UN CALICE CON GLI ANTICHI
(Irina Tuzzolino)
Dal greco kylix tazza da vino rotonda con piede basso e piccole anse, usata nei conviti, attraverso il latino calix giunge il nostro calice e la comune metonimia bere un calice. Presso i Greci il simposio, bere insieme, è arricchito dalla conversazione con gli amici e contribuisce a vivere bene, unendo l’aspetto civile e sociale a quello culturale. Il simposio è il luogo in cui si rinsaldano i vincoli esistenti e si sanciscono nuove intese. Il vino non era bevuto liberamente secondo il desiderio di ciascuno, ma nelle norme dettate dal simposiarca o dal re del convito. Di solito si beveva vino diluito con acqua per temperarne la densità ed acidità. Acqua e vino si mescolavano nel cratere dal greco κεράννυμι (mescolare). Testimonianze ce ne dà l’archeologia e la letteratura nell’epica nella commedia e nella lirica simposiale.
Nel IX libro dell’ Odissea (vv. 5-10) si legge:
“E io dico che non esiste momento più amabile
di quando … i convitati in palazzo
stanno a sentire il cantore,
……..e vino al cratere attingendo,
il coppiere lo porta e lo versa nei calici:
questa in cuore mi sembra la cosa più bella “.
A Roma il convito ed il simposio non erano considerati momenti diversi come in Grecia nè vi si manifestava in modo evidente la valenza religiosa e socio-politica, conservava però l’esaltazione del vino e la conversazione. Un tratto differente è rappresentato dalla presenza femminile: le donne infatti erano presenti al banchetto in condizioni di parità. Catullo nel c.XXVII Minister vetuli puer Falerni, dà un breve, affascinante esempio di carme simposiale. Il riferimento a una Postumia o alla legge Postumia, gli studiosi sono divisi sull’argomento, permette di focalizzare la cifra scherzosamente giuridico-sacrale su cui gioca il poeta. Mentre Marziale desidera un convito moderato nell’epigramma XLVII :
“Convictus facilis, sine arte mensa;
nox non ebria, sed soluta curis.”
“Una mensa senza raffinatezze in compagnia cordiale;
notti senza ubriachezza ma libere d’affanno.”