L’ITALIANA IN ALGERI CHIUDE LA STAGIONE DEL MASSIMO

 (Salvatore Aiello)

Ph . Rosellina Garbo

Si è conclusa la Stagione lirica del Massimo di Palermo con “L’Italiana in  Algeri” riproposta dopo diciassette anni;il capolavoro rossiniano si impone ancora all’attenzione del pubblico per il mondo fiabesco, per il nonsense, per l’ambientazione. Algeri, nell’800 viveva nella tradizione popolare di racconti di rapimenti di giovani per arricchire il parco schiavi trasformando le coste africane in luoghi mitici. L’opera si colloca nel 1813  un anno interessante per il panorama musicale europeo, nascevano infatti Verdi e Wagner, un anno assai  propizio per  la parabola artistica del pesarese che dopo l’affermazione col Tancredi, in soli ventisette  giorni debuttava sulle scene veneziane, in essa c’è tutto Rossini che dipana  la sua scienza e la genialità del genere buffo. Un oleografico azzurro del cielo si stemperava nel cobalto del mare Mediterraneo solcato da una vela, opera di Emanuele Luzzati che ci ha immerso nell’atmosfera del serraglio  con dei semplici paraventi traforati  riproducenti disegni orientali. Sulla scena si consumava la voglia del focoso Mustafà, innamorato sino al ridicolo, ma raggirato dalla scaltra ed insolente Isabella complice Taddeo. Se sul palcoscenico agiscono artisti esperti ed adatti  allora il successo é prevedibile. Simone Alaimo (a chiusura di carriera?) ha incarnato il bey algerino con consumata vocalità e gestualità, dominio scenico incisivo fraseggio, epigono dei grandi interpreti rossiniani dal Galli in poi. L’Italiana era Marianna Pizzolato una gioia per le orecchie, affascinando per la bella voce timbrata, omogenea  nei registri, facile e duttile nelle colorature, propensa naturalmente a sciorinare le  agilità  rossiniane proponendosi con raffinata classe nella resa del personaggio. Simpaticissimo per l’organizzazione vocale e in qualche momento esilarante, il Taddeo di Vincenzo Taormina. Pietro Adaini, nei panni di Lindoro, ha messo a disposizione doti interessanti mancanti però di un certo controllo della zona acuta. Bene e funzionante sotto tutti gli aspetti infine il trio Giovanni Romeo (Haly), Maria Francesca Mazzara (Elvira) ed Isabel De Paoli (Zulma). Sul podio orchestrale Gabriele Ferro attento e partecipe ha evitato i crescendi rossiniani fragorosi con dei tempi talvolta diluiti che toglievano mordente e brillantezza all’esecuzione; così pure le luci di Bruno Ciulli lontane dal consegnarci  l’atmosfera solare e gioiosa che nell’opera si respira ben compensata dai colorati e bei costumi di Santuzza Calì. Sobria e senza scadere in facilonerie buffonesche la regia di Maurizio Scaparro. In risalto la prova del coro maschile istruito da Piero Monti. Pieno il consenso del pubblico.

 

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