiche strumentali pronte a cogliere i momenti e gli appuntamenti più attesi della partitura concedendo spazi lirici calibrati e lanciandosi in spessori turgidi nei momenti più drammatici con continuo dialogo tra orchestra e palcoscenico; in rilievo l’Intermezzo che ha riscosso il plauso di un pubblico soggiogato dalla bellezza della musica. Valido l’apporto del coro diretto da Piero Monti e il coro di voci bianche diretto da Salvatore Punturo.
( Il direttore d’orchestra Daniel Oren. Ph . R. Garbo)
Caloroso e convinto il consenso del numeroso pubblico.