UNA FOTO DI TROPPO – Racconto
(Andrea di Napoli)
( ph. di Nicola Scafidi)
I pomeriggi estivi sono lunghi e luminosi e perfino gli ultimi istanti prima del tramonto possono essere sfruttati per fare delle suggestive fotografie dall’atmosfera incantata, tipica di quella che giustamente è stata definita “l’ora d’oro”. Un giovane fotoamatore siciliano aveva fatto proprio queste semplici valutazioni relative alla luce, mentre con attenzione caricava il rullino da 36 pose nel suo nuovo apparecchio fotografico. Qualche giorno prima, infatti, Fabrizio aveva comprato una Kodak, la Retina III, per sostituire la rudimentale biottica 6×6, una scadente imitazione della prestigiosa Rolleiflex, alla quale doveva sostituire la pellicola ogni 12 scatti. Nonostante la macchina “appesa” al collo gli pesasse un po’, il “photoreporter” si muoveva con disinvoltura per non essere scambiato per un turista di passaggio. La solitaria escursione fotografica sembrava essere stata proficua. In poco meno di due ore aveva realizzato una serie di fotografie dei monumentali edifici che sorgono nel Centro Storico di Palermo, qualche veduta della pittoresca Passeggiata a Mare ed alcune istantanee degli indolenti cani randagi incontrati alla Cala. Impaziente di vedere il risultato dei suoi “scatti”, il giovane prese la via del ritorno. Avrebbe consegnato il rullino ad un amico che si sarebbe occupato personalmente dello sviluppo e della stampa. Ma a quel punto Fabrizio si accorse che “in macchina” restavano ancora due o tre fotografie da scattare e si guardò attorno alla ricerca dei soggetti adeguati. L’ingresso della stradina laterale era stretto e il tronco di un albero in parte gli copriva la visuale, ma quello che il fotografo aveva involontariamente scorto per terra era il corpo di un uomo sanguinante. In piedi, poco distante dal cadavere, stavano altri due individui. Uno spavaldo e sicuro di sé, l’altro circospetto, ma pacifico. La paura assalì Fabrizio che non riusciva a credere che una di quelle spietate faide di cui parlavano i giornalisti più coraggiosi fosse accaduta quasi sotto i suoi occhi. Doveva andare a chiamare qualcuno, ma anche soltanto pochi minuti dopo non avrebbero trovato più nessuna traccia dell’accaduto. Doveva, allora, documentare quello che aveva visto con una fotografia. Sapeva di rischiare la vita, ma non sarebbe stato il primo e neanche l’ultimo a sacrificarsi per il proprio impegno civile.Stava sudando abbondantemente, ma non dipendeva dalla stagione. Il fotografo portò lentamente avanti la pellicola su una delle pose ancora da impressionare e intanto pensava al temerario Robert Capa, un “collega” finito su una mina per documentare gli orrori e l’inutilità della guerra. Fabrizio era consapevole che in queste situazioni anche un modesto fotoamatore doveva svolgere il ruolo di comunicatore e riportare più informazioni possibili. Per individuare il luogo e l’epoca i manifesti e le locandine sembravano affissi appositamente, ma per inquadrare bene tutto avrebbe dovuto spostarsi e rischiare di essere visto. Nel preciso momento dello scatto “il pacifico” si accorse di Fabrizio ed agitando la mano lo avvertì, col solo linguaggio labiale «Non puoi stare qua!» Ma ormai il “clic” era avvenuto ed il rumore meccanico dell’otturatore della “fotocamera nuova” era riecheggiato in quel fatiscente cortile per un interminabile sessantesimo di secondo. Girandosi Fabrizio si accorse che alle sue spalle c’erano altri “picciotti” ed erano tutti armati …
«Stop! S T O O O P ! !»
Gridò al megafono il regista del film, una produzione americana dal titolo “Una famiglia per il primo Padrino”. In quel momento tutti si fermarono immediatamente, tranne il “cadavere” che si rialzò stiracchiandosi e borbottò: «Ci mancava solo il fotografo sul set … Maledetto fotografo ! »