IL TASSISTA*
(Dante Maffia)
Alla morte del padre era stato quasi costretto dalla madre a continuare la tradizione. Anche il nonno era stato tassista, uno dei primi, negli anni Quaranta e Cinquanta, con quella Flaminia che tutti guardavano come se fosse un oggetto d’arte. L’avesse conservata nel garage invece di portarla allo sfasciacarrozze adesso avrebbe avuto una cosina da museo molto ricercata dai collezionisti e di grande valore. Pazienza, i rimpianti servono soltanto a fare racconti. Ne aveva sentiti tanti dal nonno e dal padre e ne sentiva tanti, ora, mentre portava i clienti a Termini o a Fiumicino, a Ciampino o al Parlamento o nelle periferie della città. Forse anche per questo motivo non aveva voglia, quando tornava a casa, di mettersi accanto alla moglie e vedere le tele novelle o ascoltare i resoconti che lei faceva degli incontri fatti al mercato o nell’androne del palazzo. Antonia insisteva e Ugo andava su tutte le furie, diventava irascibile, lui che aveva una enorme pazienza con chiunque e né durante i tragitti, né nel mezzo del traffico aveva mai un gesto di stizza o di nervosismo. A Ugo piacevano le cose reali e tutto ciò che era esistito e passato ormai non lo interessava più. La vita va avanti e non indietro, perciò basta con i sospiri che rinvangano il passato. Non c’è più, tempo sparito, andato via per sempre ed è inutile stare a pensarci. Lui si proiettava sempre avanti, verso il futuro. Era il solo modo per non morire d’inedia, di ricordi, di sospiri inutili, di rimpianti. “Ma come fai”, gli aveva detto una volta la moglie con tono di rimprovero, “a cancellare le cose belle che abbiamo vissuto, le cose belle che hai vissuto? Fanno parte della vita, ci danno la fisionomia che abbiamo, ricordatelo”.“Ma guarda tu”, aveva risposto Ugo, da quando frequenta quella professoressa di psicologia questa adesso dice spropositi che non sanno né di sale né di pepe”. “Ugo, la storia ce la fanno studiare apposta nella scuola a cominciare dalle elementari, qualche ragione ci deve essere, no? Non esiste solo il presente e comunque il presente è frutto del passato, lo vuoi capire?”. “Bel frutto un ciufolo. Vieni con me qualche volta a vedere come si vive nell’intasamento della Fiumicino o in quello di Piazzale San Giovanni e te lo do io il passato. Che, l’intasamento mo viene dalla storia?”. “Sei un capoccione che non sente ragioni. La prossima volta andrai tu all’incontro genitori scuola per parlare con i professori dei tuoi figli in modo che dirai al professore di storia le tue teorie. Quello lo bocciano, tienilo a mente, perché ancora confonde Cesare con Annibale, Papa Leone con Papa Roncalli e Napoleone con Garibaldi. Il prof lo ha rimproverato più volte e lui che cosa ha detto? A prof, ma tanto, uno vale l’altro, hanno tutti fatto sempre il loro comodo. La storia non è acqua, lo vuoi capire? E tu che sei indifferente, vergognati”. “Se deve da vergognà il professore, perché i miei figli hanno ragione, la pensano come il padre, il che vuol dire che so davvero figli miei. Libero il professore di pensarla in maniera diversa, mica i miei figli lo vogliono costringere a qualcosa”. “Ma ti rendi conto di quanto sei stupido. Il professore è pagato proprio per insegnare come è veramente stata la storia, la testimonianza del passato”. “Un cavolo, altro che testimonianza del passato. Mica c’era il professore quando Napoleone faceva le sue battaglie, quel figlio di cane randagio. E poi, che vuoi che cambi adesso se uno lo confonne con Fantozzi alla prima crociata”. “Basta, dai Ugo, smettila di fare lo sbruffone e sii padre davvero”. “Oh, ah femmina! Vuoi che ti strozzi? La mia opinione deve essere uguale, almeno uguale alla tua. Te lo concedo perché ormai le leggi della parità, un’altra ingiustizia, vigono, come dice il mio amico Walter che litiga sempre con Giulia, ma la tua opinione non deve soffocare la mia, capito?”. “Ma ce lo sai che per la storia non si tratta di opinione, no? La storia è ciò che è accaduto realmente, in tutti i particolari. Vedi, adesso ci sono le telecamere e testimoniano tutto, ma prima c’erano li ommini de lettere che annotavano e tramandavano”. “Ma guarda questa dove le va a pescare certe bazzecole. Li ommini de lettere! Te li raccomanno, gente avvinazzata e losca, che bazzicava le osterie più malfamate e i vicoli più ambigui, mi spiego?”. “Chissà che televisione guarda questo qui, ma vedi un po’!”. “Oh, dama de pulci cotte, io vedo tele Kabul, va bene?”. “E solo così si spiegano certe cose. La storia comunque è storia, cioè testimonianza e non invenzione, lo vuoi capire? E perciò convinci i figli tuoi, se non vorranno fare pure loro i tassinari, di batte er chiodo sui libri”. Al parcheggio di Piazzale Caravaggio quel giorno pareva che si fosse fermato il mondo. Non si batteva un ciglio e la pennica stava lì, in agguato, tanto che sullo sterzo Ugo si appisolò e il sogno che fece fu un disastro, Romolo combatteva contro Giuseppe Mazzini, quello del Monumento lì sull’Aventino; Napoleone, ancora lui, aveva messo un bar elegante a Piazza Navona; Annibale, con tutta la truppa, scorrazzava per via del Corso per essere il primo all’apertura dei saldi di fine stagione, Qualcuno bussava al vetro della vettura. “È libero?”. “Sì, mi scusi, mi ero appisolato. Dove la porto?”. “In un libro di storia. E non gridi. Sì, sono Napoleone e pretendo che mi rispetti. Credi davvero che tu saresti in un tassì oggi se ieri io non avessi combattuto alle Piramidi?”. “Io non conosco la strada e non ho il navigatore. Che devo fare?”. “A Ugo, va, va a casa, va a dormire. So tre ore che russi che te se sente da lontano”.
*Pubblicato sul n.20 della rivista letteraria Euterpe