LA VITA L’UOMO NON SE LA DÁ, LA RICEVE

(Corrado Coletta)

Michelangelo –Creazione di Adamo

Spigolando nell’orto di Zacchia, colmo di  ricordi di un vetusto anestesista rianimatore emergono sensazioni ed emozioni legate alla fatalità della vita; quella vita che sboccia con un vagito e appassisce con una lacrima. Gli accesi dibattiti sorti attorno ai problemi della vita che si spegne e della morte che incombe ,per la proponibilità delle iniziative e per il coraggio delle opinioni devono essere accolti quale testimonianza di crescita sociale aperta al dialogo fra medicina e società, fra medico e paziente ispirata al rispetto assoluto dei reciproci  valori e delle reciproche prerogative anche sulla soglia del non essere. Il problema non è solo di oggi; già il più famoso archiatra dell’antichità, vissuto fra mito e realtà destina all’eternità il suo giuramento nel momento in cui ,con la sacralità che lo pervade, intuisce che la medicina deve rivolgersi all’uomo, entità complessa ,sintesi mirabile di umanità e sacralità. “Non darò farmaco mortale a nessuno neppure se richiesto, nè mi farò autore di simile consiglio, ma congiungerò con retto giudizio scienza e umanità per lenire le sofferenze del malato sostenendone la vita sino all’ultimo estremo rispettandone la dignità propria”. Cosi recita il testo. In quest’ottica chiara e trasparente ma soprattutto coraggiosa, la società tutta e in particolare quella a cui per istituzione compete la responsabilità, deve garantire una assistenza nella sua globalità libera da condizionamenti filosofici, politici o religiosi. In particolare il problema economico deve assolutamente rimanere fuori dal rapporto con il malato terminale, l’espressione massima delle sofferenze. Nell’ambito dell’attività medica non c’è posto per intese le quali sotto l’aspetto della pietà o di altre considerazioni umane, tentano di deviare l’arte medica dal suo naturale nobile compito. L’impegno medico, nella sua professionalità più ampia deve rispondere all’esigenza del malato nel rispetto rigoroso della sua volontà : “Voluntas aegroti suprema lex”. Le sofferenze che turbano coloro che arrivano alle fasi terminali della loro malattia vanno responsabilmente combattute per l’ammalato ancora  partecipe alla vita o per favorire che chiuda dolcemente la sua esistenza. Qui affiora il riferimento all’Eutanasia”, la matrice ideologica della stessa non impedisce il timore di una escalation che dalla cosi detta “buona  morte” o della “morte con dignità” si giunga al suicidio per procura o all’omicidio per commissione. L’ombra sinistra del Monte Taigeto si proietterebbe in questo caso sulle nostre coscienze. Non si potrà sicuramente contrastare la fatalità dello svolgersi degli eventi connessi alla natura umana, ma si potranno sicuramente condizionare nel momento in cui si riuscirà a trasfondere tutta quella pace e serenità per accettare la volontà del Supremo. Quella pace, quella serenità, quella accettazione tramandataci da Platone nel momento in cui fa dire  a Socrate, rivolgendosi al suo allievo prediletto: “O Critone dobbiamo un gallo ad Esculapio, dateglielo e non vi dimenticate”. E  le sue membra già diventavano fredde. Chinando deferenti il capo all’ineluttabilità della morte la nostra coscienza solo in un caso potrà essere illuminata da un raggio di speranza: quando il sacrificio di una vita è servito a fugare un avvenire di sofferenze trasferendo e impiantando nuove energie nel seno di un’altra creatura la cui sopravvivenza sarebbe stata inevitabilmente compromessa. Per concludere non mi sembra azzardato ritenere che la nostra Vita è una realtà vissuta giorno dopo giorno nell’alternanza spasmodica fra diritto e dovere, in una costante antinomia  fra il bene e il male; facciamo si allora che questa realtà, sul limitare della soglia fatale, si dissolva cedendo il passo ad un sogno a cui affidare le nostre ambizioni deluse, le nostre speranze di riscatto, la nostra ansia di miglioramento, la realizzazione di un incontro che riesca a metterci in pace con il prossimo e con noi stessi. Ebbene allora fra i ricordi della nostra memoria si affacceranno sicuramente le parole del principe Amleto : Morire Dormire..forse Sognare!”.

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