LE PRIME REGOLE DELLA NOSTRA LINGUA
(Irina Tuzzolino)
Pietro Bembo ritratto da Tiziano
Le prime regole della lingua letteraria italiana sono state fissate dal cardinale Pietro Bembo nella prima metà del ‘500 in pieno Rinascimento in un’opera dialogica che per tradizione viene denominata Prose della volgar lingua. È di fatto una grammatica che fissa le norme della lingua letteraria italiana, il suo glamour, parola coniata dalla deformazione di grammar, grammatica. L’intento di Bembo è stato quello di codificare la lingua italiana d’arte sui testi di scrittori, Petrarca e Boccaccio, universalmente ritenuti eccellenti per realizzare un ideale di bellezza al di là del tempo e dei paesi, emulando la grandezza degli antichi. L’operazione cultuale di Bembo trovò riscontro nelle opere di Michelangelo Raffaello e di altri artisti del Rinascimento , di cui fu amico e collezionista . Infatti non trascurò di interessarsi a tutte le manifestazioni della cultura, come pure della società e della politica. Da cittadino veneziano divenne apprezzato e appagato uomo di corte, in particolare quella di Urbino, governata dai Montefeltro, e quella romana del pontefice Leone X. Fu in corrispondenza con Erasmo da Rotterdam e con i dotti bizantini venuti in Italia dopo la conquista turca di Costantinopoli. Collaborò con lo stampatore veneziano Aldo Manuzio come curatore della stampa degli autori classici e ideò libri di dimensioni ridotte, antenati dei nostri tascabili. La porpora cardinalizia con cui lo ritrae Tiziano giunse tardi a sessantanove anni, dopo una intensa vita mondana in cui non mancarono gli amori per donne belle e di rango elevato, tra queste Lucrezia Borgia, moglie del duca Alfonso d’Este. Dall’esperienza amorosa sono influenzate le poesie d’amore nelle quali fissa il canone dell’imitazione petrarchesca ed il trattato Gli Asolani . In una delle Stanze scrive sull’amore:
Amore è gratiosa et dolce voglia
che i più selvaggi et più feroci affrena;
Amor d’ogni viltà l’anime spoglia
et le scorge a diletto e trahe di pena;
Amor le cose humili ir alto invoglia
le brevi et fosche eterna e rasserena;
Amor è seme d’ogni ben fecondo,
et quel ch’informa et regge et serva il mondo.
Da uomo del Rinascimento coniugò con equilibrio cultura e natura, infatti amò la campagna e i giardini; nella sua proprietà detta il Nonianum allestì un orto botanico ante litteram. Anche in questa passione si ispirò ad un modello, quello di Cicerone che in alcune sue opere sviluppa il tema della contiguità di natura e studio in un contesto di amicizia fondata sull’affinità di gusti e di indole. Ne è un esempio questa nota: “Leggo, scrivo quand’io voglio, cavalco, cammino, passeggio molto spesso per entro un boschetto che io ho a capo dell’orto. Del quale orto piacevole e bello, talora colgo di mano mia un canestruccio di fragole per la mattina la quali poscia m’odorano non solo in bocca, ma ancora per tutta la mensa”. L’autorità culturale di Pietro Bembo nell’ambito dell’uso letterario della lingua e della poesia italiana è durata a lungo, circa quattro secoli. Recentemente a Padova la mostra Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento ha svelato al grande pubblico l’opera e gli interessi culturali di questa eminente figura del Rinascimento.