LUTTI
(Francesco Paolo Rivera *)
Nel casato dei Borbone di Napoli, imparentato con la Casa reale di Spagna, con quella d’Austria-Ungheria, con quelle di Toscana, di Portogallo e con quasi tutte le altre case regnanti d’Europa, così come vi erano spesso occasioni liete, che venivano festeggiate (nascite di figli, matrimoni, genetliaci) con suoni di campane, Te Deum nelle Cattedrali, salve di cannoni, parate militari e grandi feste nelle famiglie nobili, accadevano anche occasioni luttuose. Ecco gli esempi della partecipazioni che, nel settecento, venivano inviate a Palermo, in occasione di tali avvenimenti luttuosi, dal Capitano Giustiziere ai cavalieri e dalla Capitanessa alle dame:
“La Marchesa di S. Croce Capitanessa
nell’atto di riverirla, le fa sapere di essere arrivata a S.E., con dispaccio reale in data de’ 24 dello scaduto febbrajo (1781) la morte seguita della Reggina vedova di Portogallo
ed avere la Reggina nostra signora preso il lutto per mesi quattro due stretti e due più larghi, che corsero dalli 18 dello stesso Febbrajo; perciò S.E. Signor Presidente del Regno
ha determinato che lo stesso si prattichi in questa Capitale per tutte le Signore Dame, e con pieno ossequio le si rassegna”
Se il defunto era un membro della famiglia reale, i nobili e i civili dovevano indossare il lutto (gli indumenti dovevano essere di color bruno, la parrucca non incipriata e le dentelles (1) abolite.)
Questa la partecipazione inviata in occasione del decesso (8 febbraio 1783) dell’Imperatrice Maria Teresa mamma della Regina:
“Il Marchese di S. Croce Capitano Giustiziere
nell’atto di riverirla distintamente le fa sapere, che dovendosi celebrare nel Duomo per nove giorni continui, l’Essequie e Funerale per la morte
dell’Imperatrice Regina Madre della Regina N. S.
cominciando dal giorno 16 del corrente per tutti li 24 dello stesso; perciò S.E. Sig. Presidente del Regno, il primo ed ultimo giorno, due ore prima al mezzogiorno abbasserà al Duomo, ove terrà la Real Cappella, e in detti nove giorni vestirsi in lutto rigoroso senza polvere e manichetti (2) e con pieno ossequio si resta.”
Analoga circolare venne inviata dalla Capitanessa alle signore. E tutti diligentemente parteciparono al lutto. Oltre ai lutti dei membri della Famiglia regnante si partecipava anche ai lutti di famiglie aristocratiche siciliane, (talvolta di alcune famiglie nobili di cui nessuno aveva mai sentito nominare perché non partecipavano alla vita di società della capitale) che venivano comunicati attraverso il Notiziario di Corte, e – una volta che un nobile dimenticò di osservare il lutto o pensò che egli non era tenuto a parteciparvi – fu inviato per un mese al Castello (in carcere) per ordine del Vicerè. Certo, tale cerimoniale, non risultava molto gradito, infatti, spesso, anche se con gli abiti scuri e tutti i segni esteriori del lutto, si andava a teatro o a passeggio alla Marina e poi in Chiesa. Ma il Vicerè, sempre attento alla vita di relazione della Città, tramite la consorte del Capitano Giustiziere, face inviare la seguente reprimenda:
“La Marchesa di S. Croce,
divotamente riverendola, le partecipa che intesa S.E. Sig. Vicerè, che alcune Dame nella occorrenza delle feste reali, come di parto della Regina, ed altre non lasciano di comparire vestite a lutto nei luoghi pubblici, e nei teatri
s’è servita con biglietto delli 7 corrente incaricarla di far avvertire le Signore Dame, che sotto pena della Reale Indignazione, non si facciano vedere vestite a lutto nei pubblici luoghi e teatri in simili occasioni, e volendo in essi comparire, lasciar dovessero il lutto;
e perciò in adempimento di tal comando, glie ne passa il presente Avviso della dovuta esecuzione e regolamento e con dovuto ossequio se le rassegna.”
Pare che la “Reale Indignazione” non fosse stata tenuta, specie tra i nobili, in grande conto.
Fin dal 1737 il Governo si interessava delle manifestazioni conseguenti al lutto, dell’abbigliamento e delle cerimonie relative. Al di là degli eventi luttuosi che colpivano la famiglia reale, quella vicereale e quelle delle famiglie dei membri di coloro che ricoprivano cariche di governo, per le quali si svolgevano determinate manifestazioni che venivano regolamentate di volta in volta, differenti erano le costumanze che venivano praticate dai due ceti, la nobiltà e la gente comune: per i primi, il lutto doveva attestare la gravità della perdita, sia per la famiglia che per la società. Lo splendore che aveva accompagnato la vita del defunto doveva essere celebrato nei funerali, che si svolgevano con grande fasto. Inoltre, era abitudine far dipingere porte e usci delle case ove aveva abitato il defunto, di nero, le tende e i drappi erano rigorosamente di colore nero, spesso si provvedeva a capovolgere le seggiole e i tavoli, le case dei defunti si tenevano completamente al buio, le carrozze e finimenti dei cavalli, dei carri e degli animali da soma della famiglia del defunto venivano bruniti, si faceva così ostentazione pubblica del dolore, e le manifestazioni di lutto spesso duravano per parecchio tempo anche per anni (specie se il defunto era il capo famiglia); mentre la povera gente piangeva avanti la salma del defunto, fino al giorno del seppellimento; chi ne aveva la possibilità assoldava le “reputatrici o prefiche”, quelle donne, dimessamente vestite, che, a pagamento, strappandosi i capelli, piangeva il cadavere. I più poveri mettevano il cadavere del congiunto avanti la porta di casa e chiedeva ai passanti un obolo che consentisse loro di far fronte alle spese del seppellimento. A beneficio dei poveri esistevano alcune “opere sante”: quella delle Sette opere della Misericordia, dei Pellegrini, di S. Ivone, di S. Giuliano, di S.Francesco, ma particolarmente quella di S.Giuseppe di Arimathea, che provvedevano al trasporto e all’inumazione della salma. Essi potevano limosinare in tutti quei giorni che dovesse seppellirsi qualche povero. Allo scopo di reprimere tali strane costumanze, che turbavano la società, anzicchè fare riferimento alle leggi suntuarie (3) in vigore, il Vicerè Marcantonio Colonna, p.pe di Aliano, ritenne di dovere determinare le regole di comportamento, in caso di lutto, sia per i nobili sia per gli appartenenti ad ogni altro ceto sociale, e particolarmente quali le manifestazioni esterne consentite e i limiti delle stesse e quali tipi di abbigliamento era lecito indossare in tali occasioni, emanando in data 6 marzo 1775 un “Bando e Comandamento d’ordine”, mediante il quale ordinava:
“Per le morti delle persone reali gli uomini possano portare le giamberghe nere di panno o baietta (4) e in tempo di està di stamina (5), e le donne vestir di laniglia o cattivello (6) dovendo durare il lutto per mesi sei. Con chè però alle famiglie de’ vassalli, di qualsivoglia stato e condizione che siano i lor padroni, non si permetta di portare lutti per morti di persone reali, poiché bastantemente si manifesta il dolore di tanta universal perdita colli lutti de loro padroni. Il medesimo ordinava per la morte dei nobili, dei Consiglieri di Stato, dei Cavalieri di San Gennaro e del Toson d’oro, dei Grandi di Spagna. Ai visitatori anche non parenti, consentiva pel solo primo giorno della morte, non ancora sepolto il cadavere, il lutto, permettendo anche alle vedove il portare per uso proprio le fittuccie (7) per loro arbitrio. … che nelle case di lutto i parenti di qualunque grado, ed anche del marito e moglie, non possono tenere le finestre della stanze chiuse, ma totalmente aperte. … che la sera non si possono tenere lampadi ma candele, non meno di due nella stanza ove si ricevono visite; e le donne per la morte dei mariti possono stare in casa solo tre mesi; e per padre e madre, figlio o figlia, nonno o nonna, suocero o suocera, genero o nuora giorni nove; e per zii, zie e cugini carnali non possono aprir lutto in casa, ma solamente vestirlo per giorni nove. Che nelle case di lutto, ancorchè il cadavere sia sopra terra, solamente si possa coprire il suolo della camera ove le vedove o vedovi ricevono le visite di condoglianza, con mettere li portali (8) neri alle porte o finestre, e questo per giorni nove, proibendosi in qualunque altro lutto, che non sia come sopra, di marito o moglie, li panni neri o morati, senza potere giammai parare di nero le mura.” Il bando, poi, consentiva un altare e solo dodici lumi, e che i mortori (9) si potevano suonare soltanto all’interno della parrocchia del defunto, o della chiesa della sepoltura, e mai al di fuori, e che i membri delle confraternite e delle associazioni ecclesiastiche, invitate dai parenti del defunto, non potessero portare in mano più di una candela di peso superiore alle tre once e che le candele non eccedessero un numero complessivo di cinquanta. “Che i baulli o tabuti (10) nei quali si portano a interrare li defonti non siano coverti di drappi d’oro, argento o seta ma di bajetta o panno o di altra sorta di panno di colore nero o morato, per essere sommamente impropri tutti gli altri colori, e solo si permette il terzanello (11) di colore, senza oro ed argento e non altro; per i bauli seu tabuti di figlioli che muoiono prima di uscire dall’infanzia, sentendosi nel pari ne’ suddetti interri, in vigor del presente bando generalmente vietato checchessia altro mondano somiglievole fasto. Che per qualsivoglia lutto, ancorché sia della primaria nobiltà, non si possono portare carrozze nere o sedie di mano (12) di drappo nero o morato, o di qualunque altro colore che dinotasse lutto, né tampoco usarsi qualsiasi altro lusso.” Il bando concludeva con la descrizione delle pene per i contravventori “… 500 scudi ai nobili, un anno di carcere e altre pene ad arbitrio di S.E. per qualsiasi altra persona. Per le donne maritate la pena sarebbe stata pagata dai mariti, per le vedove si sarebbe esatta da qualunque dei loro effetti, per figli di famiglia dai loro genitori …” Già dal maggio 1775, il Villabianca nel Diario annotava … “cessar vedesi la costumanza di esporsi i cadaveri dei mendicanti nelle pubbliche piazze e contrade della città, cattandosi la limòsina pel suffraggio delle anime e per la spesarella dei facchini e del feretro …” Anche se, a seguito di provvedimento governativo si dispose l’utilizzazione del nuovo cimitero di S. Orsola (13), molti continuarono a preferire l’inumazione dei cadaveri dei propri cari nei conventi, nei monasteri (14) e particolarmente nelle Catacombe dei Cappuccini, ove rivestiti col saio, restavano lì ad essiccarsi. La visita a tale sito ispirò Ippolito Pindemonte (15) che così lo descrisse (nei Sepolcri):
… spaziose, oscure
stanze sotterra, ove in lor nicchie, come
simulacri diritti, intorno vanno
corpi d’anima voti, e con que’ panni
tuttora, in cui l’aura spirar fur visti
sovra i muscoli morti e su la pelle
così l’arte sudò, così caccionne
fuori ogni rumor, che le sembianze antiche,
non ché le carni lor serbano i volti
dopo cent’anni e più: morte li guarda
e in tema par d’aver fallito i colpi.
Ma anche nelle Catacombe dei Cappuccini esisteva la differenza per le salme dei nobili e quelle delle altre persone: mentre i corpi di questi ultimi, chiusi in sacchi dai quali fuorusciva soltanto la testa, venivano appesi alle pareti, quelle dei primi, venivano avvolti, debitamente disseccati, entro i loro panni o i loro abiti da cerimonia, e con un sacchetto di erbe aromatiche sul petto, venivano rinchiusi nelle loro casse o sarcofagi.
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(1) piccolo bordo di merletto, che ornava le maniche della giamberga;
(2) sono le dentelles di cui sopra;
(3) leggi intese a limitare le spese voluttuarie e di lusso;
(4) tessuto di panno nero con pelo accotonato;
(5) o stamigna, tessuto di lana sottile, ma resistente, in genere usato per confezionare bandiere;
(6) o filaticcio, seta di scadente qualità ricavata da bozzoli avariati:
(7) nastri;
(8) tendine;
(9) cerimonia di suffragio;
(10) bauli e casse da morto;
(11) tovaglia o drappo di tela lavorato, talvolta con passamaneria in argento;
(12) portantine;
(13) fu aperto nel 1783 dal Vicerè Domenico Caracciolo, intorno al cimitero e chiesa del Vespro, e fu il primo cimitero in Europa aperto a tutte le classi sociali;
(14) solo per l’inumazione delle donne erano preferiti i sotterranei delle Cappuccinelle;
(15) poeta e scrittore veronese -1753-1828.