MAHLER ESPRESSIONE DEL SENTIRE DEL NOSTRO TEMPO

(Salvatore Aiello)

G. Mahler

Ripresa con esiti accattivanti della stagione Concertistica 2016 del Teatro Massimo con una serata Mahler; ben impaginato il programma che prevedeva l’esecuzione di Blumine, dei Lieder eines  fahrenden Gesellen e del Titano. La scoperta del grande compositore boemo la cui fama per lungo periodo soppiantata dall’attività direttoriale, oggi del tutto acclarata dagli studiosi, incontra il favore dei pubblici che ritrovano e riconoscono nella sua musica una precisa connotazione di genialità per quella capacità di rinnovare le forme tradizionali del linguaggio musicale immettendo, con grande nobiltà, tutta una serie di melodie popolari e popolaresche affrancate dalla sua fantasia capace di modellare, cesellare ed esprimere un mondo nuovo. Al suo percorso di rinnovamento contribuisce l’utilizzo di elementi vocali e masse corali i cui testi talvolta gli appartengono. Viva quindi l’attesa del numeroso pubblico presente per godere e gioire di un autore ormai espressione del sentire del nostro tempo che ricerca aneliti lontani coniugati con le tormentate domande che impone l’odierno vivere. Blumine, una volta inserito nella prima Sinfonia, era il biglietto di presentazione dell’approccio discreto e carezzevole del collaudato Gabriele Ferro con l’autore e l’orchestra; subito ci inoltrava nel suo impegno di dominare, con assorta e meditata interiorità, sorvegliate sonorità  per regalare accenti, sfumature, colori, ritmi richiesti dalla partitura. Suonare o cantare piano è una meta spesso difficile da conquistare; al baritono David Stout, chiamato a sostituire l’annunciato  Georg  Nigl, si richiedeva l’esecuzione dei Canti di un lavorante girovago prologo nel 1896 del Titano. Quirino Principe li definisce “ritratto di un infelice viandante schubertiano” e raccontano, con smarrimento e mestizia, la fatica esistenziale di un girovago lavoratore che dopo una delusione d’amore canta: “Quando il mio tesoro va a nozze è un giorno triste per me….piango, piango” e ancora “stamani me ne andavo per i campi, bello il mondo? Dunque comincia ora anche la mia felicità? No, no quello che io intendo mai per me potrà fiorire….. Ho un coltello arroventato nel mio petto, ferisce ogni mia gioia e ogni piacere…. Vorrei giacere nella nera bara, non potere riaprire mai più i miei occhi e in conclusione i due occhi azzurri del mio tesoro mi hanno costretto a partire per il vasto mondo…. non so quanto fa male la  vita, tutto era mutato l’amore e il dolore, il mondo e il sogno”. Questa in sintesi l’atmosfera dolorante dell’amante costretto a proiettare nella natura il suo weltschmerz e la sua weltanschauung. Stout non ci ha del tutto convinto per il timbro poco gradevole, per il ricorso a delle false mezzevoci ma soprattutto per una estraneità totale all’atmosfera e al dissidio interiore richiesto. Non ci aspettavamo certamente né i paradisi di Prey né tanto meno l’intelligenza e lo scavo profondo di Fischer Dieskau; tanta assenza di colori nel fraseggio e di calore nel porgere ci hanno confermato che per i lieder ci vogliono ben altre competenze. A rinfrancarci nella seconda parte della serata la Sinfonia n. 1 in Re maggiore, un tempo intitolata Comoedia humana ispirata al romanzo di Jean Paul. Ferro ci colpiva già al primo tempo con evocazioni rasserenanti della natura impregnate di toni e recuperi popolari atte a suscitare stupore ed immedesimazione che trovavano respiro nel secondo  tempo nel tema di Landler. Imponenza e  misura  caratterizzavano il terzo tempo sin dall’incipit della marcia funebre sostanziato dalla melodia francese Frère Jacques ed esaltato poi da una maestosa e magmatica sostanza sonora che con una ricca elaborazione si consumava in un’ansia sinfonica densa, affresco di una conquistata dimensione dell’anima e di assoluta padronanza che in fieri  racconta e anticipa quella evoluzione  che condurrà Mahler all’opera più matura ed unitaria che è la Nona. Se il merito va al direttore per quanto detto è pur vero che l’orchestra ha risposto adeguatamente regalando momenti di canto morbido, soffuso con chiarezza di linguaggio, fraseggio vario ed articolato se pur con qualche ridondante sonorità nelle percussioni.

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