A TAORMINA, ALLA SUA ANIMA ANTICA di Elisa Roccazzella
(Gabriella Maggio)
Elisa Roccazzella è nota al pubblico per le raccolte poetiche edite e per i numerosi riconoscimenti nazionali, ha pubblicato la poesia Taormina nell’Agenda –Antologia Tempo di poesia 2018, Armenio editore, curata da Elena Saviano. La sua opera è caratterizzata da un timbro classico che dà ritmo ai suoi versi e armonia al suo mondo sentimentale che abbraccia con elegante levità la vita, la natura, i luoghi a cui è profondamente legata, in questo testo Taormina. Alle falde dell’Etna si stende luminosa Taormina, tra Castelmola e il Capo che da lei prende il nome. Con occhio innamorato Elisa Roccazzella la allontana dal tempo che ne ha fatto un’importante stazione turistica nel mondo per immaginare l’alba felice dei millenni e spiegarne l’origine col mito, alla maniera dell’ αἴτιον alessandrino. Dono generoso di dei che si sono amati e hanno amato con voluttà quelle terre e quel mare, cornucopia di fiori e frutti, spazio scenico di miti, Ulisse, Polifemo, Dafni, Venere, Vulcano, Eva. Echi ammalianti come d’irraggiungibili sirene riecheggiano ancora per chi riesce a intenderne la bellezza. E il poeta li coglie nel silenzio interiore che l’ astrae dal rumore del tempo presente e vivo; ad essi si protende con nostalgia, ricordando appena in punta di penna i popoli che vi si sono stabiliti nel tempo, conquistati da quella bellezza. Tra le loro tracce spicca la meraviglia del Teatro greco con la sua ampia scenografia marina. La storia col suo travaglio di vittorie e di sconfitte è assente. Come pure il senso drammatico del divenire e dello scorrere della vita sotto l’occhio lontano e indifferente dell’Etna sterminatore, propaggine contemporanea della natura leopardiana. Ammaliante risulta nelle sue reminiscenze classiche la poesia di Elisa Roccazzella. La scelta polita del lessico guida il suo sentimento sincero su un raffinato e ben controllato piano di medietas , governato da un ritmo placido. Il suo monologo lirico non ribalta i miti consolidatisi nella tradizione letteraria, come avviene nell’opera di Jannis Ritsos, ma li percepisce ancora integri e vitali, avvolti nel mistero di un tempo lontano in cui il poeta si perde con inquietudine lieve, appena percepita.
A TAORMINA, ALLA SUA ANIMA ANTICA
Nelle plaghe dei silenzi primordiali
-l’alba felice dei millenni-
Gea sul Tauro ignuda
tra veli d’indaco
e ventate di salsedine
ammaliò-voluttuosa-il sole.
Abbandonato il cocchio alato
al regno delle nuvole,
sciolti i focosi destrieri
sulle pendici del monte erbose
tra le sue braccia la tenne
-innamorato-il sole
e con lei per sempre dimorò
e divinamente giacque.
Fiori e frutti a meraviglia
traboccarono dal suo seno:
dolce stillò la vite di Bacco
-fatale a Polifemo-
turgido maturò l’ulivo
-sacro agli eroi-
agavi –come cocci di basalto-
sull’orlo dei burroni
scrutarono incredule l’abisso,
fiori senza nome erti tra i sassi
risonarono-come arpe-
al tocco della brezza,
limoni e aranci nell’intrigo delle valli
-come lampade -s’accesero
del fuoco del Vulcano,
meli fecondi –per incanto-
frutti d’oro porsero agli dei
-come nel giardino dell’Esperidi-
E…chissà…forse allora…
nel fitto del fogliame
oscuro frusciò l’inganno
della tentazione
ad Eva più che mai sì funesta!
E il mirto fiorì nell’ombra
di spelonche appartate…
pastori s’illuminarono di ninfe
evanescenti nella gioia dell’Alcantara,
Dafni alla zampogna
nel segreto delle gole
la magia di Pan accordava
alla dolcezza dell’idillio
finchè la zagara…
-complice il vento di marzo-
spalancò le porte dell’Eden nascente:
“figlia della Luce e dell’Amore….
…Taormina fu…”
La vita s’estasiò di celesti melodie
e incatenò le sue radici al mare:
al mare ribollente di larve
nel turbine mugghianti
urli di mostri, deliri di giganti infelici
-pietrificati in miti e leggende-
quando tra flutti spumeggianti
fiera s’avventurava la vela d’Ulisse
per sfuggire l’ira bestiale del ciclope
e il canto struggente di sirene
nel cuore della grotta prigioniero
e nello specchio d’eoliche scogliere.
E sirena irresistibile-Taormina-
il suo Jonio sedusse e lo straniero
che, nella sua malia…si consumò…
Andromaco coi prodi Calcidesi
una colonia per primo vi pose
poi il Fenicio, il Greco, il Romano,
il Bizantino e il Saraceno
e via il Normanno, lo Svevo
e l’Angioino….
tutti la vollero come sposa
-nel fasto- adorna di monili
e più bella, alla sommità del Tauro
il Greco con un teatro
regina l’elesse d’una favola immortale.
Ormai stella del cielo di Trinacria,
alla terra dedicò versi
d’incantevoli notturni,
al mare confidò palpiti lunari :
-l’Arte sfidò stupori d’infinito….
-la Bellezza levò un canto divino…
-la Natura rabbrividì alla carezza
del suo Autore.
Austero e solitario nel suo Olimpo
l’Etna veglia- come un dio lontano-
estraneo al mondo prostrato ai tuoi piedi,
….sordo al pianto di rovine,
…impassibile alle tragedie dei mortali
balenanti come folgori
nella paura della storia.
Già il cielo tende il suo braccio al mare,
lo scoglio di Naxos e il picco di Mola
paion levitare su magiche brume,
al tramutar dei venti…ecco
la grazia di Venere
limpida…traspare….
e l’eco d’irraggiungibili sirene
nostalgica…riaffiora…
da azzurre ed eterne sinfonie!