LE FINANZE DEL SENATO A PALERMO
(Francesco Paolo Rivera *)
L’argomento da trattare non è tra i più facili, infatti per i motivi che si andranno a esaminare, anche nella “Panormus Felix” del XVIII secolo, le casse del Senato erano regolarmente vuote, e non solo i debiti della pubblica amministrazione erano ingenti ma difficilmente si riusciva a rimborsarli. I motivi erano, almeno in parte, diversi da quelli che nei nostri giorni affliggono l’attuale pubblica amministrazione. In previsione di possibili carestie, che avrebbero portato all’aumento dei prezzi delle derrate alimentari e dei generi di prima necessità e quindi, a conseguenti movimenti di piazza provocati dalla fame, il Senato procedeva all’acquisto di ingenti quantitativi di frumenti, di orzo, di olio e di latticini, che poi venivano rivenduti alla popolazione a prezzi notevolmente inferiori a quelli di acquisto. Si esoneravano, sia per privilegio, che per tradizione o per “convenienza”, determinate congregazioni specie quelle ecclesiastiche, dal pagamento di dazi e altre tasse. Si concedevano donativi o indennità a persone, a funzionari sia per disposizione del Senato, che per disposizione del Governo o del Re. Non si perdeva l’occasione per organizzare feste, parate e pubbliche manifestazioni (1). Teoricamente la politica relativa agli approvvigionamenti di generi di prima necessità, in previsione di carestie, era socialmente ottima, ma sicuramente era errata l’applicazione. Purtroppo l’agricoltura nell’Isola era molto arretrata a causa dell’abbandono delle terre agricole da parte dei proprietari, i quali preferivano riscuotere le gabelle, disinteressandosi delle coltivazioni dei loro feudi, e vivere spensieratamente in città, nel fasto di una Corte Vicereale, interessandosi, semmai di prestare attenzione alla vita politica e sociale. Nel 1793 il Senato aveva provveduto a rivendere, al prezzo di 7 onze al quintale, olio che aveva acquistato a 9 onze al quintale, con una perdita di circa onze 53.500; altra perdita di circa 800.000 scudi, per aver “panizzato” (2) e venduto 140.000 salme di frumento che il Senato aveva acquistato al prezzo tra 7 e 8 onze la salma. Vi erano annate in cui la perdita giornaliera delle casse comunali era di circa 3000 scudi, il che costringeva il Comune a contrarre debiti per oltre 500.000 scudi annui. Inoltre, le casse comunali, non incassavano dazi e altre imposte da alcuni enti ecclesiastici, conventi, chiese, ecc., sia per la esistenza di vecchi privilegi costituiti storicamente a loro favore, ma anche e soprattutto perchè Il Comune, che era costantemente alla ricerca di prestiti dalle casse pubbliche, dagli istituti di credito, dalle comunità religiose, e persino dai privati, con gli esoneri cercava di rabbonire i creditori, onde evitare che questi non li finanziassero più. Per evidenziare la situazione deficitaria della cassa comunale e la conseguente continua necessità di danaro, si riportano, dagli Atti del Senato, alcuni annotamenti relativi ai debiti che si era costretti a contrarre:
“14 luglio 1788 – Si autorizza il Banco a prestare al Comune per la pubblica macellazione 5.000 onze oltre le precedenti 12.000 “,
“7 agosto 1788 – Solito prèstamo (3) delle 12.000 onze del Banco”;
“28 ottobre – Prèstamo per compra di neri (maiali) e altre urgenze”;
“10 aprile 1789 – Prèstamo del Banco di onze 13.000 per bestiame”;
“12 agosto 1790 – Prèstamo di altre onze 12.000 come sopra”
“6 giugno 1795 – Solito prèstamo di onze 24.000 dal Banco”
“10 ottobre 1789 – dal Governo si concede al Senato una dilazione e dissequestro per “attrassi (4) dei donativi”;
E’ anche opportuno ricordare alcuni avvenimenti che contribuivano a incrementare lo stato debitorio in cui versava il Comune:
– i membri del Senato, la cui carica aveva durata biennale e appartenevano a famiglie aristocratiche, al fine di fare sfoggio della loro fastosità, della loro opulenza, della loro grandiosità disponevano a favore del popolo di benefici, ed erano sempre pronti a programmare feste, parate e altre manifestazioni pubbliche, naturalmente a spese delle casse comunali
– i bimbi partoriti dalle mogli dei Senatori e delle altre Autorità, venivano battezzati a spese del Comune, che assegnava sia alle puerpere che alle levatrici compensi in denaro;
– i dignitari che da Palermo si recavano alla Corte di Napoli (anche soltanto per partecipare a una manifestazione), o viceversa quelli che la Corte di Napoli inviava a Palermo ricevevano lauti appannaggi a titolo di rimborsi per loro e per il seguito … sempre a spese del Comune.
– sia da parte del Vicerè sia da parte dell’Arcivescovo veniva disposto a favore di terzi la concessione dello “zagatu” (5), per il commercio di determinati beni.
Per far soldi, il Comune era costretto, addirittura, a vendere “i capitali della illuminazione notturna”, a contrarre debiti di poche migliaia di onze con questa o quella persona, naturalmente con interessi usurari … che si moltiplicavano oltre ogni limite, perché spesso l’obbligo del rimborso alla scadenza veniva “dimenticato”. Per trovare l’”abbisogna” per le passività, oltre a inasprire i dazi sul vino, sull’orzo e, qualche volta anche sulla farina, si elargivano favori ai creditori, mantenendo intatti vecchi privilegi in danno dell’Erario. Conventi, Monasteri e Confraternite, approfittando di tale situazione, ottenevano dal Senato il ripristino di privilegi vecchi e aboliti. Il termine “scasciatu” (6) era usato per indicare tali avvenimenti. Le condizioni non migliorarono, a seguito della riforma (la Giunta Pretoriana venne sostituita con la Giunta del Presidente e di un Consigliere) anche perché le pretese del Re Ferdinando aumentarono sia per soddisfare il suo fasto, che per le esigenze della stessa Corte. E, anche la Curia partecipava ad alleggerire le casse pretorili. L’Arcivescovo di Palermo, avendo dovuto sostituire, quale delegato alla presidenza del Regno (1794), il Vicerè p.pe di Caramanico, per una sua breve assenza, pretese un “attestato di attenzione” di 600 onze. Altre 600 onze, quale “tributo consueto” si dovettero corrispondere all’Arcivescovo, l’anno dopo, essendo stato nuovamente delegato al supremo governo in conseguenza del decesso del Vicerè. Filippo Lopez y Royo, arcivescovo di Palermo, che godeva del diritto di scegliere ogni giorno, per servizio della casa, un giovenco, accettò la soppressione di detto “diritto” dietro un compenso annuo di circa 324 onze. Un nobile napoletano, che aspirava, contrariamente al progetto del Re, alla carica di Vicerè, fu compensato della richiesta inesaudita con 3.000 scudi a titolo di “solita dimostrazione” prelevati sempre dalla cassa comunale. Le spese e i salari per l’amministrazione delle vettovaglie che avrebbero dovuto gravare sulla vendita delle stesse, invece gravavano sul bilancio della città. Insomma tutti attingevano nella cassa pretorile per regalie, compensi o diritti trasformati. Nessuno degli amministratori si preoccupava della pessima amministrazione della cosa pubblica, nessuno si dava pensiero del fatto che la produttività della terra non esisteva più a causa dei sistemi di coltivazione ormai antiquati, che la terra veniva abbandonata anche dai gabelloti, che la cassa del Senato era sistematicamente vuota per il programma di acquisizione delle vettovaglie, successivamente rivendute in perdita. Nel penultimo decennio del secolo, e soprattutto a causa di indebiti favori e della trascuratezza nella gestione amministrativa della città, tutto andava male: per interi decenni non si riscossero i censi per la concessioni di terre comunali, si portavano in bilancio le spese per la polvere dei cannoni che sparavano per gli arrivi e le partenze del Vicerè, quando i cannoni era stati già fusi da tempo, si portavano in bilancio onze 1.898 per cannoni e bombarde a difesa della Città, non più in uso, si vantavano crediti non riscossi per 24.660 onze nei confronti di impresari e di appaltatori non più reperibili. Malgrado dal 1776 si proibirono “le toghe di allegrezza e di lutto”, che indossavano il Pretore, i Senatori e gli ufficiali nobili in occasione di cerimonie, feste o morti illustri, si continuava ad accantonare il fondo di annuali 328 onze. D’altro canto i Senatori duravano in carica per un biennio, e … due anni passavano in tutta fretta … ! Si tentò, con riforme (1739, 1776, 1791), di porre rimedio alla perenne crisi economica del Comune, per cercare di equilibrare il disordine patrimoniale, autorizzando la libera vendita dei capi di annona allo stesso prezzo di acquisto, si propose l’adozione del così detto “arrendamento” (7), si suggerì – alla ricerca di soluzioni meno onerose per il cittadino -, di lasciare in Cassa, ogni anno, un avanzo per far fronte alle urgenze del Senato, di adottare economia su tutta la linea (8). La maggiore rovina delle finanze del Comune si ebbe nell’anno 1793, anno di grande carestia e di fame, nel quale i sistemi proposti della colonna frumentaria, delle provvigioni “vittuarie” (9) e delle vendite pretoriane trascinarono il Comune a nuovi disastri finanziari. Tutti, senza alcuna autorizzazione, vendevano generi alimentari. E, infine, l’abolizione, per decreto reale (senza il controllo del Senato) del divieto di libera vendita, contribuì al completo sfacelo dell’economia della Città.
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* Lions Club Milano Galleria 108 Ib-4
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- si soleva dire che Ferdinando di Borbone governassero con le tre “effe”: feste, fame e forca
- il significato del verbo “panizzare” è di “far pane della farina di grano o di altra cosa …”
- prestito;
- “attrassu” aveva il significato di “indugio”, e, nel caso in questione quello di “proroga di pagamento di debito scaduto”
- era la concessione di vendere, in regime di esclusiva o di monopolio, determinati beni, che si otteneva previa corresponsione di somme;
- “scasciatu” era il compenso in danaro che si corrispondeva agli Ecclesiastici per l’esenzione di cui debbono godere da dazi pubblici; “pagari cu lu Scasciatu” significava essere ritroso a soddisfare i debiti, pigliando tempo, per aspettare la riscossione di ciò che era solito una volta l’anno;
- “l’arrendamento”, fattispecie che risale al periodo delle dominazione arabo-normanna, consisteva nell’appaltare a un arrendatore, immobili di proprietà dello Stato, il quale tratteneva un aggio a proprio favore a copertura delle spese e del suo guadagno. Cosicchè lo Stato, a copertura dei suoi debiti, poteva effettuare, nei confronti dei creditori, una “datio in solutum”;
- si costituì la così detta “colonna frumentaria” con lo scopo di distribuire le riserve di frumenti a quei contadini poveri che non avevano la possibilità di acquistare le sementi;
- delle vettovaglie.