GRANDE CONSENSO DEL NUMEROSO PUBBLICO AFFASCINATO E CONQUISTATO DA PUCCINI MA…POCA SUGGESTIONE IN QUESTA BUTTERFLY

(Salvatore Aiello)

( foto di R. Garbo)

Ripresa autunnale della Stagione lirica 2016 al Massimo di Palermo col ritorno, in coproduzione con il Macerata Opera Festival, di Madama Butterfly di Giacomo Piccini, nuova per ispirazione, ambientazione, lettura a cura di Nicola Berloffa e Fabio Cherstich, con i filologici costumi di Valeria Donata Bettella e le tetre luci di Marco Giusti. «Madama Butterfly è l’opera più sentita e più suggestiva che io abbia concepito, rotta questa suggestione, l’incanto cade»: così si esprimeva proprio Puccini dopo il tonfo scaligero ricordando soprattutto che l’opera necessita di «atmosfera limpida e dolce dove si ravviva il sogno doloroso che mostra vive le figure e le passioni» e mentre Giuseppe Giacosa e Luigi Illica si occupavano della cura del libretto, il compositore si documentava minuziosamente sul mondo giapponese attingendo notizie, usi e costumi dalla grande attrice Sada Yakko e dalla consorte dell’ambasciatore giapponese in Italia. Era un’operazione culturale di alto respiro sulla scia del Mikado di Sullivan e dell’Iris mascagnana: un oriente a portata di occidente e Puccini  conciliò la giapponeseria con la sensibilità occidentale anche ricorrendo a mediazioni di melodie contrastanti col risultato geniale di regalarci un teatro di azione e di sentimenti, confermando che le sue eroine bruciano di amore; raramente si salvano a tal punto che qualcuno sostenne “le vuole tutte morte”. Sulla nostra scena l’azione viene trasportata dopo il secondo conflitto mondiale, a Nagasaki atterrata dall’esplosione atomica, in un teatro di infima categoria che si trasforma poi in uno squallido cinema per divenire anche casa di tolleranzacon affitto di geishe ai compiacenti occupanti americani e tra questi il tenente Pinkerton dalla psicologia spicciola di amante  falso e vigliacco con la complicità del console Sharpless compiacente ed ipocrita. Si fa fatica ad inserirsi in questo contesto che spazza via con disinvoltura tutto il puccinismo togliendo respiro alla storia della povera farfalla impazzita; Cio cio San crede nell’amore e nel sogno americano ma è costretta a consumare la sublime notte d’amore tra occhi incuriositi di assetati guardoni; come se non bastasse nel secondo atto l’ansia e l’aspettativa della ignara fanciulla si consumano tra frammenti cinematografici tratti da “Perdutamente tua” anni ’40 del Novecento con un’incombente Bette Davis e spezzoni riproponenti le prodezze subacquee di Esther Williams distraenti la magia del Coro a bocca chiusa: desiderio di fuga e ansimante sogno di un mondo altro, paradiso terrestre per l’infelice protagonista che vedrà crollare inesorabilmente tutto il suo film concepito con ben altre speranze ricamate da infantile credulità. Hui He tornava a vestire i panni di Madama Butterfly dopo l’edizione del 2009, un ruolo da lei assiduamente frequentato offrendo una prova di buona professionalità, mettendo a disposizione una vocalità salda, omogenea, squillante e di appropriato volume con un canto di lirismo pieno ma piuttosto avaro di poetici ed elegiaci fraseggi. Il suo personaggio cresce poco, è già donna sin dall’inizio con tutta la forza necessaria per affrontare il mondo che le gira intorno secondo le indicazioni registiche. Se “Un bel dì vedremo” non gode dell’attesa conclusione e se il duetto “Gettiamo a mani piene” soffre di qualche disarmonia, possiamo sostenere che è convincente e trascinante nel terzo atto per ritrovati accenti e patetiche inflessioni. Gagliardo e svettante il Pinkerton di Brian Jagde dalla gradevole figura e scenicamente disinvolto. Il suo timbro non è memorabile però si impone per colore pienamente lirico, la voce meriterebbe maggiore espansione nella zona centrale. Centrato lo Sharpless di Giovanni Meoni baritono suadente e morbido nell’emissione, Anna Malavasi è una Suzuky di cupa vocalità. A completare il cast dignitosamente i funzionanti, Milena Josipovic (Kate Pinkerton ), Mario Bolognesi (Goro), Vittorio Albamonte (Principe Yamadori ), Manrico Signorini (Zio Bonzo). A capo dell’orchestra era il maestro Jader Bignamini, presente sempre e in costante dialogo col palcoscenico, più propenso ad esaltare il piglio drammatico con qualche sonorità debordante a scapito di preziose nuances e teneri abbandoni propri della scrittura pucciniana. Solida e compatta la prova del coro istruito da Piero Monti. Grande consenso del numeroso pubblico, affascinato e conquistato sempre da quel conoscitore del cuore umano che è Puccini la cui musica comunque trova e crea immedesimazione. Più di un dissenso per il regista e lo scenografo. Dell’annunciato omaggio alla compianta Daniela Dessì soltanto una dedica sul libretto di sala.( Postato in Amici  della musica)

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