UNA PALERMITANA PER SEDUZIONE
(Carmelo Fucarino)
In una serata speciale, un sabato dopo la veglia dell’Immacolata tra burraco e abbuffate, la Laura è tornata a Palermo, ormai sua città di elezione. Fu un libro galeotto, un libro di memorie, giocato in parte sugli Incontri, pubblicato da una dinamica editrice palermitana, fresca di nascita e con un vasto parterre di nomi, una corona di sezioni e tanti volumi. Da questo nuovo e ultimissimo incontro, il proseguimento di una nuova sua attitudine spirituale, la scrittura. E la sua seduzione da parte di questa città e dei suoi cittadini. Perché Laura è nata come attrice, una giovinetta di diciassette anni, che il papà Angelo, il benemerito “archeologo” degli spartiti, ben 520, del vulcanico “Prete Rosso”, Antonio Vivaldi, lasciò partire dalla periferica Treviso per la Milano del Piccolo Teatro del magico Giorgio Strehler. Lei, «piccola, magra e dall’aria seria. Portavo i capelli lunghi “attorti in minutissime trecciole“ puntati a maruzzelle intorno alle orecchie e non sembravo promettere estasi erotiche». E una carriera che dalle scene fra le rigide mattatrici del tempo la portò sugli schermi, prima con l’Ercole, i polpettoni di Cottafavi, e poi fra i travolgenti e lacrimevoli “musicarelli”, quei filmetti giocati su un motivo musicale (da In ginocchio da te a Una lacrima sul viso), fino al grande impegno, quella straordinaria La suora giovane nel 1964 sulla traccia del romanzo di Giovanni Arpino, quest’anno suo straordinario anniversario di nascita e morte (1927-1987). E anche lei, come tante altre attrici, dalle nebbiose sale cinematografiche si ritrovò nei salotti casalinghi della TV, allora riunioni fra i possessori dello stupendo rettangolo, e fu coinvolta nell’alfabetizzazione e nella divulgazione dei capolavori fra le masse, l’entrata nell’intimità delle famiglie della grande letteratura, per lo più, dalla Miriana Pineda a Una bella domenica di settembre accanto ad Anna Miserocchi, fino ai successi epocali delle rese per immagini e parola dei classici universali con lo sceneggiato, geniale invenzione di Anton Giulio Maiano, il patetico strappalacrime Cronin di La cittadella con il mitico Alberto Lupo e il David Copperfield con Giannini. Dalla voce, dolce e accattivante, dalla parola recitata, fiore profumato dei sentimenti, dopo anni di silenzio, nel 2011 la scoperta di un epistolario sepolto fra la polvere in un baule, l’amore travolgente dei nonni e la profanazione della loro intimità con Come l’olmo e l’edera, un elegiaco richiamo virgiliano che univa questi due esseri così diversi per radici, cultura e stato. Lui, figlio della diaspora, prete mechitarista, spretato e tipografo a Treviso, lei figlia di Giuliano Zasso, pittore, e dell’Albertina dei conti di Althann. A seguire nel 2014 La vita non ha età, una meditata e completa autobiografia, al centro la travolgente avventura giovanile con Gianni e la crescita dei figli, Marianna e Marco. Sembrava che si trattasse di un modo per sciogliere tutti i nodi della sua vita, un fare i conti, cercare un rendiconto. Ma girava tutto su un esorcizzare e sistemare, la traumatica e rigenerante terapia della confessione, quella pratica che i protestanti ci invidiano. E Freud ci ha rubato con i suoi progetti di transfert. Prima di tutto le radici, quel nome così strano, Ephrikiàn, e quella storia di un paese di favola. E la scoperta di quell’isola di San Lazzaro e quel nonno Akop dai piedi piagati, un moderno Edipo in altro modo fuggiasco dalla sua terra, l’Armenia dilaniata, devastata e martoriata. Ed ora da una periferia tra Italia ed Oriente ad un’altra periferia, la Palermo che ha trovato accogliente e benedicente per scrivere, per affidare alla parola le sue esperienze di vita, quelle che ricordi con uno slancio di elegia, che si vestono dell’alone dei sogni. E sono parte essenziale dell’anima. Tanti incontri che in questa serata prenatalizia in un luogo coerentemente deputato, il detto “Spazio Cultura”, assediato da variopinti muri di libri, sono stati richiamati e riproposti, uno spazio stracolmo per amanti della carta stampata. Mancava l’assedio delle sue fan, quelle donne innamorate di Gianni che vorrebbero vederli di nuovo assieme. Nella presentazione alla Biblioteca civica Villa Amoretti di Torino nel furoreggiare dello sceneggiato televisivo è bastato che dicessi per scherzo che Gianni non mi piaceva e che non sapeva recitare, perché le fan di Laura presenti insorgessero come Erinni. Eppure le avevano portato in dono due monumentali e ponderose lampade di sale. E Laura si è offerta alle domande, agli inviti e alle provocazioni di Nicola Macaione, l’editore e padrone ospitante, alle curiosità degli ascoltatori. Senza uno schema preordinato. Ed ha accettato di rievocare ancora lo scherzo inscenato da lei e dal piccoletto Lucio Dalla intorno ad un armadio e tanti altri personaggi, protagonisti che come in una galleria sfilano nel suo libro. E poi l’Africa. Quella sua passione che la porta per due lunghi periodi dell’anno dai suoi piccoli “colorati”, per il cui aiuto dipinge e dà in beneficenza i suoi piatti di legno, con quei colori stordenti, i fiori e le palme, le spiagge e il ponte, e quello struggente bambino che regge il filo di un aquilone.
Per l’ennesima volta ci apre la ferita sempre sanguinante dell’Africa. Colonia un tempo, neocolonia oggi, con un metodo di sfruttamento più subdolo, perché non ha più bisogno di truppe occupanti, ma li affama e annienta con i prestiti benevoli di Stati ipocritamente amici e l’implacabile Banca mondiale, rapina le sue ricchezze con il beneplacito di dittatorelli inventati ed imposti. L’acqua, il bene più semplice, il dono di una nuvola, negato in queste terre bruciate dal sole nemico. O segreto sotterraneo sotto il manto di sabbia che basta un semplice pozzo per riportare alla luce.