LA MADONNA NERA DI TINDARI
(Carla Amirante)
Percorrendo l’autostrada che va da Palermo a Messina, quasi a metà strada tra le due città, si giunge a Tindari, una frazione del comune di Patti. Questa piccola località ha un’ origine molto antica, una storia interessante, delle bellezze naturali incantevoli, ma è conosciuta soprattutto perché qui, sopra un promontorio a picco sul mare, sorge un grande santuario dedicato alla Madre di Dio. Nella chiesa è custodita una preziosa statua lignea di Maria che porta in braccio Gesù bambino: la statua è famosa in tutto il mondo come “La Madonna nera di Tindari”. Molto particolare, la scultura raffigura la Madre di Dio con il volto bruno, seduta in trono e il Figlio divino nell’atto di benedire con la mano destra: proprio per la particolarità di quel volto scuro gli studiosi di arte cristiana hanno ipotizzato una origine mediorientale del manufatto, confermata anche dalla tradizione orale presente nel luogo. Infatti una pia leggenda, molto nota, racconta che, tra l’ottavo ed il nono secolo, una nave proveniente da oriente, a causa di una tempesta scoppiata nel mare, fu costretta a rifugiarsi nella baia di Tindari. Finita la tempesta, la nave doveva riprendere il viaggio ma non riusciva a salpare, allora i suoi marinai furono costretti ad alleggerire il carico e riuscirono a partire solo quando venne deposta a terra anche una grande cassa. Una volta aperta la cassa, vi fu trovata la statua della Madonna con il Figlio nel grembo; il simulacro fu portato nel posto più bello dei dintorni, in cima a un promontorio dove viveva una fiorente comunità cristiana.
La statua, per stile e caratteristiche, probabilmente fu realizzata tra il V ed il VI secolo in un’epoca posteriore al Concilio di Efeso quando fu affermata la divina maternità di Maria. L’opera è di un anonimo scultore bizantino perché sul capo porta una corona decorata con disegni arabeschi, simile ai turbanti orientali. Forse il simulacro fu portato via dall’Oriente in Occidente per salvarlo dalle persecuzioni iconoclaste, e, per volere divino, trovò la sua giusta collocazione a Tindari, in Sicilia, dove molti monaci basiliani erano presenti. Infatti tra i secoli VIII e IX la Chiesa orientale fu travagliata dalla presenza di una feroce iconoclastia, scatenatasi sotto l’influsso delle influenze islamiche e della setta dei pauliciani, fondata nel VII da Costantino di Manamali, un paese vicino Samosata. La guerra contro le immagini sacre fu molto violenta e voleva che le immagini sacre fossero tutte distrutte perché oggetto di un culto idolatrico da parte dei fedeli che attribuivano ad esse poteri speciali. Nel 1751 l’abate Spitalieri, parlando della statua, accennò ad un sua venuta portentosa e, invece nel 1949 il vescovo Ficarra, umanista e storico, sostenne che “la venerata icona, “assai antica e di stile bizantino”, fosse giunta dall’Oriente o in epoca iconoclasta o meglio ancora “durante il periodo delle crociate, quando le galee delle Repubbliche Marinare veleggiavano di continuo verso il mondo orientale e il rito greco fiorì a lungo nella nostra Sicilia”. Di recente, nel 1995, furono iniziati i lavori di restauro sulla statua della Madonna che hanno portato a queste conclusioni. I restauri effettuati da falegnami e pittori sono stati nel tempo tanti e spesso errati, con continue sovrapposizioni di legni, tavole, chiodi, cunei, stucchi, tele di sacco e vernici con diversi strati di colore. Gli occhi, una volta ripuliti dalle incrostazioni, mostrano una forma mediorientale di tipo siriano o palestinese, delineati dal segno di matrice araba che ricorda il kajal, usato come cosmetico dalle donne egizie ed assire. La forma del copricapo in legno ricorda la tradizione ellenistica; sotto la camicia di Maria, un’aggiunta tardiva, c’è una tavola a finte pieghe colorata in azzurro-lapislazzuli secondo il gusto trecentesco. Il manto, scolpito secondo la tradizione latina, è dipinto in rosso con decorazione a stelle d’oro secondo l’uso medievale, invece l’abito del bambino presenta una modellazione bizantina e tipicizzata alla greca con i colori rosa e rosso. La mano destra della Madonna, che stringe un giglio, è stata modificata nel ‘600 e nel ‘800, mentre la mano sinistra, parzialmente nascosta, conserva la struttura romanica. La testa e le mani del bambino sono originali anche se ingrandite per le aggiunte di vernici e stucchi. Nonostante questi cambiamenti e le condizioni precarie della statua, per la Madonna si possono sempre usare le parole tratte dal Cantico dei Cantici, poi riprese dalla Chiesa, “Nigra sum sed formosa”.