New York New York
(Carmelo Fucarino)
Con Stefano Vaccara, direttore di La voce di NY al Consiglio di Sicurezza ONU
Sì, nella vecchiaia mi sono preso il “mal di New York” e constato già appena tornato che è una malattia di quelle gravi e incurabili, che ti sta dentro e sulla pelle e non va via. E me ne frego di Trump, del suo trash e delle sue fake news, dell’America profonda che lo sostiene, provinciale e razzista, nonostante le strombazzate leggi di Clinton e Obama. È sempre l’America della dottrina di James Monroe (1823), con l’esclusiva coloniale sulle Americhe dal Canada all’Argentina, e i “Fourteen Points” di quella pax americana di Woodrow Wilson dell’8 gennaio 1918 simile fino al recente isolazionismo ormai preistorico di “L’America soprattutto” che richiama il celebre Deuschland über alles di hitleriana memoria. Esplicito l’art. 1 che è l’odierna politica di egemonia ed isolazionismo di Trump, abolizione dei trattati, di Nato e Onu, il muro con il Messico dal quale non appare chi è il prigioniero e il libero: «Pubblici trattati di pace, stabiliti pubblicamente e dopo i quali non vi siano più intese internazionali particolari di alcun genere, ma solo una diplomazia che proceda sempre francamente e in piena pubblicità». Curiosità per noi il suo art. 8 prevedeva: «Una rettifica delle frontiere italiane dovrà essere fatta secondo le linee di demarcazione chiaramente riconoscibili tra le nazionalità». E lo abbiamo visto con il Trentino e il suo terrorismo e la Val d’Aosta, italiane, ma con privilegi da Stati indipendenti ben foraggiati dal fesso italiano. E dire che ero andato da quelle parti del Continente Nuovo a Cuba, in Messico e in Argentina. Gli States erano per me archetipo e mostro di uno Stato capitalista e colonialista, come ben dimostra ancora il recente becero governante di un Congresso di supini, eletto da quella profonda America dei cowboys e dei pistoleri e delle stragi pazzesche, premio di un emendamento criminale (1787): «II – Essendo necessaria, per la sicurezza di uno Stato libero, una Milizia ben organizzata, non sarà violato il diritto del popolo di tenere e portare armi». Proprio ieri vittima una sinagoga ebraica nella moderna, evoluta Pittsburgh. Ignorata l’inezia della vera ragione dell’articolo, la sicurezza di uno Stato libero con l’enormità di “milizie” che ci ricordano quelle di un periodo nero italiano. E pure noi vorremmo imitarli con una leggina, senza modifiche costituzionali, in nome della legittima difesa della proprietà privata, cioè la casa e le carte di credito. Nessuno, solo i poveretti, ma proprio miseri, usano oggi denaro in contante. Ma è agli occhi di tutti la libertà di avere una scacciacani o un kalashnikov, non considerando la professionalità ad usarli dei criminali. Poi una scommessa, presentare il secondo volume della mia storia di Prizzi alla nostra comunità di NY, come avevo fatto con il primo alla comunità di Torino. Da allora la malia di questa città magica che non è America o States. È il tutto e una serie di parti singole. Ed ogni cittadino è individuo libero, l’uno più degli altri. Almeno come la vedono i miei occhi e la sente il mio cuore che sono diversi da quelli del fortuito passante che incrocio. La mia è ora una metodica frequentazione che dura ormai dal 2006, mi risulta incredibile: ad anni più o meno alterni mi ha reso sua parte e suo cittadino. Passeggiare fra le sue strade, interloquire con l’ignoto che mi sfiora è come sentire la frequenza della mia via Maqueda ove ho abitato e passeggiato e scherzato per tanti anni fra quei vicoli maleodoranti eppure rimasti parte eterna delle narici. Percepisco l’odore particolare dei quartieri diversi, perché NY è una serie di città che si toccano, si sfiorano, si amano e combattono, è un dialogo naturale fra tutte le razze, ma proprio tutte quelle del mondo con quei diversi odori, anche le comuni pizze universali di sapori ed invenzioni diverse, ma sempre chiamate italiane. Il primo impatto al JFK con il tassista pakistano o dello Srilanka, ma anche quello siciliano che telefona alla madre per la gioia di ricordare le arie di Caruso. Ne sono stato fagocitato, subito il suo fascinum, perché NY non è l’America, è il mondo, quello dei bianchi neri gialli scuri, quello di tutti gli idiomi del mondo, di tutte le cucine del mondo. E mi sono tuffato in un giro nel celebre Chelsea Market, ho curiosato fra le stradine di Little Italy, ormai inghiottita da China Town, lungo la varietà dell’interminabile Broadway. Ma che dico, ogni zona ha un suo fascino, un visus che appena lo sfiori rimane sulla tua pelle.
Al Chelsea Market
E poi i grandi incontri. Non avrei mai scommesso di entrare nell’anfiteatro dell’Assemblea Generale dell’ONU e nel Consiglio di Sicurezza, di salire con emozione quello scranno dei potenti della terra, io miliardesimo ignoto di un ignoto paesetto di montagna, mio Virgilio Stefano Vaccara direttore di La voce di New York. O di portare il saluto dei prizzesi, siculi e italiani al Consiglio comunale della City Hall di NY. Con la Columbia University e la sua costola, una volta Casa italiana dell’equivoco Prezzolini fascista che negava di esserlo, quello di La voce, oggi Italian Academy for Advanced Studies at Columbia University, ho una decennale consuetudine, lì sono catalogati tutti i miei libri, ma quest’anno è stato pure particolare: intervenire al convegno su un saggio dell’amica co-Direttrice, Barbara Faedda, sul quale ho scritto due recensioni.
Con Barbara Faedda alla Columbia
Ed altra antica frequentazione con la City Hall, ove il nostro prizzese speaker, cioè presidente del Consiglio, Peter Vallone ci guidò per i corridoi con ricordi e foto dei grandi padri fondatori americani. Oggi il figlio Paul ci ha invitato alla sfilata del discusso Columbus Day e alla premiazione degli italiani della Italian Heritage. Perché alla fine i Prizzesi danno lustro alla città. L’altro grande amico Joe Sciame è presidente delle Public relations della St Johns University con tre campus, presidente della più grande associazione di Italiani, l’Order Sons of Italy in America (OSIA), oltre 600.000 soci al servizio dei più di 26 milioni di discendenti italiani, dell’Italian Heritage and Culture Month e del Garibaldi-Meucci Museum. L’Italia d’America che conta con la sua professionalità e il suo know how, attività di grandi professionisti e sudore e sangue di tanti altri che hanno reso grande l’America, dal Fiorello La Guardia, che mi inganno con il nome Fiorello di un ristorante sulla Broadway, pensando ai due “nani” italiani dello spettacolo. Alla presente famiglia Cuomo, Mario padre e Andrew figlio, governatori democratici dello Stato di New York, oggi sulla popolare Cynthia Nixon, ex protagonista della serie di culto Sex and The City. E infine al nuovo sindaco De Blasio.
PS Consiglio la lettura della serie New York New Yord editi dalla CEDI e soprattutto Il colosso di New York (The Colossus of New York, 2002) di Colson Whitehead e Una casa a New York di Adam Gopnik del 2010