RACCAPRICCIANTE IL RIGOLETTO DI TURTURRO E FRIGERI

       (Salvatore Aiello)

Ph. Lannino

Il verdiano Rigoletto ha segnato la ripresa della Stagione 2018 di Opere e Balletti del Massimo in un clima faticoso per la defezione del tenore Giorgio Berruggi e del soprano Maria Grazia Schiavo, presente solo alla prima, ambedue per sopravvenuti motivi di salute. Il palcoscenico, incorniciato da  i due giganti del palazzo Te di Mantova,  inoltrava in un clima di soffusa nebbia, supportata da luci cupe e sinistre di Alessandro Carletti per disegnare l’atmosfera di crudele malvagità e raccontare la tragedia che si consuma nell’opera; un’atmosfera che non concedeva mai spiragli di luce e respiro, dove si muovevano uomini nati per il male, procacciatori del male e vittime inermi a subirlo. In Rigoletto, nato deforme ed esteriormente rozzo, vibra e si agita un amore paterno che conoscerà tutto l’inferno, colpito dalla maledizione di un altro padre toccato dalla stessa sorte e denigrato. Questa la visione raccapricciante che muoveva il regista John Turturro e lo scenografo Francesco Frigeri impegnati, secondo la loro prevalente esperienza cinematografica, a raccontarci, anche con allusioni erotiche e religiose, in un ambiente minimalista e dimesso, ciò che Verdi concepiva come nuovo modo di fare teatro allorché si apprestò alla trilogia romantica. Pur rispettose di una certa tradizione alcune incongruenze però lasciavano spesso lo spettatore, disorientato, ad interrogarsi. L’azione spostata al secolo XVIII presentava ambienti disadorni come disadorni, ma in sintonia, erano i costumi di Marco Piemontese. A commentare l’azione spesso la coreografia incombente di Giuseppe Bonanno. A condurre l’orchestra c’era Stefano Ranzani con ricerca di densi colori ed atmosfera di forte intensità, con piglio energico e teso anche negli squarci di più tenue abbandono.

ph © rosellina garbo 2018

Giorge Petean, poco deforme, ha dato una prova mirabile della sua organizzazione vocale per volume, estensione  e salda tecnica nel dare sentimenti a un padre angosciato e ampiamente tradito con accenti di profonda umanità e di drammatica accensione. Stefano Pop si è proposto col suo canto baldanzoso nel descrivere la psicologia del Duca corrotto e senza scrupoli con una voce di tenore lirico ben adatto al ruolo che gli consentiva alcune nuances malgrado un timbro un po’ anonimo. In risalto Ruth Iniesta per adesione al personaggio di Gilda, assai convincente nella resa di una prova belcantistica  che ha soddisfatto ogni attesa della partitura in virtù di un’emissione morbida e fraseggio ben articolato. Luca Tittoto ha delineato uno Sparafucile a tuttotondo scenicamente e vocalmente. Completavano il cast dei buoni professionisti che sono apparsi coerenti con i loro personaggi: Martina Belli (Maddalena), Carlotta Vichi (Giovanna), Sergio Bologna (Conte di Monterone), Paolo Orecchia (Marullo), Massimiliano Chiarolla (Matteo Borsa), Giuseppe Toia (Conte di Ceprano), Adriana Calì (Contessa di Ceprano), Antonio Barbagallo (Usciere di corte), Emanuela Sgarlata (Paggio della Duchessa). In rilievo la prova del coro istruito da Piero Monti. Consenso ed entusiasmo del numeroso pubblico cui è stato concesso il bis del “Sì vendetta” siglato da un applauso prorompente. Spettacolo sold-out.

 

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