LA QUESTIONE DELLA LINGUA
(Irina Tuzzolino)
Con cadenza estiva tra giugno e luglio, durante lo svolgimento degli esami di maturità, quando viene reso noto dalla stampa lo sciocchezzaio linguistico-concettuale esibito da alcuni candidati, si torna a parlare con tono dolente della crisi della lingua italiana, soprattutto nello scritto. Rinasce per qualche giorno la secolare “questione della lingua” in scala ridotta, perché non si tratta più di individuare e definire la lingua letteraria, bensì quella di uso comune. Di conseguenza si attribuiscono le colpe : scuola, media, famiglia, insulsaggine giovanile e professorale, assenza di meritocrazia e via così. Pochi pensano che nella revisione di un compito scritto il docente badi più al contenuto che alla forma, valorizzando la capacità di ragionare e analizzare i fenomeni e che lo studente una volta iscritto a scuola non ne esca se non col conseguimento del diploma. Non è giusto neanche dimenticare le pressioni che si abbattono sullo sprovveduto docente in occasione di una soltanto preannunciata bocciatura. Le cronache ci informano anche di botte da orbi. Si deve costatare per inciso che la maggior parte della società non attribuisce più importanza allo scrivere decentemente. Tramontate le “belle lettere “ e la considerazione per le materie umanistiche come chiave per raggiungere le professioni di prestigio, oggi si scrive come si parla e si è indifferenti alle regole della buona forma. Tutto questo però non vuol dire che sapere scrivere non possa restare un traguardo, magari privato, per alcuni.